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Università, a Piacenza sarà storia?

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Università a Piacenza sarà storia?

Formazione, integrazione con la città la scommessa del protocollo siglato tra Comune Cattolica, Politecnico, Università di Parma e Conservatorio Nicolini

Piacenza città universitaria, sarà storia? È la domanda spontanea che arriva leggendo la notizia del protocollo d’intesa che prevede iniziative strutturali per ramificare nel tessuto della città la presenza degli atenei di Cattolica, Politecnico, Università di Parma a cui viene associato il Conservatorio Nicolini riconosciuto così centro di formazione universitaria della musica.

Al Conservatorio, tanto sedimentato nella città ma anche tanto aperto al mondo, potrebbe spettare il ruolo di collante tra realtà diverse diventando anche un seme culturale con cui alzare l’attenzione di studenti provenienti da varie parti d’Italia e dall’estero. Cosa se non la musica può avere quel tocco magico capace di unire le diversità?

Un progetto ambizioso e che si prospetta impegnativo per chi dovrà tessere questa tela ancora tutta da comporre.

Un altro step di curiosità personale spinge a porre alcune domande che riguardano alcuni nodi da sciogliere, indispensabili per delineare un nuovo profilo anche per la città. Sotto ogni aspetto a cominciare da quello urbanistico che pone la necessità di spazi per ospitare i fuorisede. Perché nella modernità tutto si tiene, anche se apparentemente non sembra.

E quindi ci si domanda che cosa è necessario avere per sentirsi all’onore del mondo “città universitaria” come tante ce ne sono in Italia e in tutto il mondo? Fermandosi alle piccole dimensioni urbane si va da Macerata, a Camerino (colpite a morte dal terremoto del 2016) fino alle più internazionali, come Urbino ecc… per tacere di quelle più antiche vicine a noi come Parma e Pavia che hanno storie plurisecolari.

Quali potrebbero essere i requisiti perché Piacenza possa sentirsi città universitaria (visto il suo recente affacciarsi a questo ruolo) e non già solamente e prosaicamente spazio urbano che ospita edifici adibiti a università? Tra le due opzioni ci sono sensibili differenze qualitative e di prestigio.

È un interrogativo di lunga data che ricorre frequentemente. Tante volte si è parlato del fatto che l’Università, a partire dal primo insediamento della Cattolica, non dialoga con il tessuto sociale urbano in cui è inserita. Fino a questo momento possiamo constatare che apparteniamo ancora alla seconda categoria. Piacenza è una città che accoglie sedi universitarie senza che la loro presenza si avverta anche in termini di scambio culturale evidente. Ma si sa, per queste cose ci vuole tempo, molto tempo.

Che significato ha per la prospettiva degli stessi atenei e degli studenti che li frequentano oltre che per Piacenza quel protocollo inclusivo siglato nei giorni scorsi dal Comune, Conservatorio Nicolini con le università? A parte le dichiarazioni d’intenti contenute nel documento stilato e sottoscritto a cui era presente anche la ministra Anna Maria Bernini, resta da vedere quali saranno gli atti concreti che saranno attuati per tradurlo concretamente.

Talvolta le dichiarazioni d’intenti – e questo è uno dei casi – sono una cornice perfetta e idealmente inducono a pensare che una svolta decisiva e positiva si sia già compiuta. Ma in quanto solo cornice è necessario costruirne il contenuto che la cornice conterrà.

Questo impegna innanzitutto persone decise e spinte a dare concretezza e realizzazione alle idee enunciate nel protocollo senza considerare poi le risorse necessarie per fornire i servizi agli studenti.

Tra le iniziative previste si parla di creazione di una comunità di studenti per il quale lavoreranno l’amministrazione comunale e i quattro atenei – attraverso: la creazione di un tavolo degli studenti universitari; la disponibilità di luoghi di formazione e aggregazione senza oneri per gli studenti universitari; la diffusione e la valorizzazione dell’offerta culturale, sportiva e ricreativa e attivazione di programmi ed iniziative congiunte per favorire l’integrazione e la residenzialità degli studenti universitari, anche con riferimento all’accoglienza della popolazione universitaria proveniente da altri Paesi.

Poi si prosegue con l’esecuzione di concerti degli studenti del Conservatorio di Musica Giuseppe Nicolini presso le sedi universitarie di Piacenza; l’organizzazione, anche attraverso l’attività e le competenze dell’Ufficio Informagiovani, di attività finalizzate all’orientamento universitario e lavorativo, alla continuità educativa e alla prevenzione della dispersione, anche organizzando eventi a tema; la promozione del civismo attivo e del volontariato universitario con finalità di pubblica utilità e per l’estensione temporale dei pubblici servizi come ad esempio l’apertura serale di biblioteche e aule studio”.

