LENTI A CONTATTO

Sistema Salute? …con meno errori. Sperare che un virus ci faccia la grazia non è un pensiero scientifico

Tanti ostacoli da superare. Uno il localismo e la tendenza a “Granduchini” di alcuni presidenti di regione (Nord e Sud senza distinzione) nell’atteggiamento di questi mesi riguardo alle decisioni-non decisioni e conflittualità sul coronavirus
Google+ Pinterest LinkedIn Tumblr

Sistema Salute? Sì, con meno errori. Sperare che un virus ci faccia la grazia non è un pensiero scientifico.

Di cosa parliamo quando diciamo medicina territoriale?

Di cosa parliamo quando diciamo rafforzare i servizi di base sul territorio?

Di cosa parliamo quando diciamo che le cure, se vicine a casa, contribuiscono ad alleggerire il peso per il paziente e per i familiari?

Di cosa parliamo quando diciamo Casa della salute che da qualche anno è diventato il punto focale di una nuova riorganizzazione del sistema sanitario decentrato nella regione Emilia Romagna? E perché le Case della salute (Appendice 1e 2) trovano sulla loro strada tanti ostacoli anche da parte degli stessi medici timorosi o diffidenti riguardo al principio ispiratore delle stesse strutture concepite come primo hot spot, punto di accesso al sistema sanitario da parte del cittadino?

E’ pur vero che i Medici di medicina generale sono in maggior parte in convenzione con le Ausl e quindi non ne sono dipendenti e questo potrebbe sollevare una lunga serie di contraddizioni in quel rapporti.

Salute, la reazione dei cittadini assente

Ma c’è un’altra domanda che mi arriva alla mente e riguarda la reazione dei cittadini che appare del tutto appiattita in questi anni sulle scelte di rinuncia che sono state compiute nel settore sanitario. E perché se nel passato si sono mobilitate le folle per gridare all’eresia sui progetti di chiusura dei piccoli ospedali riservati non più competitivi oggi altrettante folle non si mobilitano per chiedere invece la nascita e la realizzazione di più presenza di medicina, di più Case della salute per quanto riguarda il nostro territorio?

Perché non si esprime quella pressione sociale per far sì che i medici di medicina generale optino per mettere in rete il loro sapere? Interrogativi di cui per anni probabilmente non ci si è curati, forse troppo spinti a tenere d’occhio i riflettori di una macro-sanità che si declinava di eccellenza in eccellenza e di cui anche l’Italia può fregiarsi e andare fiera, seppure a macchia di leopardo sul territorio nazionale.

Ma c’è una parte della salute – del mantenimento in salute dei cittadini – che spesso non viene mai in contatto con le aree di eccellenza perché non si pone la necessità acuta di un intervento altamente qualificato. Si tratta di quell’area di bisogno di salute che necessita di una sanità vicina a casa, quotidiana, pronta a dare il servizio che serve continuativamente.

Si parla di un tipo di sanità che si modella sulla forma della popolazione che cambia, invecchia e che è portatrice di malattie che si cronicizzano e quindi mette in evidenza la necessità di essere presenti sempre quando serve. Tante volte quel “quando serve” diventa una necessità continuativa.

Ci sono tanti studi, ricerche che si materializzano in classifiche sull’aspettativa di vita nelle varie zone del pianeta. In questi anni come un mantra è riecheggiato un po’ ovunque il tema sulla crescita dell’aspettativa di vita in termini quantitativi – il nostro è uno dei paesi al mondo in cui si vive più a lungo quindi si sta meglio – è l’equazione : si sta meglio quindi si vive più a lungo. Quasi ovvio pensarlo. Ma quanta di quella vita in più è vissuta in salute?

Ecco, secondo i risultati di uno studio di statistica europeo realizzato nel 2017 in Svezia, Norvegia e Irlanda e per le donne anche in Germania si vive un maggior numero di anni in salute rispetto a quelli che si vivono in Italia. Ecco quindi che un peso importante acquisiscono i servizi sanitari territoriali che per definizione hanno l’occhio attento alle persone. In una parola un welfare generalmente inteso in cui abbia una buona parte il tema della prevenzione e dello stile di vita.

Perché la buona salute si può imparare e uno dei livelli di risparmio maggiore per la spesa sanitaria è proprio basato sulla prevenzione che oltre a far sì che tante più persone possano vivere in salute un buon numero di anni della loro longevità permette anche di risparmiare notevolmente in termini di cure non perché vengono tagliate o ridotte, ma perché servono di meno.

Avere cura che i cittadini vivano in salute

E’ un ribaltamento sostanziale del sistema di cura: avere cura che i cittadini vivano in salute il più a lungo possibile.

Tutto questo però è possibile farlo investendo in salute. Per come si sono sviluppate le politiche in questi ultimi vent’anni la direzione è stata ben altra.

