LENTI A CONTATTO

Piergiorgio Bellocchio, occhi vispi, intelligenza acuta e ironia vitale

l ritratto di un intellettuale che non ha cercato la ribalta ma che da Piacenza ha parlato a tutta l’Italia per tutta la sua vita. Con Grazia Cherchi fondò Quaderni piacentini nel 1962 pubblicati fino al 1984. Nel 1985 con Alfonso Berardinelli diede vita a “Diario”
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Piergiorgio Bellocchio, occhi vispi, intelligenza acuta e ironia vitale

A sinistra un pacchetto con una mini-raccolta di Quaderni piacentini; a destra un altrettanto parziale raccolta di Diario al centro il computer su cui scrivere di lui.

E’ un piccolo giacimento rispolverato perché ora che Piergiorgio Bellocchio non è più fisicamente tra noi il suo pensiero, le sue valutazioni, le sue ironie quasi dissacratorie – disseminate qua e là – rappresentano una testimonianza utile a chi vorrà conoscere da vicino il significato di intellettuale. Piergiorgio Bellocchio, fratello maggiore del regista Marco, è morto a 90 anni, a pochi giorni dalle celebrazioni del 25 aprile, una data di significati e tormentata di anno in anno dai revisionismi di varia natura. Aveva partecipato di recente assieme agli altri fratelli (Letizia, Alberto e Maria Luisa) al film “Marx può aspettare” uscito nel 2021 per la regia del fratello Marco.

Un documentario sincero, duro e senza reticenze che ha al centro il suicidio a soli 29 anni, il 27 dicembre 1968, di Camillo fratello gemello del regista Marco Bellocchio.

Piergiorgio un intellettuale profondo e tagliente anche nei confronti di sé e della sua esperienza come di questi tempi non se ne vedono, se mai si sono visti in altri tempi. Oggi poi che si macinano solo immagini vorticose e che le parole si adeguano a quel vortice insensato, la sua figura intellettuale può apparire quasi un ufo caduto sulla terra.

Un valore, il suo, costruito giorno dopo giorno all’insaputa di tanti perché le vetrine non erano il suo pane, non erano il suo habitat naturale. Ai giornalisti nazionali che negli anni lo hanno raggiunto a Piacenza per intervistarlo alla domanda perché fosse rimasto a in provincia e non avesse scelto la strada di Milano rispondeva con un messaggio inequivocabile senza l’ombra di rimpianti: mi sono sempre chiesto, sarei disposto a fare tutto quello che è necessario fare se mi trovassi in quella situazione? E la risposta è sempre stata no, non sarei stato capace.

E Piergiorgio Bellocchio, certamente corteggiato da tanti nel corso della sua lunga vita, restando nella provinciale Piacenza ha parlato ugualmente a quell’Italia che voleva ascoltare il suo punto di vista, la sua visione, la sua critica – sempre costante e caparbia – allo status quo dominante, di casa anche a sinistra. Perché le idee, quelle vere, non hanno muri o barriere. Arrivano. Arrivano. E poi ve lo immaginate Piergiorgio Bellocchio, che pure tante cose illuminanti avrebbe avuto da dire, bazzicare i salotti televisivi di questi ultimi 30-40 anni? Non esiste. Lui era altro. Non solo per chi lo ha conosciuto bene ma anche per chi, solo marginalmente, ha avuto contatti con lui.

Un percorso lungo, il suo, come saggista politico e critico letterario. Sono i Quaderni piacentini il primo impegno. Piergiorgio Bellocchio li ha fondati nel 1962 con Grazia Cherchi, li ha diretti fino al 1984. Poi quell’esperienza si è spenta. La realtà era diventata altro rispetto a quella delle origini. ù

Era il periodo, gli Ottanta, che più di altri forse ha cambiato gli schemi della politica e della nostra società e della sinistra critica in particolare. Vi fu il taglio della scala mobile, il successivo referendum in cui si registrò la sconfitta del sindacato e del Pci, la marcia dei 40mila (i colletti bianchi della Fiat) e, sullo scenario internazionale, si faceva largo la dottrina liberista con Reagan negli States e Thatcher in Gran Bretagna. Sono gli anni  in cui la sinistra soffre queste mutazioni che toccano da vicino anche il tessuto sociale che ne era la base oltre a insinuarsi anche nella piattaforma della stessa rappresentanza politica. Muove i primi passi la Lega Nord e tutto concorre a far pensare che il mondo conosciuto prima si stia apprestando a diventare argomento di studio per gli storici. E soprattutto che quel sogno nutrito a sinistra sia dissolto.

E’ in quel momento che venne la rivista Diario. Dieci uscite fino al 1993.

E’ lo stesso Bellocchio a scrivere nel primo numero che iniziò a pubblicare dal 1985 con Alfonso Berardinelli, parole spietate sui sogni politici che uno ad uno si andavano dissolvendo nel saggio intitolato “Dalla parte del torto”. Ecco alcune righe.

Chi è quell’imbecille?
Sono io. Limitare il disonore. Un obiettivo che vent’anni fa avrei trovato ripugnante e assurdo, in quanto onore e disonore non sono graduabili. E in effetti si tratta di un proposito ben misero, una guitteria morale, una trovata da servo di commedia. Ma quand’ero giovane non potevo ipotizzare un fallimento di queste proporzioni.

