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Cerimonia, gli abiti ammiccano dalle vetrine. Anni 20, un salto nel passato

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Cerimonia, abiti ammiccano dalle vetrine. Un salto nel passato

Vestiti da cerimonia. Sono tornati. Ispirati dai tanti programmi televisivi molto trash su matrimoni, battesimi, cresime ecc… tutte quante le feste famigliari (ricorrono ormai persino i giorniversari, mesiversari…) tese a far risaltare come si sta bene in famiglia e quindi per esaltare la convenzione anche l’abito si adegua.

Se diversi anni fa faceva “in” presentarsi a un appuntamento “mondano-nostrano” con qualcosa di eccentrico che ti facesse notare e risaltare tra la massa ben vestita ma tutta uguale, a quanto pare il costume è cambiato. Forse un tantino involuto?

Presentarsi a una festa addobbati da eccentrici lanciava subito un messaggio agli astanti “Carini, sono qui con voi ma, come vedete, sono diversa da voi…” e ancora si voleva comunicare di avere la situazione in mano e di poter osare a bistrattare le convenzioni perché le convenzioni da sempre sono la morte della creatività… Insomma quel clima che portava l’etichetta dell’anticonvenzionale per definizione sembra morto e sepolto.

Se l’anticonvenzionale era un titolo di merito nella mischia di ieri le cose sono molto cambiate.

Di recente a Ravenna ho contato ben quattro negozi in meno di un chilometro di abiti proposti “per cerimonie”, in velo, di vari colori, ornati con ricami e volant, anche per taglie forti-forti-davvero.

Nel tempo in cui si proclama ai quattro venti l’intenzione di non voler “lasciare nessuno da solo” almeno nell’abito ci si prova. Semplice, basta attrezzare la macchina che in fabbrica taglia i tessuti e tararla su misure più per “over” e il gioco è fatto.

Almeno all’apparenza nessuno resta da solo. L’alternativa? Presentarsi con i soliti abiti, ma si verrebbe subito classificati tra i disadattati che neppure possono permettersi un abito per l’occasione. Via libera agli abiti da cerimonia.

Per quelli a cui piacciono queste soluzioni la strada è spianata, tanto più che sono a poco prezzo e quindi tutti possono permetterselo. E se una cosa è a poco prezzo e all’apparenza ti può far sembrare la Cenerentola che diventa principessa per un’occasione particolare che male c’è? Già che male c’è…

Nessuno certo. Se non il modello, non dell’abito ma del costume che si adegua e scimiotta il mondo lucido e luminoso che ci affascina. Da sempre. Cosa c’è dietro l’abito da cerimonia che torna nelle vetrine in questi squinternati anni Venti? C’è sì il desiderio di  un mondo a colori (dove vince su tutti il rosa) un mondo fiorito che profumi di albe dorate e tramonti infuocati dal sole e non dagli obici. La linea, la sofficità dei tessuti, la loro leggerezza ripetuta in tante vetrine che punteggiano la via del commercio di una città importante come Ravenna fa pensare al desiderio di un mondo fatato al pensiero che su una nuvola anche per un momento ci si possa staccare da una realtà che invece è tutt’altro che fatata.

Che sia il ritorno del bon ton? Potrebbe essere il bon ton e ora come allora col compito di incipriare per coprire e mettere in secondo piano, per un giorno almeno, per una cerimonia in famiglia le preoccupazioni del domani.

Pensando a quel periodo ho provato una certa tenerezza rinverdita dalle vetrine per gli abiti da cerimonia perché l’immaginazione ha cominciato a galoppare. A quando a una delle zie venivano commissionati gli abiti per le cerimonie del tempo. C’era la sorella che si sposava e la signora in questione doveva esserne la testimone.

Impegnativo il lavoro di preparazione che iniziava con la ricerca del tessuto, del colore, del peso (a seconda della stagione doveva apparire fresco, lezioso quanto bastava, e spumeggiante il giusto senza scivolare nel troppo frivolo oppure caldo, ma non pesante che avrebbe appesantito e ingoffito) su tutto si discuteva anche del copricapo (le più raffinate non ne potevano fare a meno). Poi seguiva il modello. C’era chi arrivava già con le idee chiare.

Aveva visto qualcosa su una rivista e voleva che fosse replicato per sé. Ieri come ora le donne coinvolte nel gioco dell’abito da cerimonia non si curavano se la forma dell’abito dei sogni  fosse adeguato a far risaltare il loro corpo, a valorizzarlo. Era l’abito dei sogni e lo volevano con cupidigia e convinzione anche a costo di essere ridicole. Vani i tentativi della zia di convincerle che forse con una rendigote invece di uno spezzato (non capivo ma immagazzinavo) avrebbe risaltato di più il suo portamento…

C’erano poi alcune signore, eterne indecise, che con la pezza di tessuto acquistata al negozio pendevano dalle labbra della zia da cui si aspettavano suggerimenti, illuminazioni e proposte che le avrebbero trasformate per quel giorno, per quelle ore cruciali della loro vita.

Quelle sessioni di moda erano interminabili perché si parlava di tutto, dalle scarpe più adatte, al tipo di borsa fino ai guanti, accessori che dovevano essere tutti coordinati. Lo spaiato è subentrato dopo, molto dopo, quando la moda si è fatta più anarchica e ha virato verso le stile personale, libero, sciolto e basato esclusivamente sulla capacità del buon gusto personale.

Quel tempo anche oggi è tramontato del tutto. In un’apparente libertà di proporsi infatti si è fatta strada irrimediabilmente l’uniforme che se dà l’illusione di vestirsi come piace a noi in realtà finisce per farci tutte uguali.

I tempi del primo bon ton erano basati sulla lentezza che inglobava tutto. A cominciare dalla decisione di farsi un abito nuovo, avendo attenzione però di non esagerare e utilizzando anche qualcosa del precedente abito fatto qualche anno prima per un’altra cerimonia. Ecco: scarpe, borsa e guanti quasi sempre accompagnavano le cerimonie di tutta una vita.

La preparazione dell’abito da cerimonia era un rito a cui mi piaceva assistere. Guardavo, tacevo, fantasticavo, immaginavo e mi chiedevo se quando sarei cresciuta anch’io mi sarei trovata davanti a una sarta per chiedere l’abito importante per trasformare la mia figura in quella di una principessa, chissà perché pensiamo alle principesse come fossero sempre icone di bellezza e non persone in carne e ossa, difetti compresi. Comunque il mito della principessa per quel giorno era presente, per la cerchia delle persone coinvolte nello sposalizio, nella comunione, nel battesimo… Poi quel rito non c’è stato e delle principesse non mi curo.

E oggi provo tenerezza nel vedere quelle vetrine perché mi fa tornare alla mente un mondo antico sepolto in convenzioni rifiutate e denigrate per una vita.

info@antonellalenti.it

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