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Sistema sanitario universalistico un valore da difendere dopo Covid-19

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Sistema sanitario universalistico un valore da difendere dopo Covid-19. Carenza di strutture, mancanza di medici, tagli indiscriminati operati in decenni fino al tema dell’importanza del sistema sanitario universalistico un bene da difendere il cui valore si è mostrato in tutta la sua forza con l’emergenza Coronavirus che stiamo vivendo. Di questo si parla nell’intervista al professor Luigi Cavanna rilasciata nel febbraio 2018 al mio blog lentiacontato.com. che ho deciso di ripubblicare. Tratta di temi che purtroppo in queste settimane sono tornati di estrema attualità riguardo alla difesa della salute come bene primario su cui ci deve essere sempre l’impegno dello stato e dell’istituzioni pubblica.

Il professor Cavanna, direttore di Onco-ematologia di Piacenza di recente è salito agli onori della cronaca per aver introdotto un metodo “casa per casa” per curare a domicilio le persone risultate positive o con il sospetto che lo siano. Allo scopo creata una task force formata da medici e infermieri che intervengono su indicazione del medico di famiglia. La sua iniziativa è stata di recente riconosciuta anche a livello internazionale attraverso la pubblicazione sulla rivista Time come “metodo Piacenza”.

Ecco l’idea di avvicinare le cure al paziente non è nuova per Cavanna che l’ha sviluppata anche in oncologia. Metodo al centro di uno studio scientifico prodotto a Piacenza e pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet e che dimostrava come l’avvicinamento delle cure al paziente poteva portare benefici considerevoli alle cure stesse.

Questa l’intervista del febbraio 2018

Medici insufficienti, ricerca, tecnologie, finanziamenti che scarseggiano, nuovi bisogni sanitari che si affacciano… Argomenti al centro di questa lunga intervista a Luigi Cavanna direttore del dipartimento di Oncologia di Piacenza all’interno della rubrica  TERZO MILLENNIO… del blog “Lenticontatto”. Brevemente due appunti per introdurre questa l’intervista che segue e che è frutto di oltre un’ora di conversazione. 


Cavanna si sofferma sul tema della ricerca spiega  perché è importante farla anche se, talvolta mancano riconoscimenti meritocratici. I vantaggio, pero’, sono indubbi per i pazienti perché in questo modo anche una piccola realtà  entra nei circuiti internazionali dei centri di ricerca potendo avere a disposizione una rete di conoscenze tra le migliori al mondo. 
Le potenzialità di Piacenza ci sono – spiega il prof.

Eppure chi si ammala di cancro a Piacenza si sente chiedere ancora “Ma come, ti fermi a Piacenza?” Accanto a un sistema sanitario che dovrebbe darsi credito sulle sue potenzialità si affacciano delle ombre. Dapprima la carenza di medici e nel prossimo futuro rischia di diventare drammatica soprattutto per i cittadini ed e’ un problema nazionale.

Manca l’integrazione tra bisogni e programmazione universitaria ci spiega Cavanna, un chiaro sintomo di mancanza di programmazione.

E poi la popolazione che invecchia e interroga la medicina avanzando domande e servizi nuovi. Lo scenario cambia rapidamente, con l’avanzare dell’eta’ e la crescita della popolazione anziana crescono di pari passo le cronicità, d’altra parte la tecnologia ha fatto passi avanti enormi così come la ricerca con la nuova frontiera di farmaci, le terapie geniche, che hanno aperto nuove speranze di vita soprattutto, ma non solo, per i malati di tumore. Insomma un mondo sanitario in divenire.
Cavanna si addentra nelle tante pieghe della sanità e la affronta dal punto di vista di chi si trova in prima linea a tu per tu con i malati. Tra le criticità che evidenzia ovviamente i tagli costanti agli investimenti in questo campo operate dai governi di vario colore che si sono succeduti in questi anni.  



“Allargare il numero chiuso per la laurea in medicina e chirurgia nelle università, altrimenti nel 2022 mancheranno i medici in corsia” poi i bravi medici vanno via è un grosso problema!!!”

La ricerca e’ al soldo di big pharma? “No, le multinazionali pagano un prezzo per quello che facciamo e possiamo avere farmaci efficaci per i malati anche anni prima della commercializzazione”.

SISTEMA IN CRISI. PERCHE’ MANCANO I MEDICI

Dottor Cavanna, abbiamo un sistema con più conoscenze, più tecnologia che insiste su una situazione caratterizzata da una sempre più importante contrazione delle risorse e sullo sfondo si delinea un’altra emergenza: la mancanza di medici e specialisti problema che già in alcune realtà si è evidenziato. C’è qualcosa che non funziona. Evidentemente.

“C’è un problema molto italiano che si sta ponendo: la carenza di professionisti medici. Non per essere catastrofici, ma per cercare delle soluzioni, è necessario, ora come ora, aprire le facoltà di medicina e chirurgia, togliendo o allargando proporzionalmente il numero chiuso in base al fabbisogno di medici. L’impressione è che non vi sia connessione tra la realtà e la pianificazione universitaria, sembra mancare una strategia; un paese civile si chiede: “qual è il fabbisogno di salute dei cittadini?” Stabilito questo si investono poi risorse in termini di personale e tecnologia. Si ha l’impressione che, a seguito degli interventi fatti sul numero chiuso alcuni decenni fa, ora si corra il rischio che quella scelta, forse giusta allora,  stia diventando dannosa e deleteria per i cittadini”.  