Lo scopo di questa iniziativa è doppiamente ambizioso perché oltre agli obiettivi strettamente collegati al protocollo sopra citati se ne intravede un altro forse più difficile da creare perché liquido e impalpabile e che risponde a un’altra domanda: quanto la presenza delle università, quindi di luoghi di formazione e cultura alti, possono incidere e contribuire a migliorare il sistema sociale nel suo complesso della città?

Quanto la presenza consolidata esistente delle facoltà e dei corsi già presenti da anni hanno lasciato su questo territorio? Quanta simbiosi si è creata tra il Polo universitario piacentino in attività  (Cattolica presente orma da 70 anni con Scienze agrarie e alimentari, Scienza della formazione, Economia e Giurisprudenza; Politecnico con i corsi più recenti di ingegneria e architettura, università di Parma con la Scuola universitaria infermieristica e Medicina in inglese) e il tessuto cittadino?

Domanda non da poco visto il tasso di invecchiamento della città e il fatto che i giovani da Piacenza se ne sono spesso andati (e se ne vanno) in cerca di opportunità di lavoro altrove, anche all’estero. Infatti se fino a qualche decennio fa, per gli ex giovani, l’orizzonte più ambito era Milano oggi spazia sul mondo intero.

Integrazione con la città significa anche questo: tessere una tela inclusiva dove si possano intravedere occasioni favorevoli non solo di lavoro ma anche di una qualità della vita migliore, che soddisfi le curiosità culturali e appaghi il desiderio di esperienze e di relazione che da sempre i giovani esprimono. E questo si traduce in una città più aperta… anche alla confusione che qualche volta la socialità porta. Su questo fronte c’è molto da fare.

Gli amministratori che sono stati i promotori della proposta –  insieme alle Università che l’hanno accolta – hanno sul tavolo un’agenda fitta da portare a compimento che impegna a tutto tondo.

A cominciare dalle sedi (per i nuovi corsi di studio ancora provvisorie), dagli alloggi per gli studenti (pochi e costosi) ma non ultimo tutti i nodi irrisolti che se affrontati (finalmente) potrebbero davvero aiutare ad elevare il livello della qualità della vita – non solo in termini di denaro posseduto dalle famiglie in cui da decenni Piacenza primeggia – ma anche per servizi a cominciare dai trasporti (molto carenti nelle ore serali), aria buona e un ambiente a misura umana.

Un fatto è certo, per essere una città universitaria occorre che tutti noi ne abbiamo consapevolezza e determinazione, anche i cittadini. In riferimento alla citazione delle altre città universitarie minori fatto all’inizio di queste considerazioni, va detto ad esempio che spesso si tocca con mano una “distanza” emotiva tra la città e gli studenti che la abitano temporaneamente tanto che – come nel caso di Macerata – l’intero centro storico appare come una grande aula universitaria che si sviluppa su una collina che degrada verso la valle – dove però poco spazio resta per la quotidianità della vita. Immagine suggestiva anche se riduttiva. Ma quella è un’altra storia.

C’è poi anche un altro risvolto che s’innesta sul futuro lavorativo e innovativo che dalla conoscenza può derivare al territorio che però deve essere al passo con quella formazione universitaria che cresce e di perfeziona altrimenti l’aggancio e l’innesto potrebbe non funzionare. Discende quindi anche da questo elemento un altro interrogativo che investe il tipo di sviluppo, la qualità del lavoro che si vuole costruire. In questi ultimi vent’anni le scelte non hanno portato alla creazione di lavoro di qualità.

Quindi le potenzialità di una visione sistematica – che parta dall’ente pubblico in stretta connessione con le università – può far germinare una prospettiva nuova che elevi questo territorio da una funzione di stoccaggio di materiali in transito a qualcosa di più che metta in campo intelligenze, apprendimenti e alta formazione che le università sicuramente garantiscono. E questo sembra essere uno scopo preciso dell’iniziativa a cui ha lavorato l’assessore Francesco Brianzi.

“Essere una città universitaria significa avere nuovi studenti che arrivano e abitano qui e potenzialmente potranno fermarsi a lavorare nel nostro territorio”. Ha sottolineato infatti la sindaca Katia Tarasconi.

A questo ha fatto riferimento anche il presidente della Regione Stefano Bonaccini presente alla firma del protocollo che parla di  “una grande opportunità”. In Emilia Romagna quasi la metà degli studenti iscritti alle università non sono residenti in regione. Con i problemi demografici di tutto il paese – ha poi aggiunto – conoscenza e formazione saranno elementi che determineranno la capacità competitiva di un territorio.

Di questo, a detta di tutti e da tanto tempo, come di forze e cervelli freschi Piacenza avrebbe bisogno come di aria pulita. Perché nella modernità niente è un bozzolo: tutto si tiene.

Antonella Lenti

università

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