SERPE IN SENO/SALUTE

SALUTE&DIRITTI- (2) Cavanna: ospedale nuovo, servizi territoriali e ricerca per una sanità moderna

Luigi Cavanna primario di oncologia: “Se il progetto naufragasse mi verrebbe voglia di lasciare questa città”. Attese per interventi, trasporti interni dei pazienti: le situazioni critiche si moltiplicano
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Cavanna: ospedale nuovo, servizi territoriali e ricerca per una sanità moderna

“La domanda cruciale da porre è una sola: ai malati stiamo dando una risposta adeguata ai loro bisogni che cambiano nel tempo? Chi dice no a un nuovo ospedale dovrebbe frequentare un po’ di più quello che abbiamo…”

Nuovo ospedale. Il dottor Luigi Cavanna ne delinea i contorni e nel corso del suo argomentare c’è un sì netto alla sua necessità. Non lo descrive come fosse il totem primario della sanità del futuro, ma la sua funzione e il suo ruolo lo considera una parte importante del tutto che, se adeguatamente attrezzato con professionisti, tecnologie e spinta alla ricerca può innescare un salto di qualità. Al pari indispensabili sono i servizi territoriali.

“Ci vuole un buon ospedale e ci vuole una buona medicina territoriale, guai a vedere queste due braccia dello steso corpo in contrapposizione. Sostengono lo stesso organismo. Certo che il territorio va potenziato, ma non ci sarà una buona medicina territoriale senza una buona medicina dell’ospedale e viceversa”. Ma la qualità arriva anche dalla ricerca ed è su questo punto che lancia un appello al sindaco che verrà. Si adoperi perché Piacenza non sia inferiore alle altre città (Parma, Reggio e Modena) che hanno canali di finanziamento sulla ricerca. I nodi sono questi.

Per dare forza alle sue convinzioni e contestare il no all’ospedale arriva a spingersi nel paradosso dicendo: “Si può optare anche per l’assenza di un ospedale, ma per certe cure, per sopravvivere e per vivere è indispensabile avere un ospedale. Quando ero un giovane medico (ma anche ora) avrei voluto che le società civili, avanzate potessero essere senza ospedali…” La realtà è un’altra, lascia intendere il dottore. Conoscere per credere.

Ed è il punto che mette in evidenza nella conversazione a distanza da cui è scaturita questa intervista, a cui ha risposto dividendosi tra un convegno in presenza e una call in veste sia di professionista sia di presidente di Cipomo (Collegio italiano dei primari oncologici). Confessa che avrebbe preferito non parlare di “un’opera che è non solo necessaria ma di più”.

Come a dire che dalle parole si dovrebbe arrivare ai fatti e che sull’indispensabile le discussioni sono fuori luogo. Comunque rimarca “Ho rispetto per chi dice no all’ospedale, ho tanto rispetto che non me la sento di convincerlo perché alla fine se uno dice no ha le sue convinzioni e per sua fortuna non ha avuto le necessità di utilizzare l’ospedale”.

Le sue parole hanno al centro il futuro della sanità piacentina declinata intorno al nuovo ospedale di cui tanto si parla e che è entrato in queste settimane di avvio di campagna elettorale nei confronti e nelle prese di posizione da parte dei candidati, pro o contro la nuova struttura. Ecco, il dottor Luigi Cavanna candidato non è, ma è un professionista di primo piano e tratteggia i motivi per i quali Piacenza non può attendere oltre un nuovo ospedale.

Accenna però a una specie di “maledizione” che a Piacenza rivive ogni volta che va presa una decisione su un ospedale, e arriva a una considerazione amara: “Potrei decidere di lasciare questa città – dice – se questa scelta si bloccasse” e mal sopporta che si parli del nuovo ospedale in termini di “consumo di suolo, come se si trattasse di una qualsiasi attività privata”.

Non nasconde poi alcuni timori. Se i tempi si allungano si può perdere tempo prezioso – segnala – per la concretizzazione del progetto. A preoccupare sono i tanti tergiversare, i tanti ostacoli che si frappongono ancora a 5 anni dall’inizio della discussione. E Piacenza, secondo la sua valutazione, proprio da questo punto di vista non ha tempo da perdere.

Quali sono i problemi cruciali che vive un professionista sanitario nell’attuale struttura che spingono a dire che ne serve una nuova?

“Il problema grosso che esiste tutt’ora sono gli spazi. A cominciare da ambulatori liberi per poter visitare. Spesso ci accorgiamo della mancanza di medici, ma anche il tema degli spazi crea problemi. Ho cominciato a lavorare a Piacenza il 1 dicembre del 1981 per mia fortuna non ho fatto un giorno di malattia e quando andrò in pensione lascerò oltre 500 giorni di ferie non godute all’azienda e non lo dico per crearmi un biglietto da visita. Lavoro qui da tanti anni e dal 1981 ad oggi ho visto tanti cambiamenti. A proposito di spazi voglio citare un esempio personale…”

Che cosa riguarda?