I medici, in servizio ora, si dice da più parti, hanno un’età media elevata e quindi che scenario si delineerà quando arriveranno alla pensione?

“Sono decine di migliaia sul territorio nazionale i medici che fra due-tre anni andranno in pensione e quindi sicuramente non ci sono i ricambi sufficienti. Ma è necessario ricordare che per formare “competenza clinica” cioè la capacità da parte dei professionisti di curare bene i malati ci vuole tempo e si rischia di non averne più. In altre parole se domani le facoltà ampliassero i numeri ci sarebbe comunque il problema, perché ci vuole tempo a formare un medico.  

Che cosa s’intende?

“ Semplicemente questo: ci riempiamo la bocca con il termine  “clinical competence” ovvero la competenza clinica che si acquisisce con la formazione sul campo, attenzione, la competenza clinica non è solo il titolo di specializzazione, ma è la capacità, il saper fare,  che si acquisisce con la formazione in corsia.

L’esperienza diretta è fondamentale e si acquisisce studiando da un lato, ma soprattutto facendo esperienza clinica concreta vicino a un medico già formato che lavora, che insegna lavorando, facendo, comunicando. L’allievo impara anche per imitazione: osserva il suo “tutor” cosa fa, come lo fa, come opera, come esegue le manovre, come comunica con il malato ed i familiari, ecc. così si impara a fare il medico che cura il malato. Poi la tecnologia e alcune manovre si impareranno conseguentemente si apprenderanno le procedure, i protocolli, altre tecniche come l’ecografia, l’endoscopia, dipende dalla branca specialistica che s’intraprende”.  

Ma questo apprendimento sul campo avviene ancora o avviene meno?

“Rischia di ridursi l’apprendimento se vengono a ridursi i medici che si presentano a lavorare negli ospedali. In alcuni concorsi, come pediatri, anestesisti, ortopedici, si presentano sempre meno candidati; anche in oncologia cominciano a scarseggiare gli specialisti”.  

Da quando sta diventando problematica questa situazione?

“E’ già iniziata da alcuni anni; si prevede che da qui al 2020, al 2022 sarà davvero un problema rilevante, destinato a crescere con il pensionamento di tanti professionisti. Si profilano due ordini di problemi: da un lato la mancanza di medici dovuta al pensionamento e dall’altro la necessità “d’importare” medici da altri paese, ma con quali competenze, con quali preparazioni è da capire. Quando mi sono laureato a Pavia nel 1978 eravamo in mille iscritti al primo anno di Medicina. Forse eravamo troppi?

Oggi a Pavia ci sono circa 200 iscritti al primo anno: così si rischia la mancanza di medici, inoltre molti giovani medici lasciano l’Italia appena laureati o appena specializzati perché in altri Paesi europei o in USA hanno maggiori possibilità di carriera perché vi è una maggiore meritocrazia: chi si impegna è premiato. Da noi non è sempre così: negli ultimi anni credo che siano migliaia i giovani medici emigrati dall’Italia verso altri Paesi. Qualcuno potrà dire che l’Italia “produce” buon medici, sarà vero, ma se poi i bravi medici vanno via è un grosso problema!!!””.  

È una situazione solo italiana o è generalizzata?

“Credo che negli altri paesi ci sia più coordinamento e maggiore pianificazione tra iscrizioni all’università e il fabbisogno reale. È un problema sostanzialmente legato, secondo me, dalla mancanza di pianificazione fra offerta (numero di studenti che si laureano in medicina) e richiesta (fabbisogno di medici), e poi va ricordato che molti medici appena laureati o specializzati “emigrano” in altri Paesi”.  

Facciamo un confronto con il passato.

“Come ho detto nel 1978 a Pavia, al primo anno, gli iscritti a medicina erano un migliaio così pure a Parma. Oggi, al primo anno di medicina e chirurgia a Pavia, sono iscritti in 185 più venti non residenti e se andiamo a Parma non è molto meglio 189 più venti non residenti. I numeri parlano chiaro.

I nuovi laureati non saranno sufficienti a occupare i posti lasciati liberi da chi andrà in pensione. Se mille iscritti al primo anno di Medicina a metà degli anni Settanta potevano essere considerati troppi (va però detto però che nessuno è mai stato disoccupato) certamente duecento futuri medici – parlando solo di Pavia– non saranno credo sufficienti per il fabbisogno reale”.  

Ma oltre a segnalare che mancano i medici che cosa si fa. Voi come classe medica quali strumenti avete per mettere ancora più in rilievo il problema?

“Le associazioni scientifiche, gli ordini professionali segnalano al Ministero, alle altre Autorità competenti, ma non si vedono segnali per risolvere il problema che comunque è di difficile soluzione. Se già dal 2018 si allargassero le iscrizioni a Medicina e Chirurgia sarebbe comunque un problema perché per laurearsi servono 6 anni, poi altri 4-5 anni di specializzazione.  Sarebbe già qualcosa anche se non sufficiente per colmare il vuoto; il problema non è d’immediata soluzione. Quando frequentavo l’università per esempio alla specialità di ematologia erano 20 nuovi posti  all’anno a disposizione e ora, per Pavia, sono 4. Anche i posti per le specializzazioni come si vede sono molto ridotti. Inoltre, molti giovani medici, come dicevo, vanno a lavorare fuori dall’Italia”.  

Che strategia c’è dietro a questa non scelta? Non spendere più soldi in sanità? Ma la cura?