Il sistema è stato colpito da tanti mali dalla burocratizzazione alla verticalità e vischiosità delle decisioni fino alla riduzione delle risorse che, di anno in anno, si poneva come il leit motiv emblema ed effige di una sana “gestione della cosa pubblica”. Perché è nella sanità che nell’immaginario collettivo si annidano gli sprechi maggiori. Il percorso di riduzione delle risorse, tra l’altro, è avvenuto anche con un consenso sociale mai visto.

Forse è stato metabolizzato come necessario per intervenire sui dissesti finanziari che molti bilanci sanitari hanno presentato. Senza opposizione, senza contrasto le politiche sono dunque condivise?

E’ vero consenso sociale o non è invece un’assuefazione e un’abitudine al fai da te cui ha contribuito anche – e non poco- la regionalizzazione della gestione sanitaria che ha messo in campo una competizione sì finalizzata tante volte non tanto alla cura e alla buona salute, ma anche una strada per contribuire a far quadrare i bilanci delle aziende. Tipico l’esempio della competizione tra territori di confine e tipico il terreno di competizione delle liste d’attesa.

Salute… “quasi meglio privatizzare”

Tanti gli esempi portati e interpretati come “virtuosismo sanitario” nel momento in cui, avendo la necessità di un esame in tempi brevi programmato alle calende greche se chiedi nel tuo territorio diventa fulmineo fuori regione e nel giro di 24 ore puoi ottenere soddisfazione alla tua richiesta. Esempio che non si spiega con una maggiore efficienza di un sistema rispetto all’altro, ma solo il fatto che l’esame fatto fuori regione viene immediatamente rimborsato dalla tua regione di appartenenza. E il gioco delle liste d’attesa corte è bell’e fatto.

Ciò non toglie che in questi anni la questione sanità non è mai stata nelle corde dei governi. Un polpettone brucia soldi con tante insidie e tanti problemi a cascata… quasi meglio privatizzare, esternalizzare. E i risultati si sono visti.

Ora ci si interroga se abbia senso, alla luce dell’esperienza Covid, mantenere ancora 20 sistemi sanitari diversi l’uno dall’altro quando con la pandemia si è verificata la necessità, l’urgenza elemento vitale si è mostrata la necessità di una regia unica nazionale che organizzi la tutela sanitaria dei cittadini indipendentemente da dove abitino.

Ed è questo il tema cruciale, a mio parere, su cui si dovrebbe soffermare nei prossimi mesi il confronto sulla sanità e sulle politiche sanitarie che dovrebbero imboccare una direzione del tutto diversa da quella che hanno percorso fino a questo momento.

Tornare ad affermare che il nostro è un sistema sanitario che si ispira all’universalismo significa creare le condizioni perché ovunque in questo paese una persona possa essere curata al meglio e soprattutto creare le condizioni – come si diceva in precedenza -affinché a tutti i cittadini possa essere concessa una speranza di vita con molti più anni in salute.

I Granduchini della salute

E’ chiaro che per fare questo è necessario superare tanti ostacoli. Dapprima il localismo e quella specie di tendenza a porsi come “Granduchini” che si è vista da parte di alcuni presidenti di regione (Nord e Sud senza distinzione) nell’atteggiamento di questi mesi riguardo alle decisioni-non decisioni e conflittualità sul coronavirus.

Tornare ad affermare che il nostro è un sistema sanitario che si ispira all’universalismo significa anche bloccare gli sprechi laddove si manifestano (e ce ne sono tanti) ma non attraverso il metodo seguito di rinchiudersi all’interno delle proprie mura regionali per governare la propria sanità.

 Così non funziona, si è visto che così non ha funzionato. Che fare allora?

Tornare ad affermare che il nostro è un sistema sanitario che si ispira all’universalismo significa rimuovere i responsabili della sanità che si mostrano inappropriati e farlo con decisione e fermezza. Questo non è stato fatto (ci sono storie di commissariamento che si trascinano da anni).

Una cosa è certa non si può puntare sulla carta fortunata e sperare ancora che un virus sia buono e ci salvi dal disastro non dilagando nelle zone in cui la sanità è più debole che in altre. Non ci dimentichiamo gli echi che – all’inizio della pandemia -paventavano scenari apocalittici nel caso in cui COVID fosse arrivato in alcune regioni del Sud con la stessa aggressività che si è manifestata nelle regioni del Nord.

Tornare ad affermare che il nostro è un sistema sanitario che si ispira all’universalismo non vuol dire affidarsi a un ragionamento che fa leva sulla speranza di essere graziati da un virus.

Bisogna darsi pace e farsene una ragione: la speranza non appartiene ad alcuna categoria scientifica.

Antonella Lenti (info@antonellalenti.it)

salute

Leggi anche si Corriere Padano

Puoi leggere anche l’intervista https://www.antonellalenti.it/2020/04/sistema-universalistico-cavanna.html

Dalla discussione al Festival di Trento di due anni fa in cui si discuteva di sanità

1 2 3 4 5 6

Lascia un commento