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MODA&MODI- Economia di guerra Strade dello shopping lastricate di rate

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Economia di guerra del nuovo secolo. Le strade dello shopping lastricate di rate

Dopo un’economia pandemica arriva l’economia di guerra. Che dire, scordiamoci i fasti (se mai ci sono stati) con cui abbiamo vissuto negli anni scorsi? Significa che ci dovremo concentrare sulle primarie necessità. Ammesso che riusciremo a soddisfarle. Potrebbe essere questa la scommessa su uno scenario di là da venire (forse molto ravvicinato) che potrebbe riservarci uno shock sgradito. Contesto in cui dall’oggi al domani potrebbero scomparire tanti riti utili e mooolto inutili. Tra questo lo shopping. Diciamolo senza veli: lo shopping è inutile. Però…

Se succedesse sarebbe un disastro. Quante persone campano intorno allo shopping contando sul fatto che tantissime persone mensilmente si concedono “contentini” per soddisfare e colmare le angosce accumulate in famiglia o sul lavoro? Se quel rito scomparisse (lo abbiamo visto in tempi di pandemia) bisognerebbe sostenerlo gravando su tanti punti di Pil…

Se questa è la parte seria del discorso che non si vuol qui trattare  naturalmente ce n’è anche una molto più frivola che investe le schiere di persone che, una volta alla settimana o al mese, si concedono all’esercizio dello shopping che non può certo scomparire… Con cosa sostituirlo altrimenti?

Sarebbe un colpo duro per le innumerevoli modaiole che, sacrificando una manciata di euro, arricchiscono il guardaroba di accessori e capi del tutto inutili che una volta portati a casa si sgonfiano come i soufflé. Questi ultimi si sa sono famosi perché ti fregano appena tolti dal forno. Ecco, gli acquisti “per togliersi una soddisfazione (si dice sempre così)” ne sono gli emuli: appena arrivati a casa si sgonfiano e non si capisce la ragione di averli appena acquistati.

L’impalcatura appena descritta si regge grazie a chi non si accontenta di quello che ha (hai voglia a ripetere che è questo il segreto della felicità… non quaglia per niente). Se chi vende avverte il sentore che l’impalcatura stessa su cui si regge il suo lavoro potrebbe crollare da un momento all’altro, immediatamente escogita piccoli rimedi per cercare scampo dal pericolo, almeno nell’immediato.

Rimedi ingenui (ma non troppo) che strizzano l’occhio alle passanti depresse perché avvertono un improvviso calo di potere d’acquisto dei pochi euro guadagnati a fatica.

Strategie di vendita per spingere a pensieri più lieti, per invitare a non tenere conto dei tempi bui che stiamo vivendo, a non pensare negativo, a cose tipo “non si sa mai di cosa potremmo avere bisogno e quindi metti da parte e non spendere quel poco che hai per la soddisfazione del momento”.

L’incertezza e il rischio di una radicale modifica dei comportamenti da parte di chi compra abitualmente è un’insidia al sistema complesso dello shopping che ha alle spalle plotoni interi di lavoratori che producono materiali, capi e oggetti, li distribuiscono, li dividono sul territorio e noi destinatari finali, solo perché spinti da una paura immateriale, vogliamo infliggere una sì grama vita a tante persone? Il nostro buon cuore ci viene in aiuto e non faremmo mai nulla che potrebbe affamare intere famiglie con bambini. Mai.

Le paure del domani quindi fanno fatica a intaccare la corteccia dei patiti dello shopping. Anzi può capitare anche la reazione opposta. In tempi difficili è facile che la spinta raddoppi. Trovano quella strada (la loro strada) l’unica per soddisfare piccole soddisfazioni che altrimenti se ci si affida alle incognite (meglio dire incubi) che la vita ha in serbo non otterrai mai. Perché privarsene allora se questi piaceri potrebbero essere gli ultimi? Vivi l’oggi non affliggerti del domani. Quasi una nuova filosofia che alleggerisce quella sensazione che fa sentire schiacciati su un presente insidioso.

Un sentire che gli esperti leggono ad occhio nudo nelle espressioni tristi e spaesate di chi già pensa di dover star fuori dalla mischia e imparare un verbo che non ha mai praticato perché sconosciuto: rinunciare. Non ne conosce il significato e quindi neppure il senso, per tacer dell’importanza e dell’etica formativa che racchiude in sé. Imparare a saper rinunciare fortifica certamente ma è un esercizio complicato quando il desiderio deve riposizionarsi molto indietro rispetto al punto raggiunto. Quindi si prosegue sulla strada di sempre. E’ quella che si conosce, non altre. Anche se è stagione da economia di guerra.

E’ per questo che il sistema del commercio viene incontro a un’esigenza quasi vitale e in quanto tale va alimentata. Il carburante per questa sopravvivenza si trova. Quello per il riscaldamento nel prossimo autunno sarà un altro paio di maniche ma in tempi difficili è bene affrontare le cose una per volta altrimenti la matassa diventa inestricabile.

Stiamo all’oggi quando, temendo un calo d’interesse (quando mai!) degli acquisti voluttuari certi marchi  hanno apposto sulla vetrina una nuova vetrofania “compri ora e paga a rate” un invito che è molto difficile rifiutare perché ha in sé una doppia tentazione.

Da un alto la possibilità di appropriarsi di cose nuove senza avere, immediatamente dopo quel senso di colpa che tende sempre a rovinare la soddisfazione del momento in cui l’acquisto è stato ben composto e sigillato nella shopper griffata pronta da esibire come un riconoscimento d’onore. Un gesto che sa molto di anni Ottanta  ma è proprio di loro che parliamo. Delle irriducibili acquirenti che si sono fatte le ossa in quella stagione in cui l’apparire era diventato un tutt’uno con la sostanza. Anzi di più.

L’invito “Compra a rate” però appare anche come un gesto che sa  un po’ di disperazione da parte di chi vende, che vede cedere spazi di sopravvivenza che si disperdono in diverse direzioni. Gli acquisti online che si sono fatti le ossa durante la pandemia; il proliferare di bancarelle dove a pochi euro puoi trovare il capo importante e questo oltre ad appagare per la poca spesa sostenuta ha in sé anche il piacere della scoperta, della sorpresa.

E, fatto una volta, è anche più piacevole del solito modo di comprare. E poi c’è il vintage che, insieme alla pacificante sensazione di sentirsi eticamente corretti perché non spreca nuove risorse per realizzare gli oggetti, consola perché si riesce a stare all’interno di un budget ragionevole. Qualche anno fa più di ora ma resta ancora conveniente. Insomma l’approccio nei confronti delle “cose” da desiderare è cambiato moltissimo anche se resta l’impressione che ci troviamo in una fase di passaggio da dove non si tornerà indietro. Non ricercheremo (almeno per un po’)  i fasti del passato ma è un momento informe in cui  non c’è ancora traccia di quello che sarà.

Sulla nostra testa e quindi sulle nostre vite, pesa l’incertezza di un’economia di guerra che si sta delineando. Intanto respiriamo a pieni polmoni se qualcuno ha la fortuna di avere un’aria non inquinata come a Piacenza. Altrimenti tratteniamo il respiro per tempi migliori sapendo che molto dipende solo da noi.

Antonella Lenti

info@antonellalenti.it

economia

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