“Il dottor Cavanna, decano dei primari dell’ospedale, non ha uno studio personale dove visitare e incontrare i malati. E perché? Quello che avevo si è trasformato in un ambulatorio in più dal novembre del 2019 quando, con l’assunzione di un nuovo medico, è stato trasformato in un ambulatorio del day hospital. Mi va bene essere come “l’ebreo errante” e avere un po’ di libri qui un po’ là, in questo modo si evitano ai malati tempi d’attesa più lunghi per le visite e per le chemio. Quanto a me ho trovato spazio nell’infermeria dove c’è il caposala. E questa è la realtà concreta dell’ospedale di oggi con cui quotidianamente si fanno i conti…”

Non si placa il batti e ribatti e sembra quasi che l’idea del nuovo ospedale sia scesa dal cielo per caso…

 “Un’analisi dei bisogni della comunità  è stata fatta dall’Azienda sanitaria. Ricorderò sempre una riunione che fece il direttore generale in sala Colonne nel 2017. Erano presenti i candidati sindaci di allora e si iniziava a discutere del nuovo ospedale. In quell’incontro erano presenti tantissimi operatori e allora l’accordo sulla sua realizzazione fu davvero unanime…”

Oggi le cose sono cambiate…

“Crediamo che non ce ne sia bisogno? Mi verrebbe da dire: allora  chiudiamo anche questo, poi i cittadini si arrangiano in qualche modo, vanno a Milano, a Cremona, a Castelsangiovanni. Ma bisogna vedere che prezzo si paga dopo per avere una struttura adeguata ai tempi. Sul nuovo ospedale ho un ricordo personale.

Era Ottobre 2015 quando venne inaugurato l’attuale day hospital oncologico. Presente l’assessore regionale alla sanità Venturi che, attraversando il passaggio tra Nefrologia e Medicina interna, disse guardandosi intorno: “Voi avete bisogno di un nuovo ospedale”. Bene, pensavo fosse solo una battuta. Ma poi battuta non era e così la cosa prese piede. Da allora c’è stato un lavoro di avvicinamento che ci ha portato fino a qui. Però mi viene da pensare che i piacentini siano un po’ sfortunati in fatto di nuovi ospedali, è come se si risvegliasse una maledizione su Piacenza…”

Parla di “maledizione” su Piacenza a cosa si riferisce?

 “Sì, una maledizione che si attiva quando si ha a che fare con i progetti di ospedale. In un’epoca in cui non frequentavo la sanità piacentina, come un’eco sentivo parlare di un progetto per un ospedale alla Besurica. Una struttura fuori dalla città ma facilmente raggiungibile. Non si costruì. Ecco, se rischia di naufragare anche questa opportunità mi verrebbe la tentazione di trasferirmi da questa città. Veramente. Sceglierei di vivere in Liguria, a Santa Margherita. Per lo meno a Genova c’è un grande polichirurgico e tanti altri ospedali, ma questa è una considerazione personale…”

Si legge delusione nelle sue parole…

“Nel confronto sul nuovo ospedale si è inserito il tema del consumo di suolo. Beh, l’ospedale è un’opera di sanità pubblica e non si può parlare di consumo di suolo. L’ospedale non lo si può equiparare alle multinazionali che senza soluzione di continuità si sono insediate lungo gli assi autostradali…  ecco mi piange il cuore sentire dire queste cose.”

Perché a Piacenza un nuovo ospedale è necessario e indispensabile?

 “I ritardi che si accumulano, le persone che devono aspettare per le cure, per gli interventi perché le sale operatorie sono ridotte… e con tutto questo come si fa a dire che non c’è bisogno di un ospedale perché tanto quello esistente è stato ristrutturato e quindi va bene così. Chi lo sostiene, per sua fortuna, non ha avuto bisogno dell’ospedale. Ma non bisogna essere egoisti a questo mondo. Bisogna mettersi nei panni delle persone che stanno male. E sono i più deboli. L’ospedale ci vuole. Piacenza non può perdere questa opportunità”.

Crede sia possibile che tutto possa vanificarsi?

“Il rischio grosso che intravedo è che se i piacentini continuano a litigare sull’argomento e se non si precedesse in tempi brevi potremmo perdere i finanziamenti assegnati. Naturalmente la Regione ha stabilito che siano assegnati a Piacenza, ma in presenza di non decisioni potrebbe diventare facile una valutazione diversa…”

Quale?

