SERPE IN SENO/SALUTE

Cancro, le ansie di Carolina sono quelle di tutte noi

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UNA SERPE IN SENO: STORIE VISSUTE – Un brano tratto dal mio libro Tra le braccia di Fritz uscito nell’ottobre dello scorso anno in cui racconto la mia esperienza con il cancro al seno. In questo capitolo riferisco la storia di una compagna di sventura incontrata nelle sale d’attesa …

(…) Durante le attese per la visita dal medico che precedeva l’inizio della cura capitava di incontrare tante persone. Alcune nuove, alcune già viste in altre stanze dell’ospedale. Con loro si intavolavano a volte alcuni dialoghi che diventavano veri e propri racconti a puntate. Cronaca vera e vissuta che si sviluppava da un appuntamento all’altro.

Questa è una di quelle storie che rappresenta un po’ i tormenti, i problemi delle persone che si sono trovate a vivere un problema enorme come il cancro che impone una lenta battaglia dagli esiti incerti che si sviluppa all’interno di un canovaccio di vita nel quale interagiscono tanti fattori, tante persone, sofferenze, gioie e speranze. Il racconto di Carolina ci può rappresentare tutti. Perché chiunque faccia nella sua vita l’incontro col cancro, se è fortunato e ne esce, entra a far parte di una comunità nuova. Come se quell’esperienza aprisse le porte a una comunità a parte. Per questo pur essendo tutte diverse le storie mediche di ciascuno quando il capitolo si chiude si crea magicamente un comune sentire emozionale che ci fa cittadini che parlano la stessa lingua emozionale. Per questo il sentire di Carolina può essere il sentire di tutti.

Carolina aveva una famiglia numerosa. Era contenta della sua con- dizione di casalinga che interrompeva ogni tanto con qualche lavo- retto a casa di signore che le indicava una gentile commerciante con la quale aveva legato molto quando era venuta dal sud.

La sua vita correva tranquilla. Per così dire, perché ogni tanto qual- che problema lo incontrava sulla sua strada. Per lo più erano preoccupazioni economiche: l’inverno troppo freddo con la bolletta del gas che prendeva il volo, la paura che il marito perdesse il lavoro, i due figli che a scuola andavano di malavoglia e a cui lei ripeteva fino all’ossessione: non perdete tempo, studiate. Se lo fate la vostra vita sarà migliore.

Parole che la facevano pensare a se stessa perché lei, di studiare, non aveva mai voluto saperne e ora si ritrova in una città che non conosce a fare la casalinga. Vabbè la mia vita è questa e non posso fare altro che accettarla, si consolava ogni volta.

L’importante era avere la salute. E il suo sguardo era andato a una busta sul tavolo che aveva ricevuto da poco: il controllo mammo- grafico al Centro salute donna. Era stata indecisa se andare o no. La volta precedente aveva disertato perché aveva paura di scoprire qualcosa di brutto e con due figli da tenere a bada come avrebbe fatto se avesse scoperto di essere ammalata? Quindi meglio non sapere. Stavolta però aveva capito di avere sbagliato. Se sono malata prima lo scopro meglio è, era stata la sua valutazione. E così aveva deciso di andare e aveva messo il foglio in bella vista per non dimenticare l’appuntamento. Era per il giorno dopo alle 12.

Carolina per tutta la notte non era riuscita a chiudere occhio. Dopo brevi dormiveglia si ritrovava con gli occhi sbarrati nella stanza buia e davanti a sé vedeva macchinari luccicanti infermieri indaffarati con la divisa bianca e ciascuno con un bordo di colore diverso, sentiva rumori e voci “entri la signora…” “la prego si accomodi nel corridoio che la chiamerà la dottoressa”.

Nella sua mente scorrevano le sequenze di quello che di lì a poche ore avrebbe vissuto da vicino. Si era alzata come al solito per prepara- re la colazione a marito e figli, ma nei suoi occhi non c’era la serenità di sempre. Un’ombra li copriva. Il suo sguardo di continuo andava all’orologio appeso alla parete. Mancavano ancora quattro ore all’appuntamento e mentalmente si organizzava per riempire quel tempo che le sembrava lunghissimo. Telefonò a un’amica che era rimasta nel suo paese d’origine. A lei aveva raccontato l’intenzione di fare quella visita. In casa, però, non aveva detto nulla. Un po’ per non seminare apprensione un po’ per pudore. Carolina aveva quasi paura a parlare del suo corpo, aveva l’impressione di apparire spudorata. Era giovane, ma si sentiva a disagio. Così si era tenuta per sé tutto quanto.

Solo con Maria si era aperta. A lei aveva raccontato le sue sensazioni ed ora l’aveva cercata per trovare conforto. Carolina non aveva mai sentito dentro tanta inquietudine. Aveva la sensazione di aver perso il contatto con la sua solidità. Le era venuto in mente quando suo padre la portava a pescare. Ne era entusiasta, ma aveva paura del momento in cui saliva in barca. Metteva il piede dentro e la barca dondolava tanto da farle temere di cadere in acqua. Batticuore per un solo momento poi tutto passava. La bellezza del mare increspato, la luce del sole che radente accarezzava l’acqua facevano scomparire tutte le angosce. In quella mattina era la stessa cosa. Si stava preparando ad andare in mare aperto, quello che la preoccupava maggiormente era il primo passo ma sapeva che poi, una volta salpata, tutto sarebbe stato diverso.