Se allora immaginavo il peggio, era la sconfitta politica per opera della controrivoluzione, e si manifestava nella repressione che, per quanto spietata (o proprio per questo), garantiva ai vinti l’onore dell’esilio, della prigione e, al meglio, la gloria del patibolo. Il destino è stato derisorio. Nessuno vuole ucciderti.(…)

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“Diario” la definiscono rivista “personale” interamente scritta da loro (Bellocchio e Berardinelli) e che uscirà fino al 1993 ma anche come loro stesso dichiarano “Scrivendo Diario ci siamo sentiti politicamente impegnati come mai prima”. Così con Berardinelli parlava della rivista “Si trattava di prendere atto del cambiamento dello scenario sociale e politico, contro la falsa coscienza di una sinistra che si immaginava immune dal contagio della cultura dominante, convinta di aver conservato una sua diversità culturale, come se la società italiana non aspettasse altro che di essere guidata e salvata…” Fu Bellocchio stesso a sottolinearne la peculiarità del nuovo lavoro.

Avrebbe sempre proposto gli scritti dei due fondatori a cui sarebbe affiancata la ripubblicazione di un brano di un autore morto. Queste parole effettivamente spiegano quella frase. “Autori che andavano secondo noi riletti senza troppe cautele interpretative e istruzioni per l’uso: pubblicammo innanzitutto Kierkegaard e Leopardi, cui seguiranno nei numeri successivi Baudelaire, Herzen, Thoreau, Tolstoj, fino ad autori eterodossi del Novecento come Simone Weil e Orwell”.


Bellocchio nel 1969 è stato il primo direttore responsabile di Lotta Continua, organo ufficiale dell’omonima formazione extraparlamentare e dal 1977 al 1980 ha diretto a Milano la casa editrice Gulliver. Ha collaborato a vari periodici («Questo e altro», «Rendiconti», «Linea d’ombra», «Panorama», «Illustrazione italiana», «Tempo illustrato», «l’Unità»-Libri, «Paralleli», «King»), ha scritto prefazioni, voci per opere miscellanee, note di costume. Ha esordito come narratore con tre racconti, I piacevoli servi (Mondadori 1966).

La sua produzione critico-saggistica è raccolta in Dalla parte del torto (Einaudi 1989), Eventualmente (Rizzoli 1993), L’astuzia delle passioni. 1962-1983 (Rizzoli 1995), Oggetti smarriti (Baldini&Castoldi 1996), Al di sotto della mischia. Satire e saggi (Libri Scheiwiller 2007) per arrivare all’ultimo libro uscito in ritardo a causa del Covid Un seme di umanità. Note di letteratura (Quodlibet, 2020). Un’attività ricca e intensa di chi aveva occhi vispi e intelligenza acuta, priva di fronzoli, diretta al punto.

Ad essa poi si è affiancata un’altra esperienza nel corso degli anni portata avanti con l’amico inseparabile Gianni D’Amo in CittàComune un’associazione culturale (nata nel 2006) che si è posta fin dall’inizio come una voce di analisi critica sulla realtà che viviamo analizzandone i vari aspetti proprio partendo dalla politica ad essa sottesa. Innumerevoli gli incontri partecipatissimi promossi dall’associazione di cui Bellocchio era naturalmente un punto di riferimento culturale, politico e di pensiero.

Oggi con la sua scomparsa la pagina della Fondazione riporta un bellissimo ritratto di Piergiorgio in una posa molto sua e personale insieme a un nutrito carnet di articoli che parlano di lui e dalla sua vivace e insaziata voglia di capire il mondo, di deriderlo anche e di non prendersi mai sul serio caratteristiche che hanno fatto di lui un intellettuale a tutto tondo. Ha mai corso il rischio di incappare nell’elitarismo? Se con questo termine si intende il pensiero fine sì. Se il significato è quello più contemporaneo che assimila le élite con il potere dominate certamente no.

Antonella Lenti

info@antonellalenti.it

bellocchio

Foto della home dal sito CittàComune

2 Comments

  1. giuseppe biasini Reply

    Grazie Antonella per aver ricordato un grande intellettuale che ha saputo analizzare con un acume raro e senza sconti, mettendosi ogni volta in discussione,i cambiamenti che hanno caratterizzato il ns Paese negli ultimi 60 anni. Cosa rara per i cosiddetti intellettuali di sinistra.
    Non l’ho mai conosciuto di persona ma il tuo saggio su di lui ha risvegliato in me un senso di vuoto come quando si perde un amico con cui abbiamo condiviso ideali e “modi di sentire”.

  2. grazie a te! di persone come Bellocchio anche se non li si è conosciuti restano le loro parole scritte. Il medium che fa arrivare a noi il loro pensiero le loro riflessioni. Credo che sia il lascito più prezioso che una persona possa donare a chi viene dopo. Questo naturalmente, per noi contemporanei, non elimina il senso di vuoto che si sente ogni volta che viene meno una persona di tanto spessore. Si ha la sensazione di essere d’improvviso impoveriti di aver perso un pezzo di respiro. Perché chi ci ha accompagnato quasi per mano a capire meglio il mondo in cui viviamo ha svolto davvero una funzione essenziale per la nostra formazione come cittadini… I libri, i pensieri che ha scritto continueranno ad accompagnarci. Se lo vorremo.

    Grazie per l’attenzione che hai sempre per le mie elucubrazioni… Un saluto!

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