“Strategia? Mah. Voglio ricordare che da alcuni anni è cambiato molto il ruolo degli infermieri che ora sono laureati in infermieristica e quindi vi è un evidente tendenza ad allargare le competenze del laureato in infermieristica.

Questo va sicuramente bene, anzi più si eleva la cultura meglio è (in generale), l’infermiere ha tante competenze, ne ha sempre di più ed è una figura che nel corso degli anni si è sicuramente evoluta in meglio, tuttavia le competenze mediche sono diverse da quelle infermieristiche, quindi pensare di sostituire i medici con gli infermieri per il solo motivo che non vi sono medici mi sembra una strategia che difficilmente  porterà a buoni risultati per il malato e anche per il professionista che sia poi medico o infermiere”.  

In che senso? Che cosa intende?

“Ad esempio, se si verifica un incidente, una complicanza ed il malato e familiare credono di aver subito un danno, si chiama la solita magistratura a risolvere il problema perché in Italia ormai si fa così in tanti campi.  Se io cittadino credo di aver ricevuto un danno dal medico “lo denuncio”, ma se è l’infermiere che ha fatto le veci del medico la situazione è molto diversa. C’è un problema ancora maggiore (per l’infermiere). È giusto allargare le competenze infermieristiche per quanto di competenza, ma – ripeto – se si pensa di sostituire i medici con gli infermieri penso sia una strategia che i cittadini non accetteranno. C’è un dato di fatto, il sistema, chiaramente paga meno l’infermiere del medico”.  

Una strategia dichiarata apertamente o in atto nei fatti?

“Non credo sia una strategia, ma alcuni mi riferiscono l’impressione, forse sbagliata che la risposta del sistema in certe situazioni possa essere questa: “manca il medico? Non c’è problema abbiamo l’infermiere”. E’ un po’ una provocazione, la mia, credo tuttavia che pensare di sostituire la mancanza dei medici con gli infermieri non sia una soluzione, ne per i malati, ne per gli infermieri, ne per i medici. Ognuno deve fare la propria parte con competenza, farla sempre meglio, crescendo con la tecnologia e cultura per dare una prestazione sempre migliore”.  

Che influenza ha su questa situazione la regionalizzazione della sanità dettata dal titolo quinto della Costituzione come modificato nel 2001 Questo non indebolisce la sanità?

“La questione del numero chiuso alle università è una materia statale. Tuttavia la gestione regionale della sanità indubbiamente indebolisce anche l’equità di trattamento dei cittadini in questo paese.

Credo che per stabilire un’equità di cura, su tutto il territorio Nazionale dallo Stato si dovrebbero attuare direttive vincolanti che ora non ci sono, ma d’altro canto anche da parte delle Regioni ci dovrebbe essere l’attenzione a restare dentro parametri di costo-efficacia. Altrimenti ci sono Regioni, come l’Emilia Romagna e la Lombardia, che lavorano bene e altre Regioni che invece sono in forte deficit. Se il deficit fosse compensato da una cura migliore per i pazienti potrebbe essere entro certi limiti accettabile invece sono quelle regioni che hanno un’elevata mobilità esterna dei loro malati”.  

La gestione regionalizzata però non aiuta a raggiungere uniformità di trattamento…

“Non aiuta, certo. Anzi. Si rischia di avere disparità di accesso alle cure, disparità riguardo ai nuovi farmaci, disparità per il rapporto pubblico-privato e si rischia di creare un trattamento inadeguato ai dei malati”.    

IL SISTEMA COME SI PRESENTA: TAGLI PESANTI, PIU’ MALATTIE CRONICHE PASSI AVANTI DELLA TECNOLOGIA

Sta cambiando tutto rapidamente e non sempre in meglio.Che cosa ci vorrebbe perché uno stato resti civile e abbia cura dei cittadini?

“La medicina ha fatto notevolissimi passi in avanti non solo nei tumori, ma anche nelle conoscenze biologiche di tante malattie. Oggi si fanno cure sempre più mirate ed è questa un’evoluzione sempre in divenire e sempre più accelerata. Fino a qualche anno fa esaminare al microscopio il tessuto di un organo malato era necessario e sufficiente per la diagnosi; oggi è necessario, ma non più sufficiente. Oggi è necessario capire la genetica, capire qual è l’alterazione intima della cellula tumorale.

Esistono farmaci cosiddetti “intelligenti” che possono colpire selettivamente cellule con determinato marcatore o recettore o mutazione genetica. C’è stata evoluzione tecnologica importante che è ancora in corso che ha comportato sicuramente miglioramenti nella cura delle persone. E questo è solo una parte importante, ma una parte di come sta andando la medicina in occidente. In parallelo a questo c’è l’aumento della vita media delle persone, almeno fino al 2016 poi c’è stato una sorta di assestamento e forse, secondo alcune valutazioni un arretramento anche come conseguenza della crisi economica del 2007, che ha influito sicuramente sulla crescita continua della vita media.

Comunque il trend di aumento della vita media è sempre stato favorevole fino al 2016 e speriamo continui. Questo aumento della vita media ha portato anche a una crescita di malati cronici”.  

Come si spiega questo fenomeno?

L’aumento della vita della persona espone l’individuo a due fattori di rischio. Prima di tutto l’aumentata esposizione a sostanze nocive dell’ambiente (alimentazione, inquinamento, fumo, ecc) e  poi  il venir meno, con l’età, dell’efficacia del sistema immunitario. Con il passare degli anni il sistema immunitario (che svolge un ruolo fondamentale per la nostra salute non solo per la difesa dalle malattie infettive, dai tumori, ma anche dalle malattie cardiocircolatorie,  neurologiche, ecc) questo sistema con l’età è più indebolito e quindi espone il paziente anziano ad ammalarsi di più.

