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Suolo ci dà cibo e vita cementificarlo significa produrre costi collettivi

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Suolo ci dà cibo e vita cementificarlo significa produrre costi collettivi

Durissimo anche sulla legge regionale urbanistica il punto di vista del professor Paolo Pileri docente del Politecnico di Milano ospite di un incontro promosso dal Circolo di Legambiente

Qual è il valore del suolo? Tutti pensano al valore economico che il suolo acquisisce una volta classificato come bene utilizzabile dal sistema industriale e produttivo o a quello immobiliare come spazio per una qualsiasi attività umana. La ricchezza del suolo quindi, secondo il pensiero comune, dipende dall’uso che se ne fa e la ricchezza deriva dal tipo di sfruttamento che si ottiene.

Il professor Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale al Politecnico di Milano, ha dato ben altra interpretazione al valore del suolo parlando delle valutazioni che ha scritto nel libro “L’intelligenza del suolo” spunto per l’incontro organizzato nei giorni scorsi dal circolo Emilio Politi di Legambiente e ospitato all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Pileri ha centrato il suo ragionamento e la sua valutazione partendo dal valore intrinseco del suolo, sganciandolo completamente dai progetti umani per il suo utilizzo, anzi.

Meno progetti si fanno meglio è, e anche per le zone abbandonate il suo suggerimento è considerarle “zone liberate che cominceranno a rinaturalizzarsi e assorbiranno carbonio, azione di cui si ha un gran bisogno. Tra l’altro il carbonio viene preso dall’atmosfera e finisce nel terreno e resta lì”. Breve riferimento a una delle aree comprese nei piani attuativi in via di definizione “Certamente i terreni abbandonati dell’area Camuzzi hanno ricominciato a riequilibrarsi”. Ma cosa significa tutto questo?

Un fatto semplice ed elementare: il valore del suolo, per tutte queste attività che si svolgono al suo interno, è dato dalla capacità di produrre alimenti, di dare vita a milioni di organismi, micro-organismi, piante, arbusti, erbe che costituiscono il sistema che permette la nostra sopravvivenza alimentare e, in tempi di aria pesante a causa della crescita esponenziale di anidride carbonica e delle polveri sottili (prodotte delle attività umane realizzate con lo sfruttamento dei suoli) di migliorare la qualità della vita.

Ma i dati dicono che il suolo da questo punto di vista non se la passa bene, anzi,  “è in via di estinzione” – ha allertato il professor Pileri. I numeri lo dimostrano. In un solo anno (2021) sono stati consumati 6.331 ettari pari al 22,4% in più che tradotto è pari a un aumento di 17,34 ettari al giorno, 2,2 metri quadrati al secondo. Sarebbe come dire mangiare pane e suolo… anche se verrebbe da domandarsi, a questo punto, dove si coltiverebbe il grano da cui ricavare il pane… se proseguisse il ritmo attuale del consumo di suolo.

SUOLO – Duemila anni per ricostruire la biodiversità

Non si scappa da un elemento oggettivo che fa parte della realtà dei suoli: è nei primi 30-50 centimetri di spessore della terra che albergano le essenze vitali che permettono alla natura di rigenerarsi, creare biodiversità ed è su questo spessore che si produce cibo. Se lo si distrugge saranno necessari altri duemila anni per ricostruire quel mondo vitale sotto la crosta terrosa. Perché il suolo è vivo e se lo cementifichi non vive più.

Non è un buon affare. Per nessuno. E ancora Pileri affonda la critica anche sull’agricoltura intensiva. L’80% del terreno è coltivato a mais per allevamenti o per biomasse e anche questo è un uso consumistico del suolo. Così come lo sono gli impianti fotovoltaici sparsi nei campi che producono un aumento della temperatura della terra e quindi ne alterano gli equilibri. Anche in questo caso, se il vantaggio è distaccarsi dal petrolio, l’altra faccia della medaglia è produrre meno cibo.

In sostanza qual è il problema? Un’aspettativa di cementificazione enorme a cui si affianca un’agricoltura molto cambiata. Quindi la domanda che si rivolge e rivolge Pileri è semplice, quasi disarmante: “Ci serve tutto questo?”

