SERPE IN SENO/SALUTE

Tagliare sulla sanità crea disuguaglianze. L’Italia equiparata ai paesi dell’Est per spesa sanitaria

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Non solo la scuola e l’università soffrono per mancanza di fondi adeguati. I dati impallidiscono se l’attenzione si focalizza sulla spesa sanitaria italiana che risulta inferiore del 32% rispetto ai paesi d’Europa occidentale. Il divario sale al 37%  se si considera solo la sanità pubblica. Secondo quanto pubblicato di recente da quotidianosanità.it ormai la spesa italiana si allinea a quella dei paesi dell’Est europeo. Sono alcuni elementi che emergono dalla 15esima edizione del rapporto sanità sviluppato dai ricercatori di Tor Vergata che mette in evidenza la carenza di personale valutabili in almeno 96mila unità in meno rispetto a quante ne servirebbero per riequilibrare l’intero sistema sanitario.

carenza che si manifesta soprattutto al sud

Il rapporto lancia inoltre un allerta sui disavanzi regionali che sarebbero tornati a crescere nell’ultimo biennio fino a superare il miliardo all’anno.

Ma c’è dell’altro che dovrebbe allarmare chiunque abbia la presunzione di progettare per se un futuro in politica e quindi nella gestione della cosa pubblica e riguarda il fatto che sempre più persone a causa dei costi da sostenere rinunciano a ricorrere alle cure e questo non fa che accentuare le disuguaglianze. Disuguaglianze che sommano sia l’impoverimento dovuto ai costi sanitari sia le rinunce alle cure per mancanza di adeguate risorse economiche insieme questi due elementi tratti dalla realtà del nostro paese danno il 5,8% delle famiglie un dato che tende ad essere più elevato nel Sud. Insomma tutt’altro che una società di eguali (nei diritti e nelle possibilità di disporne) quella in cui viviamo: voragine che si allarga sempre di più nell’indifferenza di tanti. Indifferenza che di fatto porta a codificare una convinzione: nelle società moderne ed evolute c’è da considerare fisiologico un settore di società (leggasi di persone) che di fatto resta esclusa. E’ come dire, non ce la fai? Bene allora ti fermi qui. Ma non è questo a cui noi tutti si pensa quando si parla della necessità di difendere l’universalismo del sistema sanitario.

Le analisi possono aiutare a capire e una volta compreso il problema ci si attende anche un cambio di rotta laddove le scelte non sono coerenti con il punto di partenza di cui si è detto: l’universalismo del sistema e non la cura in base al censo.

Nel report di cui si è detto Il rapporto sanità del Crea dell’Università di Tor Vergata si sottolinea anche la carenza di personale soprattutto tra Nord e Sud: “La possibilità di utilizzare una parte dell’incremento del fondo per incrementare la spesa per il personale – si afferma – e quindi assumere personale sblocca la situazione ma tende a congelare definitivamente le differenze rilevate. Se invece si volesse omogeneizzare la situazione portando il meridione agli standard del Nord rilevati nel 2017, servirebbero 96mila dipendenti in più di cui 66mila nelle strutture di ricovero e 30mila nelle altre con un costo aggiuntivo di 4 miliardi di euro”.

Che fare dunque? Il suggerimento del report dell’Università di Tor Vergata va in una direzione precisa. LO stato torni a perseguire politiche nazionali per la sanità che non guardino solo ai conti e senza demonizzare il federalismo sanitario e le nuove autonomie. “Dopo anni di politiche prone alle necessità di riportare in sicurezza il sistema da un punto divista finanziario c’è infatti bisogno di tornare alla macro-economia”. Secondo i ricercatori questo sarebbe un toccasana sia per il sistema del welfare sia dal punto di vista economico visto che il settore rappresenta la terza industria italiana.

Alcuni dati per inquadrare il tema

Secondo il rapporto invece il finanziamento pubblico della spesa sanitaria in Italia si è fortemente ridotto. Se nella maggior parte dei paesi europei il sistema pubblico fa fronte all’80 per cento della spesa, in Italia e nei paesi dell’Est il dato scende al 74 per cento e questo secondo l’osservazione dimostra il disinvestimento del pubblico nel settore della sanità.

La crescita media della spesa sanitaria in Italia tra il 2000 e il 2018 è stata pari al 2,5% un punto percentuale in meno della media degli altri paesi UE ante 1995 (esistenza dei paesi dell’Est). D’altra parte il dato che riguarda la spesa privata è diverso il gap tra paesi europei e Italia risulta più contenuto -11,4 % a fronte del -37,1% come si diceva.

Detto questo è rilevante quanto sostiene il rapporto. Spendendo più in sanità anche se non si guadagna in aspettativa di vita il vantaggio influisce sulla qualità dei servizi, il contenimento delle liste d’attesa, la semplificazione burocratica, la possibilità di accedere a servizi tecnologicamente avanzati. E’ questo che conferma secondo lo studio la remunerazione dell’investimento in sanità.

La spesa nelle famiglie è alta quando si parla di sanità E’ l’ottava voce di spesa in una famiglia e lo resta dal 2011. IL 77,9 per cento delle famiglie ha speso in sanità nel 2017 a fronte di un 61,8 per cento del 2011. La loro spesa media annua è di 1.867,9 euro e l’incidenza sui consumi complessivi si è ridotta leggermente (dal 5,9% del 2011 al 5,6% del 2017. Nell’ultimo anno la spesa dei servizi sanitari è cresciuta del 9%.

info@antonellalenti.it

1 Comment

  1. renato zurla Reply

    Un pieno consenso ed impegno..quello di poter far condividere i concetti espressi..la politica italiana non può che prendere atto che ho si aumentano fondi per la sanità pubblica..ho si aumentano…non c’è alternativa..certo controllando gli sprechi..laddove ancora esistono…ma mai cancellando le risorse per i servizi…specie quelli del territorio..e quelli socio assistenziali…

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