“Beh, i vertici regionali potrebbero fare due considerazioni: abbiamo messo a disposizione i soldi, i partiti non sono d’accordo, è stata individuata la sede e poi sono arrivate le contestazioni che d’accordo sono sempre prevedibili. Poi sono emerse posizioni che oscillano tra chi l’ospedale non lo vuole e chi pensa a cambiare la sede. Tutto questo equivale a tanto tempo che trascorre senza concretizzare nulla, rallentando il percorso.

Se si lascia trascorrere qualche anno la Regione potrebbe dire “piacentini miei, i soldi c’erano ma..” a quel punto altre emergenze sanitarie potrebbero stagliarsi all’orizzonte. Spero che così non sia. Ma sappiamo che andiamo verso un periodo di vacche magre, si intravede una recessione, c’è una guerra in atto, il Covid non è finito, le Regioni hanno grossi debiti legati alle spese sostenute per la pandemia. Un quadro generale di grande difficoltà economica e quindi penso che se non ci si mette d’accordo Piacenza può rischiare di perdere questa opportunità.”

In che misura il nuovo ospedale dovrebbe migliorare l’organizzazione sanitaria attuale?

 “Quando ci si lamenta delle attese a cui sono costretti i cittadini per avere un intervento bisogna tenere conto che non è solo per la mancanza di anestesisti o di medici, c’è anche il problema degli spazi. Infatti la ragione può risiedere per esempio anche nel fatto che le sale operatorie sono poche e spesso non sono libere.”

Il trasporto interno dei pazienti è un altro storico punto critico perché?

“Se si presenta un’emergenza in medicina, in oncologia e il paziente deve essere portato d’urgenza in rianimazione i reparti non sono vicinissimi. Gli ospedali moderni sono costruiti basandosi anche su una nuova concezione dell’emergenza. La parola stessa implica che la sopravvivenza di un paziente grave è anche una questione di minuti necessari per intervenire.”

Meno minuti per intervenire più possibilità di sopravvivenza…

“Ecco, dando per scontato che i professionisti siano adeguati, se le distanze non lo sono può essere questione di vita o di morte. E’  un problema che investe l’organizzazione dell’emergenza, dei servizi, degli interventi chirurgici, della diagnostica. Pensiamo a quanto si spende in tempo e in denaro quando si devono spostare i malati da un reparto all’altro.

Quando penso a queste cose sono certo favorevole al nuovo ospedale. La mia non è una posizione ideologica ma si basa su un problema di bisogni. Se non abbiamo nulla da mangiare, anche una fetta di pane ci permette di sopravvivere. Però non si può mangiare solo una fetta di pane ogni giorno e sempre. Ecco, se l’ospedale di oggi è come se fosse solo una fetta di pane, l’ospedale nuovo potrebbe darci qualche pietanza in più”.

Umanizzazione, quale l’importanza per un ospedale?

 “Questo progetto è frutto di innumerevoli incontri con la presenza di decine di professionisti, capi dipartimenti, infermieri, primari ecc… per dare un contributo per definire il nuovo ospedale. Si è arrivati a questo progetto con l’impegno di risorse umane di professionisti e anche del volontariato. L’aspetto umanizzazione a me sta molto a cuore, mi ci dedico da molto tempo non solo per altruismo, anche un po’ per egoismo: prima o poi avrò bisogno dell’ospedale e un paziente è sicuramente più felice se in ospedale trova ambienti umani.

Il contributo notevolissimo dato a questo lavoro andrebbe riconosciuto e rispettato. Invece oggi si parla di spostare la realizzazione altrove oppure di non costruirlo affatto…

Abbiamo svolto un lavoro di avvicinamento partecipativo che è durato tantissimo, anche questo è un elemento da non trascurare.”

Di recente ha preso carta e penna per fare un appello (rivolto in particolare a chi sarà il prossimo sindaco di Piacenza) perché si adoperi per richiamare sul territorio i fondi per sostenere la ricerca anche a Piacenza. Perché è così importante che in un ospedale si faccia ricerca?

“Ricerca vuol dire più medici, vuol dire tecnologie, vuol dire compiere il salto sia per le cura del paziente sia per il livello di qualità dello stesso ospedale. Il ragionamento che ho fatto è questo: con il corso della Facoltà di Medicina di Parma in inglese che abbiamo a Piacenza  e con la prospettiva del nuovo ospedale si apre un orizzonte di una decina d’anni per arrivare ad avere medici formati e un ospedale pronto da utilizzare. Ecco, in questo arco di tempo è molto importante lavorare per portare risorse economiche a Piacenza che automaticamente apre le porte anche a risorse umane tecnologiche”.

Quindi non si perda tempo, perché questa preoccupazione?