È il messaggio senza mezzi termini che ha voluto dare ai numerosi uditori dell’incontro piacentino. Se stanno così le cose quindi si dovrebbe dedurre che tutto il suolo occupato (per stare a Piacenza milioni di metri quadrati) non potrà tornare attivo con un gesto di bacchetta magica.

No. Lo ha dimostrato – ha ricordato Pileri –Suzanne Simard, una studiosa americana ed ecologista che su un terreno prima costruito e su un altro vergine ha piantato alcune piante. Entrambi i terreni sono stati arricchiti della terra più fertile, sono stati curati allo stesso modo e alla fine, dopo un anno, sul terreno che prima era costruito non è rimasta viva nessuna pianta, mentre sull’altro il boschetto era cresciuto rigoglioso. Un’esperienza da cui ha tratto il libro “L’albero madre. Alla scoperta del respiro e dell’intelligenza della foresta”.

È come dire che stiamo consumando la nostra stessa sopravvivenza se non si pone un freno a questo sfruttamento.

SUOLO – I costi collettivi della cementificazione

Il professor Paolo Pileri ha demolito, in un paio d’ore (non prive anche di frizioni con l’assessora comunale Adriana Fantini che si sta occupando del nuovo Pug), le granitiche e diffuse convinzioni che si sono cementate solidamente (è proprio il caso di dirlo) in un paese che ha quasi consumato il suolo senza considerare l’importanza che rappresenta per gli esseri viventi.

La conferenza ha fornito un buon numero di dati e punti fermi (peraltro non nuovi) e messo in chiaro un convincimento, anche questo già ripetutamente annunciato, la necessità in questo momento di programmare e pensare (e forse è già tardi) a una pianificazione urbanistica diversa del territorio. Cosa che, secondo il professor Pileri, non si sta facendo, anche se lo stato dell’arte lo renderebbe evidente se lo si volesse vedere.

Basta lanciare un’occhiata ai dati che Ispra sforna annualmente e che colloca, per esempio, la Regione Emilia Romagna (non da meno Lombardia e Veneto) ai vertici per consumo di suolo per aree cementificate. Se i dati lo dicono nero su bianco, ma restano appannaggio di addetti ai lavori che li sanno leggere, a noi comuni cittadini basterebbe scandagliare la propria città, il proprio paese per rendersi conto della enorme quantità di spazio naturale ceduto al cemento.

Tutto nella convinzione che, sfruttando il suolo con nuove costruzioni, si alimenti benessere e ricchezza. Convinzione più che mai effimera – ha ricordato durante l’incontro Giuseppe Castelnuovo di Legambiente Piacenza – e qui si sfata un altro mito. Non sono convinzioni personali, tutto questo ha un costo enorme. Un costo collettivo che però non si tiene mai in considerazione.

Si tratta di valutazioni ancora un volta tratte da Ispra che ha calcolato il costo collettivo per il consumo di suolo in Italia. Il calcolo traduce in soldoni gli oneri che una comunità deve accollarsi a seguito del consumo di suolo.

Ecco le considerazioni Ispra: “Il costo medio si aggira tra 89mila e 109mila euro l’anno per ciascun ettaro di terreno che viene impermeabilizzato a causa della perdita dei servizi ecosistemici.  Ispra ha calcolato che allagamenti, ondate di calore, perdita di aree verdi, di biodiversità e di servizi ecosistemici si traducono in un danno economico stimato in quadi 8 miliardi di euro all’anno”.

SUOLO – I dati piacentini del consumo di suolo

Che peso ha Piacenza in questo scenario? I dati citati sono quelli rilevati nel 2020-2021 (quando si era nel pieno della pandemia, fatto non irrilevante). Nel 2021 Piacenza ha consumato 19.719 ettari che si traduce in una quota pro capite di 694,96 metri quadrati per abitante del Piacentino.

All’interno di questa fotografia si evidenzia la massa logistica che in provincia di Piacenza (logistica a spezzatino) equivale a 10.568.000 metri quadrati pari a 1.480 campi da calcio che hanno una superficie di 7.140 metri ciascuno.

Nonostante le dichiarazioni esternate da tutti sulla necessità di cambiare registro e indirizzo, per Pileri  “si tratta di un mero green-washing”, per far apparire che, dopo tante avvisaglie, la lezione è stata imparata. Nei fatti “non è così” ha perentoriamente affermato il professore. Si tratta solo di facciata.  Critiche forti e senza appelli, su questo punto, sono arrivate dal professore alla legge regionale dell’Emilia Romagna più conosciuta come “zero consumo di suolo”.