Aumentando il numero di persone anziane, aumentando i fattori di rischio delle malattie, aumentano i malati cronici. E lo scenario delle nostre società occidentali in cui rientra l’Italia, l’Emilia e Piacenza.  Questo comporta un aumento di bisogno di cure, di prevenzione, ecc”  

Quindi più soldi, ma il sistema trattiene risorse… come fare?

“Nelle finanziarie, dal 2010 in poi c’è stata una decurtazione notevole dei finanziamenti destinati al nostro sistema sanitario che lo ricordo è di tipo equo e copre tutte le persone. Da noi non è necessario avere un’assicurazione.  

SISTEMA SALUTE: E’ L’ECONOMIA A DETTARE SPESSO LE REGOLE

Quanto pesa la crisi a cui faceva cenno sulla possibilità di cura? S’intende che le persone scelgono di non farsi più curare per ragioni anche economiche? Tanti esami hanno un ticket spesso alto… è per questo?

“Si deve pagare il ticket, certo, a meno di essere esenti e anche una parte di esami, per farli in tempi adeguati, si deve spesso pagarli, almeno in molte regioni italiane”.  

Accedere al privato? Però chi non ha i soldi finisce in difficoltà?

“Sì certo. Negli ultimi anni arrivano report dal volontariato in cui si denuncia proprio questo. Una fetta ampia di persone nel nostro paese tende a non farsi curare perché – anche se il nostro sistema è universalistico, si deve comunque pagare una quota con il ticket”.  

Il pensiero corre a quello che abbiamo visto accadere in Grecia alcuni anni fa… anche se in proporzioni diverse.

“Sì. Poi il problema di quanto l’economia condizioni il benessere è un dato di fatto. Si scopre l’acqua calda, lo so. Per stare all’esempio della Grecia, ebbene là stanno adesso pagando un aumentato numero di persone con malattie cardiovascolari e diabete. Perché? Durante gli anni più duri mangiavano più pasta, più pane, più carboidrati comportando, alterazioni metaboliche e malattie”.  

Questo problema, della salute e delle risorse il sistema politico sembra restare indifferente. Sembra guardarlo dall’alto dal punto di vista aziendalistico e dei conti. Come la vede?

“Il problema sanitario, in campagna elettorale rischia di ridursi alla discussione sui vaccini!! Discussione inutile perché i vaccini servono, sono essenziali, salvano la vita e vanno fatti. Non c’è da discutere.

Non si guarda molto all’investimento e l’Italia forse è tra i paesi europei con la spesa sanitaria più bassa (in base al PIL) d’Europa e quindi questo è un dato davvero rilevante. Alla fine, c’è tanta buona volontà da parte dei professionisti medici, infermieri, tecnici, amministrativi, ecc, inoltre anche di associazioni, privati, esterni che raccolgono fondi e li convogliano nel sistema sanitario. Per quanto  riguarda i governi, non sembrerebbe delinearsi una strategia predefinita che sappia guardare lontano. Non s’intravede, magari mi sbaglio, ma è la mia opinione” .  

SISTEMA SANITARIO: DUE PAROLE SULLA RICERCA E L’ESPERIENZA DIRETTA

Farmaci e ricerca. A Piacenza la fate. Perché è tanto importante ai fini della cura?

“Voglio segnalare due aspetti per dire quanto è importante per il paziente (e per il professionista) che si faccia ricerca. Il primo aspetto riguarda i professionisti:  avere un’abitudine alla ricerca fa acquisire un metodo di lavoro che è riproducibile e controllabile, determina un certo rigore del comportamento quotidiano e questo in medicina è fondamentale. Non solo per il medico, ma anche per l’infermiere, il tecnico, per il personale sanitario in genere perché la ricerca, nella parte clinica, prevede un ruolo importante non solo per il medico, ma anche di altre figure professionali come l’infermiere, o il tecnico, ecc.

Avere metodologia rigorosa, eseguire le procedure diagnostiche, controllare i pazienti, verificare la possibilità di complicanze, fa si che si risponda a due quesiti fondamentali. Il primo quello dell’efficacia delle cure e il secondo della sicurezza per il malato e per il personale stesso. In medicina la sicurezza è fondamentale, noi dobbiamo garantire sicurezza e riusciamo a garantirla se tutti in un reparto hanno un metodo di lavoro rigoroso, procedure definite da seguire.

Può essere dal semplice posizionamento di un catetere vescicale (sull’essere umano nulla è mai semplicistico) fino all’intervento tra i più complessi. Apro una parentesi. Non è un caso se tutti gli ospedali, negli ultimi anni, si sono dotati di un sistema qualità che introduce le procedure di comportamento delle varie attività.

Per chi faceva ricerca o ha imparato a fare ricerca aveva già appreso quel metodo e quelle procedure. Il secondo aspetto, riguarda maggiormente il malato: facendo ricerca si possono avere farmaci per i malati molto prima della loro commercializzazione. Così molti malati possono ricevere cure in un certo senso “avveniristiche”.  

Quindi per diventare ricercatori devi dimostrare che nel tuo lavoro esegui passaggi codificati per questo o quell’altro intervento?