Non passava mai il tempo la mattina della mammografia prevista per mezzogiorno. I bambini li aveva dirottati per il pranzo a casa di una conoscente. Per il marito non c’era problema perché sarebbe stato di ritorno a casa dal lavoro non prima delle cinque.

Timorosa Carolina aveva varcato la soglia del centro. Con un fil di voce aveva detto il motivo della sua presenza alle signore della reception che l’avevano indirizzata lungo il corridoio e le avevano detto “si segga, la tecnica la chiamerà per l’esame, durerà poco e poi deve aspettare la visita del medico che leggerà la lastra della mammografia e le farà l’ecografia”. Il suo cuore batteva vorticosamente nella fossetta al centro delle spalle. Il cuore in gola. Aveva paura dell’esito, ma ancora più di spogliarsi e così aveva passato in rassegna gli indumenti che indossava preoccupata che qualcosa non fosse a posto. Tutto

questo contribuiva ad alimentare la sua incertezza e le sue paure. Si era stupita e si era anche un poco tranquillizzata vedendo che tante altre donne fossero lì nella sua stessa situazione. Le aveva viste entra- re e uscire velocemente dalle stanze in cui si faceva la radiografia e l’espressione delle donne non faceva trasparire preoccupazione.

Era arrivato il suo turno. “Carolina. venga” le aveva detto una ragazza che avrà avuto nemmeno la metà dei suoi anni. Doveva aver notato una certa tensione nel suo viso e nella sua espressione tanto che le aveva raccomandato “stia tranquilla, non è niente, è veloce e non sentirà dolore. Quando abbiamo finito attende qui fuori e la chiamerà il medico per avere l’esito”. Carolina aveva accennato a un sorriso in segno di gratitudine per questa cortesia che non si aspetta- va, ma il cuore le batteva ancora a mille.

Non le avevano raccontato bugie, l’esame era stato veloce. Aveva sentito un po’ male quando le avevano schiacciato la mammella e l’aveva vista riprodotta sullo schermo del computer alla sua destra e si era chiesta, ci sarà qualcosa? Mah. Era la prima volta che vedeva la sua mammella da quella prospettiva. Il dolore non era stato nulla di insopportabile.

Dieci minuti soltanto ancora in attesa ed era stata chiamata dalla dottoressa. L’aspettava l’ecografia e poi l’esito. “Signora Carolina si vede una macchia. Dobbiamo fare l’ago aspirato per verificare di cosa si tratta”. Le aveva detto tutto d’un fiato la dottoressa senza guardarla in viso, ma tenendo gli occhi puntati sullo schermo del computer. Si era girata solo quando aveva sentito un singhiozzo. Carolina non era riuscita a contenerlo e incrociando lo sguardo della dottoressa si era lasciata andare in un pianto a dirotto. “Calma, calma” cercava di tranquillizzarla la dottoressa. Tante donne ogni anno incontrano questo problema e lo superano e siamo in tempo: lo abbiamo trovato al suo nascere…” Ma Carolina non sentiva quelle parole rassicuranti. Si sentiva perduta…

Carolina era sconvolta dalla conferma della diagnosi…

Era finita. La visita aveva dato l’esito che temeva. Era ammalata. e ora pensava a quello che l’aspettava. Altre visite ricovero, operazione e magari le cure, quelle che fanno perdere i capelli.

Carolina mentre usciva dal centro salute donna si sentiva come svuotata e subito il pensiero era andato alla sua famiglia: doveva dirglielo e doveva trovare le parole. E non era facile. Come avrebbero reagito il marito, ma soprattutto i figli. E come dirglielo? Con quali parole? A passi lenti si stava dirigendo verso casa, non aveva preso il bus preferiva camminare come se segretamente sperasse di risvegliarsi da un brutto sogno… Ammalata. Sentiva tamburellare forte le tempie.

Davanti ai suoi occhi vedeva lo scorrere delle sue giornate, quelle che l’avrebbero aspettata. E come avrebbe potuto portare avanti la vita di tutti i giorni, sola senza aiuto. E poi come avrebbe detto alla sua famiglia di questa novità terribile che la stava mettendo a terra. Fingere ancora? Sarebbe stato impossibile soprattutto se le cure si fosse rivelate pesanti come sapeva potevano esserlo. E i bambini, così curiosi, sempre pronti a fare tante domande. Erano sempre attenti alle risposte che dava e se coglievano qualcosa di diverso da quello che ricordavano dalla risposta precedente erano altre domande, altri perché. Carolina si era sdraiata sul letto. Mancava ancora qualche ora al momento del ritorno dei figli e poi del marito.

Quel tempo sarebbe servito per trovare le parole giuste per dare loro la notizia.

O avrebbe fatto meglio a tacere?

Tratto dal libro “Tra le braccia di Fritz – La mia bella estate col cancro” Edizione Scritture (Ottobre 2018) Antonella Lenti

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