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Pantaloni, passaggio d’epoca, ma l’abito femminile resta un pretesto per catalogare le donne tra bene e male

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MODA&MODI – Pantaloni, un passaggio d’epoca, ma l’abito femminile resta un pretesto per catalogare le donne tra bene e male

Si è tentate dai pantaloni. Cosa c’è di più comodo, libero di un paio di pantaloni. In bicicletta soprattutto non devi continuamente tenere a bada gli svolazzi di abiti e gonne che spesso fanno l’occhiolino e sembrano voler andare incontro al sole e al vento.

I pantaloni no.

Vestono tutte, fanno sentire a proprio agio. Ma fanno caldo. Tante volte esageratamente caldo. Perfino la pelle diventa di troppo se il sole picchia come in questi anni ha preso a picchiare con insistenza e per settimane a 40 gradi e più.

Ma i pantaloni in estate, inverno, primavera o autunno restano un must. E per l’estate 2022 ce ne sono di ogni forma e colore. In grande evidenza il verde, nelle sue declinazioni fantasia o monocolore in tutte le tonalità. Omaggio alla transizione ecologica tanto sbandierata quanto ignorata nei fatti concreti. Ma i pantaloni sono lì a ricordarcelo e nell’abito almeno la svolta verde è proclamata, raggiunta. Ben sapendo quanto potrà essere effimera… un inciampo di stagione.

I pantaloni non si abbandonano, di qualunque colore o foggia. Al momento dell’esordio, con quel fasciare le gambe delle donne, qualcuno sicuramente avrà sentenziato che sarebbe stata una moda effimera, poco duratura e, se mai, adatta a donne senza un fisico da mostrare agli sguardi. Scarsa capacità di visione.

Complice anche la convinzione secondo cui le donne da sempre – così corre voce nei corridoi di una società poco evoluta e incapace di andare oltre gli stereotipi – si vestono con ricercatezza perché è l’arma di seduzione su cui fanno leva. Come se non si avesse null’altro a cui pensare. Luoghi comuni radicati in un passato anche recente che restano latenti anche senza mostrarsi troppo in evidenza.

Anche la cinematografia ci riporta indietro nel tempo mostrandoci che per le donne lavoratrici era di rigore il grembiule. Uniforme portata anche negli uffici o a scuola. Ricordate le maestre con il grembiule nero o bianco?

Per le donne non era serio mostrarsi con i loro abiti espressione di una personalità e soprattutto di forme che andavano celate. Questo non poteva entrare a scuola o in ufficio, qui le donne erano prima di tutto la loro funzione e l’esibizione della loro femminilità avrebbe potuto fuorviare. Riemergesse pure una volta uscite, una volta tornate nella sede naturale, la famiglia. Ma nel ruolo pubblico erano meglio coperte…

E se i pantaloni, che i benpensanti adattavano a donne androgine senza una vera femminilità intrinseca, sono rimasti con tanta predominanza nel vestiario femminile ci conferma di come gli abiti e le novità negli abiti modellino anche la forma del costume delle epoche vissute e che viviamo. Anche se gli abiti vanno più veloci delle convinzioni tanto radicate e perciò dure a morire.

Ricordiamoci di quando faceva scandalo addirittura mostrare la caviglia in abiti troppo corti per il perbenismo conclamato imperante a inizio 900. E ancora però non dimentichiamo di come l’abito delle donne, in alcune zone del pianeta, ancora debba rispondere a canoni precisi di cui le donne diventano mute e supine indossatrici, ma non certo ideatrici.  

Oggi i pantaloni sono la norma e ciascuna di noi senza accorgersene nel suo guardaroba potrebbe scoprire di averne in numero superiore ad abiti e gonne. Ma non dimentichiamo che il portare i pantaloni era l’espressione ricorrente in cui nelle famiglie patriarcali di qualche decennio fa si ricordava alle femmine di tenere bene a mente “Non dimenticarti chi in casa porta i pantaloni”. E non era certo una donna.

Quindi viva i pantaloni se hanno contribuito a migliorare la qualità della vita delle donne con se stesse. Tanto di guadagnato.

Però attenzione se i pantaloni dominano i guardaroba femminili non è tutto liscio riguardo a tutto quello che le donne decidono di indossare.

Si passano ancora in rassegna gli indumenti per decretarne l’accettazione o il rigetto. Si fanno strada parole riferite a ciò che viene indossato che ci parevano dimenticate come onorabilità, decenza, consono, adatto alle circostanze.

E questo applicato al cliché del vestito non va bene. La valutazione ancora una volta si concentra sul vestiario femminile e quindi sul suo corpo e quindi sul suo essere. Ed è una pessima cosa.

Hanno fatto clamore qualche tempo fa le prese di posizione in alcune scuole per vietare alle ragazze di indossare corpetti tanto ridotti da lasciare scoperto l’ombelico. In classe non si può.

Bene, da un lato c’è la regola, se c’è.

Dall’altro c’è tutto il racconto – il solito racconto – che sta dietro all’atteggiamento censorio con cui si guarda al corpo delle donne e a quello che indossano.

E oggi come ieri non va bene. Perché questo comunica che tanta strada resta ancora da fare se la valutazione esteriore è basata solo sul tema di bene e male.

L’armonia dei corpi con l’abito che si sceglie di portare non deve mai essere messa in secondo piano rispetto all’elemento dell’esibizione fine a se stessa che sembra invece essere dominante. Quell’armonia è semplicemente un fatto estetico e non di altro genere.

Da mettere in evidenza poi il tema della libertà nella scelta e nell’espressione del gusto personale che ciascuna di noi vuole comunicare quando sceglie un tipo di abito o un altro. In questo gesto banale semplice, quotidiano, entrano in campo i sedimenti, i bagagli che ciascuna si è formata nel corso della sua vita, quelli maturati, quelli appresi dai modelli più familiari fino a quelli più in vista da cui tutti, anche involontariamente, siamo contaminati.

Deve essere questo il discrimine e non altro.

Il come porsi agli altri deve uscire da quello che siamo e quello che siamo deriva dal nostro contesto di vita.

Tutto si tiene. Il nostro sentire e il nostro mostrarsi diventano un tutt’uno. Talvolta però capita che uno diventi la maschera dell’altra e allora l’apparire attraverso l’abito può diventare un messaggio esteriore che vuole esprimere forza e determinazione che si deve esibire perché non si è convinte di avere davvero, come se si volesse esorcizzare quel timore che si sente salire dal profondo di sé ogni volta che si deve affrontare il mondo.

Nell’età dell’adolescenza in particolare il conflitto in se stesse rischia di diventare molto forte. Chi di noi non ha mai cercato nell’abito (ma anche il trucco è un veicolo di questo tipo) la strada più semplice per esprimere protesta, necessità di essere considerate, apprezzate, viste per il timore di restare confinate in un grigio anonimato?

In una condizione di tale debolezza le rigidità non fanno altro che ottenere l’effetto contrario e spingere ancora di più nella direzione indesiderata. Chissà se in un futuro lontano si riuscirà a sgrossare la vita civile da tante inutili costrizioni.

info@antonellalenti.it

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