“Esatto. E devi documentare tutto. Perché ciò che non viene documentato è come se non lo avessi fatto. Quando vengono i controllori ti dicono “se non lo troviamo documentato  per noi non è fatto”. E questo allargando il discorso nella pratica di tutti i giorni ha una implicazione anche medico legale, importante in caso di eventi avversi. Perché’ quando il paziente presenta una complicanza a seguito di un intervento o di una cura, per sapere se è stato fatto tutto in modo corretto e se la complicanza è stata gestita in modo corretto, deve essere tutto procedurato.

Viene chiesto in questo caso: “lei ha fatto questa manovra, ma quel è la vostra procedura interna per fare questa manovra…” e se non c’è la procedura non va bene, e se c’è, ma non è stata seguita non va bene. Questa è la base, l’abc per fare ricerca clinica che insegna ad avere un atteggiamento scientifico rigoroso. In parallelo il secondo aspetto importante come dicevo prima è quello che, facendo ricerca, si possono avere medicine, molecole non ancora in commercio sperimentali che possono magari cambiare la vita, la prognosi a un malato”.  

Cittadino malato una cavia?

“No, è necessario far capire bene questo punto. La maggior parte delle medicine vengono messe in commercio attraverso gli studi clinici randomizzati di fase 3. Che cosa significa? Faccio un esempio, i pazienti vengono divisi in due gruppi. Entrambi i gruppi di pazienti ricevono naturalmente la cura migliore esistente in quel momento per quel tipo di tumore, la differenza tra i due gruppi consiste nel fatto che per un gruppo, alla medicina migliore del momento si aggiunge un’altra flebo che può essere placebo o la medicina sperimentale. La cosa importante è che il paziente sia trattato comunque con la miglior cura possibile in quel momento.

Spesso anche noi non sappiamo quale gruppo fa placebo o farmaco. 

Naturalmente i pazienti sono informati prima di avviare la sperimentazione; il permesso alla sperimentazione viene dato dal Comitato Etico, il malato è informato che entrerà in una cura sperimentale ma, nella fase operativa sappiamo che i due gruppi stanno ricevendo la miglior cura del momento; possono però non sapere chi riceve l’aggiunta della nuova medicina o l’aggiunta di placebo (ricerche in doppio cieco). I due gruppi di malati sono seguiti attentamente e nel caso di andamenti diversi: meglio un gruppo rispetto all’altro, se si conferma l’efficacia del farmaco sperimentale, tutti i malati dei due gruppi possono ricevere tale farmaco.

Si fa sempre un’analisi a breve, anche dopo pochi mesi (1-2) di cura. In questi giorni abbiamo aperto un protocollo sul tumore dell’ovaio, ed è stata avviata la ricerca in tanti paesi dagli Stati uniti all’Europa all’Australia e in questo programma ci siamo anche noi.

Se c’è indiscutibilmente un vantaggio per le aziende produttrici che riescono a portare a casa il risultato in breve tempo perché sono coinvolte migliaia di persone nella sperimentazione, non va trascurato il vantaggio per il nostro malato perché, in breve tempo, sappiamo se il farmaco può fare la differenza o meno. Se la sperimentazione fosse circoscritta solo a pochi centri ospedalieri o ad un solo paese ci vorrebbe molto tempo per scoprirlo invece così dopo due-tre mesi si vede subito se fa la differenza”.  

Per entrare in questi studi di ricerca da chi dipende dall’ASL  dai medici, chi avvia il percorso?

“Dipende dai professionisti, ma anche dalle ASL, per Oncologia, dipende da me e dai miei collaboratori oltre che dall’ASL. La ricerca viene sponsorizzata o dalle multinazionali che hanno budget che superano le finanziarie del nostro paese o dai gruppi cooperatori di ricerca che sono i grossi gruppi universitari-ospedalieri europei o statunitensi, sono questi in genere i promotori che possono ottenere fondi anche dai Governi, dalle Regioni, dall’AIFA (AGENZIA ITALIANA FARMACO), ecc. Come siamo coinvolti negli studi internazionali di ricerca?

Vi sono specialisti di gruppi cooperatori o delle multinazionali che analizzano se si è già pubblicato in ambito scientifico, quindi ci possono coinvolgere,  ed è un po’ un test; noi siamo entrati in questo modo; poi se il centro si dimostra affidabile in termini di rigore degli studi, delle analisi, nel seguire i pazienti, anche nell’aver tenuto i “vuoti dei flaconi delle medicine” ecc…

Ci deve essere collaborazione molto importante tra tanti reparti.  Il responsabile dello studio, viene contatto per primo, però ci deve essere un’infrastruttura molto efficace che lavora nella stessa direzione. Un ruolo importantissimo ce l’ha il data manager che tiene i rapporti con il comitato etico  e raccoglie i numeri degli esami dei pazienti, delle tac di controllo, dell’esame istologico che a volte viene mandato negli Stati Uniti. Questo avviene quando la ricerca è centralizzata. Tanti reparti lavorano con noi per approdare alla conclusione della ricerca.

Il radiologo che fa le tac, ad esempio, deve masterizzarle perché a volte si rimandano in dischetti a Stoccolma o ad Hannover. Lì, ad esempio convergono tutti, leggono il nostro referto però  fanno le loro verifiche  sulla tac  e sul tessuto. C’è un gran lavoro dietro alla ricerca clinica. Ed è importante che tutte le strutture lavorino bene. Tutto questo fa sì che Piacenza pian piano sia diventata un centro di riferimento quando partono nuovi studi internazionali. A noi da un lato fa piacere, dall’altro ci stimola al dialogo con tutti i professionisti e quindi ci fa crescere culturalmente. Poi va visto il risultato dal punto di vista dei malati.

