MODA&MODI

Bello-freddo o sexy-kitch?

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M&M RUBRICA SEMISERIA DI ANTONELLA LENTI

*Attraversereste piazza Duomo, se foste una ragazza sui vent’anni, dalle forme come le donne di Botero con indosso un abitino nero, corto-corto, molto scollato sulla schiena con un laccetto pudico all’altezza delle scapole per trattenere le spalline ribelli che possono sempre tradire e scivolare lungo le braccia? Cadono sempre quando meno te lo aspetti e lasciano scoperto quel meraviglioso pink-bra che pure spicca al centro della schiena adiposa. Attraversereste mai piazza Duomo così? No?

Quanto pesano le convenzioni e quanto il buon gusto? Bene, me lo sono chiesta. E mi sono domandata anche come abbia potuto quella ragazza sconosciuta incrociata per caso sul mio cammino decidere che quello avrebbe potuto essere il suo abito da passeggio.

Perché si sceglie un abito e non un altro? Perché è l’oggetto ad attrarre la nostra attenzione e perché diventa un nostro desiderio averlo anche se non fa per noi? E un abito lo si sceglie perché ci piace o per l’effetto che si vuole ottenere portandolo in giro? E l’effetto che cerchiamo è quello del bello tout court, secondo i nostri parametri, oppure quel bello che bello non è proprio ma che ai nostri occhi ha “un che” particolare, un misto di kitch e di spinto che ci intriga e ci spinge a osare perché ci sembra sexy? Qual è insomma il portato di seduzione di quei teli cuciti insieme su cui si fissa la nostra attenzione? Effetto attrazione irresistibile, con buona pace del bello, del buon gusto, della fissazione estetica che, si sa, oltre un certo limite diventa anche una malattia tanto grave da indurre all’autoannientamento e alla “inaccettazione” di se stesse? Comunque sia nel caso della ragazza boterica tra gli estremi avrebbe potuto esserci una via mediana da percorrere. Un abitino nero scollato sulla schiena ok, ma non come un costume da bagno, un reggiseno quanto meno nero e perché no anche un dieci centimentri in più su quelle gambotte corte e tonde che non davano gran bella mostra di sé… bella forza, ma così sarebbe sembrata banale e si sa, gli estremi a volte affascinano di più. Deve essere stato questo il meccanismo  che ha portato una ragazza fuori misura a scegliere tra i tanti un abitino orrendo ma portato in giro con grande convinzione e orgoglio. Anche se l’effetto estetico-estetico è stato pessimo, tanto di cappello per la ragazza che ha superato quel limite.

Il dilemma si ripresenta con prepotenza. Perché giudicare chi ha osato oltrepassare il limite del “bello e freddo” per imboccare il brivido del “sexy-kitch”?

Interrogativi nati dall’osservazione. Domanda moralistica, mi son detta, meglio non curarsene, si scivola sempre nell’ interferire nella vita degli altri e chi siamo per farlo? La risposta è semplice: evidentemente quella ragazza accettava la sua dimensione fisica avendo buttato alle spalle ogni riserva “sulcomedeveessereuncorpoperstarebenevestito” si piaceva com’era. Ciò non toglie che quell’abito su quelle spalle e su quella schiena scoperta lasciava aperta la porta a quell’intento di sexy-kitch che trasudava da quel laccio rosa di reggiseno, a metà dell’epidermide a collegare due estremità molto lontane come un ponte, il ponte di Oresund o di San Francisco.

Giusto così. Chi ha stabilito come una ragazza sui vent’anni deve essere nei suoi abbigliamenti? Le regole. Ciascuno di noi sa che le regole a vent’anni stanno troppo strette. Alzi la mano chi nella sua carriera umana a vent’anni (ma anche oltre) non ha esagerato o provocato un po’. I vestiti, giocare col proprio corpo, in fondo  sono la cosa più innnocua che si possa scegliere per trasgredire.

*Pubblicato su Libertà il 19 agosto 2019

mail: info@antonellalenti.it

Photo by Kira Ikonnikova on Unsplash

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