“Se facciamo il confronto con l’Area vasta (Parma, Reggio e Modena) abbiamo a Parma un’Azienda sanitaria e ospedaliera che riceve fondi per la ricerca, Modena ha l’azienda universitaria ospedaliera, Reggio Emilia un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico che riceve fondi per la ricerca. I fondi significano in concreto tecnologia, risorse umane, la possibilità di assumere i coordinatori di ricerca, figure di data manager che attualmente rischiano di restare precari a vita poiché entrano a 30 anni e possono restarlo per decenni, ma questa è ancora un’altra tematica.

E a Piacenza sulla ricerca? Nulla, rischia di trovarsi davvero in una situazione di inferiorità. Da qui l’appello perché il prossimo sindaco si dia da fare per portare in Regione una domanda forte: perché Piacenza deve essere così differenziata dalle città vicine? Ecco, si trovi il modo, naturalmente seguendo le regole, affinché si portino delle risorse alla ricerca anche qui.

Si tenga conto che l’orizzonte di vita di una tecnologia è molto minore di quello di un’automobile che impiega anni per invecchiare. E se nella ricerca la strumentazione non è all’avanguardia si rischia di non andare a segno e restare indietro. Ma attenzione: se un ricercatore è bravo, sa fare ricerca e qui non la può fare allora, se mancano le strutture adeguate, non si ferma e va via. E’ questo il problema.”

Quali sono le conseguenze oltre alla perdita di professionalità?

“Conseguenze? Faccio un esempio. Se un piacentino sta male all’improvviso non lo portano a Milano o a New York finisce in questo ospedale. E’ con queste strutture che si deve avere a che fare. Se incontra bravi medici può salvarsi, se incontra medici rinunciatari, non sufficientemente bravi, può non salvarsi, Questa è la realtà dei fatti. Non dimentichiamolo.

L’altro giorno a un convegno un giovane cardiologo segnalava il problema nella sua crudezza: ‘Io faccio ricerca con l’eco cardio, se il mio collega di un altro ospedale ha uno strumento di ultima generazione oltre a poter fare un esame più raffinato per il paziente sarà in grado di portare a termine una ricerca di gran lunga superiore alla mia e quindi resto indietro…’ Che dire?”

Dunque la qualità nella sanità va di pari passo con la ricerca? E in quale segmento della ricerca potrebbe incanalarsi Piacenza?

“Nonostante il Covid abbiamo visto che a Piacenza si è prodotta molta ricerca, molto di più di quanto ci si potesse aspettare. Ricordo che un lavoro di ricerca viene valutato quando i risultati sono pubblicati su una rivista selettiva e censita. Prima della pubblicazione viene analizzata da un minimo di due cultori della materia che la promuovono per la pubblicazione. In questi due anni 2020 – 2022 sono stati prodotti centinaia di lavori e  ne faremo un libro.

Quanto al tema in generale va ricordato che in una legge regionale del 2004 si afferma che la ricerca clinica deve essere considerata possibile in tutti gli ospedali. Dove si curano i malati questo è sacrosanto. Si dice sempre che dove si fa ricerca si cura meglio ed è giusto chiedersi perché un cittadino vorrebbe essere ricoverato dove non si fa ricerca?”

Quale accoglimento potrebbe avere la domanda di risorse per Piacenza?

“Potrebbe arrivare un invito a inserirsi nella cordata delle Aziende che ricevono fondi (e sono diversi milioni di euro) o dell’Istituto di ricovero e cura a livello scientifico, ma questo lo stiamo già facendo. Occorre un passo in più. Facciamo in modo che Piacenza riceva più fondi per la ricerca. Ripeto, ricerca significa avere più personale, più tecnologie e far sì che i medici, i biologi, gli psicologi che vogliono fare ricerca possano farlo. L’alternativa? Vederli andare via. In un momento in cui il mercato è molto a favore dei medici, perché mancano, il mio è stato un grido di attenzione per incitare gli amministratori e dire loro: datevi da fare in questi prossimi dieci anni.”

Il bisogno di salute si esaurisce in ospedale?

“La mia risposta è: ci vuole un ospedale che sia adeguato ai tempi, occorrono spazi di umanizzazione, aule per la didattica, aule per i seminari e prevedere l’incontro con il volontariato… una struttura  che produca cultura, non solo scientifica, ma anche umanistica. L’umanesimo sanitario è importantissimo. Noi dobbiamo superare gli steccati e dire finalmente quali sono i bisogni dei malati che cambiano nel tempo. La domanda prima è sempre la stessa e chiediamoci se stiamo dando una risposta adeguata… Il punto resta questo.

La risposta in termini di salute, si badi, non è solo di carattere sanitario ma anche di prevenzione, di diagnosi precoce, di interventi nelle scuole su alimentazione, fumo, fattori di rischio. E tutto questo per dare risposte di salute. Su questo non si può più aspettare. Va sottolineato che nell’ambito di questa discussione generale l’ospedale è una parte. Una parte, ma importante.”

Antonella Lenti

info@antonellalenti.it)

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