Quando si trovano in condizioni difficili per la vita, non sempre abbiamo il farmaco miracoloso, ma qualche volta è capitato con il farmaco sperimentale fosse davvero efficace. Beh, allora cambia davvero la prospettiva”.  

Ok, tutto bene, i risultati ci sono, ma qualcuno vi potrebbe rimproverare di essere al soldo delle multinazionali. Di big pharma… Ingrassate le multinazionali?

“Anzi, no. Le multinazionali pagano un prezzo per quello che facciamo. Pagano all’azienda sanitaria una cifra importante, pagano tutti gli esami, e danno il farmaco sperimentale gratis”.  

Quindi i reparti che fanno ricerca per un’azienda sanitaria sono un valore aggiunto in termini di quattrini?

“Certo nel 2016 e nel 2017 noi come Dipartimento abbiamo risparmiato alcuni  milioni di euro di farmaci che poi sono stati messi in commercio. Le case farmaceutiche, comunque quei farmaci, li mettono in commercio, ci sia o no Piacenza nella sperimentazione. Quindi Piacenza ha tutto l’interesse a farne parte e poi noi non diciamo di si a tutte le richieste, prime le vagliamo e solo se sono ritenute buone per i malati, si inizia l’iter”.  

Quindi si dovrebbe spingere sull’acceleratore?

“Gli enti regolatori come l’AIFA hanno la possibilità di contrattare con le multinazionali il prezzo del farmaco cercando di portare  a casa  il miglior risultato per il pubblico. Certi tipi di farmaco come quelli biologici, ad altissimo costo, non sono prodotti da una sola azienda, ma da due o tre: mettendo in competizione queste aziende si può far abbassare il prezzo”.  

Ma non si fa?

“Si, si fa sia a livello centrale, ma anche regionale, la regione Emilia Romagna lo sta facendo, e sta lavorando in questa direzione. In modo da avere un prodotto buono a prezzi contenuti. Tutto ciò si riesce a fare se, da un lato la comunità scientifica quindi  i medici e dall’altro le istituzioni, lavorano  in modo coerente,  sincronizzato e armonico”.  

Come  si lavora su questo punto in Regione Emilia Romagna?

“È stato costituito il GREFO, Gruppo regionale farmaci oncologici che altre regioni ci invidiano. Cerco di spiegare che cosa fa questo gruppo. Spesso i farmaci vengono messi in commercio con un’indicazione “allargata” ad esempio  il farmaco x, prodotto dall’azienda farmaceutica, può essere prescritto nella cura per il tumore del polmone metastatico.

Il farmaco viene sempre messo in commercio dopo la pubblicazione di uno studio di ricerca, detto registrativo, che studia l’efficacia del farmaco e la sua tollerabilità. Ora il GREFO cosa fa? Non si ferma alla dichiarazione dell’azienda farmaceutica. Analizza, studia la pubblicazione dello studio registrativo e può ritenere di restringere le indicazioni in base alle caratteristiche dei pazienti che ne hanno avuto veramente giovamento nello studio registrativo.

Il risultato qual è? Primo che si tutela il paziente e si da il farmaco giusto  secondo le caratteristiche dell’età, del sesso, dello stato fisico, delle eventuali altre malattie che un paziente può avere. Questo comporta appropriatezza e quindi risparmio per il sistema e soprattutto tutela il malato”.  

Lo studio registrativo è come la bibbia per il nuovo farmaco?

“In un certo senso sì perché è un documento che viene pubblicato su una rivista importante europea o americana e in esso si distinguono le caratteristiche del farmaco, e dei pazienti,  sottoposti alla sperimentazione e la performance che il farmaco ha prodotto con gli effetti collaterali. Il gruppo applica questa metodologia di studio, ben codificata e riproducibile e fa un’analisi delle caratteristiche e da lì si hanno indicazioni corrette per il malato.

Diverse regioni guardano al Grefo come un’istituzione autorevole, cercano di applicare questo metodo. Anche per noi clinici che all’inizio potevano vedere questo organismo come un controllore esterno, una limitazione alle scelte, andando ad esaminare bene lo studio registrativo ci si rende conto che questi farmaci, oltre ad essere ad alto costo, hanno anche tanti effetti collaterali. Al paziente si può chiedere un prezzo in termini di effetti collaterali se ne ha un giovamento per la malattia in atto, altrimenti non è etico consigliarglielo. Io stesso ho imparato moltissimo lavorando in queste commissioni”.  

SISTEMA SANITARIO: LA REPUTAZIONE DI PIACENZA

Se tutto questo avviene a Piacenza perché capita di sentirsi dire, ma perché ti fermi a Piacenza? Perché non si sfata la convinzione che qui non si può avere il meglio?

“Secondo me dobbiamo ancora fare tanta strada. Tutti i giorni mi trovo a discuterne con i colleghi. Dobbiamo fare tanta strada proprio sulla presa in carico del paziente.”  

Presa in carico, è un mantra che si ripete spesso anche negli incontri ufficiali di politica sanitaria. Ma che significa?

“Presa in carico significa dire che il paziente qui può trovare una struttura che si impegna per  fare quello che c’è di meglio al mondo e per quella malattia, se non ci riesce a Piacenza,  è necessario collegarsi con altre strutture che possono dare in più ciò che non si riesce ad ottenere a Piacenza. Noi come ospedale lavoriamo in questa direzione.

Come oncologia, ma anche come chirurgie oncologiche. Una persona può guarire dal tumore se può essere operata e quindi il ruolo fondamentale della chirurgia. Da qui il nostro impegno con le chirurgie, radiologia, anatomia patologica, e di altri reparti di garantire al cittadino tempi certi  d’intervento, presa in carico in modo adeguato e sicuro, e poter dire, in base  alle conoscenze che ci sono al mondo, “Ecco, la cura migliore è questa, se non riusciamo a farla noi siamo in contatto con questi centri e ci pensiamo noi a farla arrivare là”.

Poi uno può dire, “no grazie, ma preferisco andare altrove e scelgo io”.. Tuttavia noi facciamo ancora fatica a comunicare queste possibilità. È necessario strutturare bene i percorsi diagnostici-terapeutici per i maggior i tipi di tumore, polmone, tratto gastrointestinale, mammella e poi i tumori genitourinari (vescica, rene e ovaio).

Su questa filiera abbiamo individuato una figura di raccordo, chiamata case manager. Molte persone vanno via ancora oggi da Piacenza per questa sconnessione. Piacenza deve fare ancora diversa strada per far acquisire la percezione nei cittadini che qui si è curati bene. E dobbiamo farlo prima di tutto con buoni professionisti,  una buona organizzazione e poi cercando di fare percepire al cittadino che tutti i reparti sono interconnessi, collaborano e che non lasciano vuoti tra di loro.

Finalmente sta nascendo il “pronto intervento diagnostico oncologico” (PID). Questo sistema in provincia di Bergamo ha dato buoni risultati e noi stessi lo abbiamo sperimentato in Valdarda quando ha chiuso l’ospedale. È un modello organizzativo a cui tutti, dal medico di base, al paziente possono accedere chiamando un numero telefonico per avere le informazioni su che cosa fare  nel sospetto di malattia oncologica,  mancava, ora ce lo stiamo strutturando”.  

SISTEMA SANTARIO. PROGETTO NUOVO OSPEDALE. A CHI SERVE?

Ospedale, è necessario, non è necessario, si farà? E sarà la strada per avere strutture adeguate?

L’ospedale nuovo è una grande opportunità che non dobbiamo perdere. Personalmente non so bene quali siano i criteri con i quali le Autorità Regionali decidono che un ospedale è vecchio e bisogna farne uno nuovo. Tuttavia ora è importante procedere.  So che la direzione dell’ASL di Piacenza, assieme al Collegio di Direzione ed altri professionisti dell’ASL ha stilato un  documento programmatico in cui si evidenzia la necessità di un nuovo ospedale nella nostra città e valuta anche il ruolo e le principali caratteristiche del nuovo ospedale. E’ importante capire di quale ospedale avremo bisogno tra 15-20 anni.

Occorre vedere come cambiano non solo le malattie, ma anche le cure delle malattie. C’è stata un’evoluzione veloce che sta cambiando e cambierà vari aspetti di un ospedale dalla numerosità dei reparti e dei posti letto, come si ridurranno certi interventi chirurgici, certi interventi di trapianti d’organo, e anche di cellule, di staminali-midollo osseo, ecc questo cambierà probabilmente modificando il bisogno di una risposta sanitaria come quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

Infatti l’intervento farmacologico sta cambiando forte e velocemente la storia naturale di tante malattie. E’ di questi giorni la notizia del bambino con leucemia curato a Roma con la terapia genica chiamata CART-T, tale terapia potrebbe sostituire il trapianto di midollo, con notevoli vantaggi anche per gli adulti”.  

Ci saranno meno interventi perché si affacciano sempre più medicine per curare certe patologie?

“Sì, pensiamo soltanto ad esempio a quante operazioni di ulcera gastrica si facevano in passato, bene, oggi non si fanno più. E poi in ambito cardiologico si fanno meno bypass del passato perché si è aperta la strada alla Cardiologia Interventistica. Sta davvero cambiando tanto in medicina. Fare lo sforzo di capire cosa serve quindi è indispensabile. Riterrei giusto – e lo farò a mie spese – andare a vedere com’è ora la medicina negli Stati Uniti in un ospedale paragonabile a quello di Piacenza.

Quello che avviene negli Stati Uniti dopo 5-10 anni d’anni avviene anche in Europa, non per tutto, ma per buona parte sì. Del resto la terapia genica CAR-T è stata sperimentata negli USA nel 2012 per la prima volta, 6 anni dopo si sperimenta anche in Italia.  Vorrei vedere anche in Francia, che su alcune cose è molto più avanti di noi.

Nell’85 restai a Parigi diversi mesi all’Hospital S. Louis per uno stage su leucemia e linfomi e allora facevano cose che da noi si è  iniziato a fare dopo 15 anni come organizzazione del lavoro. Quindi prima di costruire, è necessario vedere nelle realtà più avanzate non tanto per l’aspetto dei farmaci che sono gli stessi, ma di fabbisogno murario, di posti letto, di tecnologie e di cambiamento delle cure, di umanizzazione delle cure.

E poi cosa importante, mentre di parla di ospedale nuovo non si dimentichi la presa in carico per  la cura dei malati di oggi. Non vorrei che fossimo distratti su questo obiettivo e pian piano si lasci andare quello che abbiamo. Se succede questo potremo fare l’ospedale più bello del mondo… ma se prima di averlo la gente riprende ad andare via…

E poi che dire, l’ospedale lo fanno certo i muri e le tecnologie, ma fondamentale sono i professionisti che ci lavorano dentro, quindi se non abbiamo professionisti bravi, infermieri bravi non si va molto lontano. Da qui l’importanza di avere le risorse umane adeguate e far sì che Piacenza diventi attrattiva. E per diventarlo deve fare un po’ di cose”.    

A cominciare dalla spinta alla ricerca?

“La ricerca è importante, è importante pubblicare sulle riviste scientifiche, è importante una maggiore attenzione da parte delle Istituzioni nei confronti di chi fa ricerca cercando di premiare chi fa ricerca. Noi come professionisti cerchiamo di farlo. Cerchiamo di fare gruppi di lavoro, di trovarci, di parlare tra il gruppo ricerca e innovazione ma poi…”  

Altri reparti fanno ricerca?

“Si certo, oltre al nostro reparto molti altri reparti dell’ASL di Piacenza fanno ricerca clinica.  

Ricerche d’accordo, ma cresce l’anti scientificità che dire come vincerla?

“Non è facile, perché ognuno può dire il proprio pensiero e non è facile a parole dimostrare che la mia affermazione è migliore della sua, posso dire però che vi sono metodi accettati e validati dalla comunità scientifica e questi metodi dovrebbero essere utilizzati anche per mostrare il risultato contrario, per confutare un risultato, una teoria o pratica scientifica. Se una vaccino si dimostra efficace a chi dice che invece non funziona, bisogna chiedere di dimostrarlo attraverso la stessa metodologia. Non basta dire non funziona e basta. Ci vuole un riscontro pratico, concreto, reale e leale. La scienza si misura non sulle opinioni, ma sui fatti.

sistema
Il professor Cavanna durante una manifestazione dell’Associazione malato oncologico Amop

Non mi trincero dietro la parola magica “scienza”. A parole si può dire tutto e il contrario di tutto. Se al cittadino non viene spiegato in modo comprensibile come si fa ad arrivare a dire che una medicina può essere efficace, chiunque può metterlo in dubbio. Si crea una Babilonia e chi ne fa le spese è il più debole. Un sistema che funziona dovrebbe tutelare il più debole non con l’imposizione, ma con il convincimento. Voglio ricordare una frase che disse tanto tempo fa un grande medico del lavoro sul tema del potere e del sapere. La frase recita più o meno così: “Chi più sa meno usa il potere perché sa di saper convincere, chi meno sa più usa il potere” vale anche per gli antiscientifici”.  

Quindi, stringi stringi, dopo un’ora di conversazione siamo arrivati alla conclusione che è sempre un problema di conoscenza, comunicazione?

“Certo e direi anche di rispetto delle persone. Ma questo sarebbe un altro argomento da approfondire. Vediamo che in ogni ambito si rischia il venire meno del rispetto delle persone. Prevale la logica del più forte. Ovunque e questo non può piacere, non porta ad una buona società”.

leggi anche https://www.antonellalenti.it/2020/01/sanita-allerta-esempio-states.html

tratto da 
https://lenticontatto.blogspot.it/2018/02/terzo-millennio-quale-salute-luigi.html

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2 Comments

  1. Vittorio Melandri Reply

    Parto dal Catalano di quelli della notte.

    Potendo scegliere fra un ospedale nuovo ed uno vecchio, chi mai sceglie il vecchio?

    Or bene tutta l’intervista del prof. Cavanna spiega autorevolmente come i problemi della sanità abbiano radici profonde, (che hanno cominciato ad assorbire risorse almeno dal 1992, quando è partita la contro-riforma vs. la 833).

    Da almeno un paio di decenni il tema delle priorità è diventato dirimente, e l’intervista permette al profano, molto chiaramente, di coglierne più d’una

    Come è possibile collegare tutto quanto così bene illustrato, liquidando la domanda sul “nuovo edificio chiamato ospedale” con l’affermazione spesa a sostegno … che “è una opportunità”.

    Sars-CoV-2 è una sciagura, ma come una cartina di tornasole, mette in evidenza che le chiare analisi del prof. Cavanna, stanno al “nuovo edificio chiamato ospedale” come la notte al giorno.

    Non resta che sperare in una rivisitazione delle priorità e delle vere opportunità.

    • Grazie Vittorio Melandri per il tuo commento. Sottoscrivo. Spero come te che si rivisitino e si ripensino tante scelte al ribasso che sono state fatte in questi ultimi decenni spinti dall’orticaria verso tutto quello che era pubblico, considerato un lusso che non ci si poteva più permettere (?!?!) Ora con questo covid abbiamo capito che ci restano se quello che abbiamo in sanità era un lusso ci restano pochi preziosi gioielli di patrimonio. Quindi non solo è bene non proseguire nella dissipazione, ma è necessario metterli al centro di una politica di ricostruzione vera, profonda e seria. Investire insomma su quello che c’è di buono. Sapremo farlo? Tutto questo lo spero. Se poi avverrà lo vedremo o lo vedranno quelli che restano. Molto dipenderà anche dalla capacità di vigilanza che i cittadini sensibili a queste cose sapranno esprimere. convincendosi che non si ottiene nulla girando le spalle e fingendo di non vedere le faccende politiche, Così facendo si lasciano le briglie sciolte a chiunque. Non è così che dovrebbe essere. Partecipare alla vita pubblica a quello che si decide e che ha riflessi sulla vita di tutti è fondamentale il contrario delle deleghe in bianco… non soddisfano mai e tanto meno se date agli “uomini” cosiddetti forti.

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