Anche in questo casi i dati parlano più delle parole. Sempre tenendo a riferimento gli anni sopra indicati (2020-2021), l’Emilia Romagna per consumo di suolo è al terzo posto in Italia con una crescita di 658 ettari che è pari al 10,4% del consumo di suolo avvenuto in quel periodo in tutto il paese.

Ancora alcuni dati tratti da Ispra. Al 2021 erano 200.230 ettari di suolo già consumato, il 9,3% del suolo consumato in Italia pari a 451 metri quadrati per abitanti (media italiana 362,7 metri quadrati) il tutto pesa per 8,9% in Emilia Romagna di fronte a una media nazionale del 7,13%.

SUOLO – Emilia Romagna, il governo del territorio

Critico, molto critico sul governo del territorio dell’Emilia Romagna (portando ad esempio immagini scattate in occasione dell’alluvione nella scorsa estate nel Ravennate). Anche sulla legge urbanistica regionale la valutazione del professor Pileri è tutt’altro che benevola. “L’imperfetta legge dell’Emilia Romagna – ha detto – si è inventata di ‘contenere’ il consumo di suolo, non di ‘fermare’ il consumo di suolo”.

E a questo punto bisogna chiedere loro da che parte voglia stare visto che, se si guarda la provincia di Piacenza, presenta numeri da capogiro per il consumo di suolo. E poi il fatto che nel periodo del Covid i dati dicono che il fenomeno è addirittura aumentato chi si è preoccupato di questo?

Non gli va giù il  controverso fattore del tre per cento del suolo urbanizzato che permette di aggiungere nuove urbanizzazioni ai comuni che, se non lo utilizzano lo possono cedere ad altri a cui non basterebbe solo il “proprio 3%”. Se i comuni della collina e della montagna, per ovvie ragioni, non sanno che farsi del 3% di nuove urbanizzazioni lo cederanno ai comuni di pianura.

Ebbene – ha segnalato Pileri – se in questo modo, globalmente la provincia di Piacenza non aumenterà le urbanizzazioni più del 3% nei fatti questo scambio porterà a una concentrazione ben più alta in alcune zone di pianura che soffrono già di un eccesso di cementificazione. Una posizione sposata anche dalla rappresentanza ambientalista che si allinea sul no al processo di perequazione del 3% urbanizzabile.

Secondo il professor Pileri l’introduzione della possibilità di scambio sul tema del suolo significa che gli si attribuisce ancora un valore d’uso e che quindi il suolo vale in funzione del suo utilizzo e non gli si riconosce valore in sé. Si continua a non vederlo come un’ecosistema.

Diversa è parsa la valutazione portata dall’assessora all’Urbanistica del Comune di Piacenza secondo cui la perequazione del 3% è da considerare una misura che tutela i piccoli comuni.

SUOLO – Nel futuro prossimo le sfide

Rispetto alla prospettiva ci sono altri elementi che preoccupano.

Da un lato c’è l’approvazione del nuovo Piano di area vasta (PTAV) della Provincia in cui si delineano le potenzialità urbanistiche per i prossimi anni e poi ci sono anche i piani operativi che dovranno essere discussi, approvati o rigettati entro dicembre dal Comune di Piacenza che stanno tenendo alta l’attenzione da parte dell’opinione pubblica piacentina.

Cinque aree “ereditate” (tra cui l’area ex Camuzzi sopra citata) oggi ma nate con vecchi strumenti urbanistici che risalgono addirittura alla stagione dei Prg (anni ‘90) ma che arrivano al dunque ora.  

E qui il professor Pileri affonda “Perché tenerli in vita? Si chiede e perché Provincia e Regione non s’intestano l’iniziativa di non tenere in vita questi progetti su cui si è deciso in passato per eccesso di previsione e mai realizzati? E perché li si deve realizzare ora che la situazione è decisamente cambiata?” Ed è questo un nodo politico. Prettamente politico.

Durante la conferenza tra il professor Pileri e la politica non sono mancare frizioni. L’occasione è arrivata con l’intervento dell’assessore Adriana Fantini che sta curando la redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale (Pug).

Il cauto incedere delle parole dell’assessora Fantini che ha parlato di una situazione difficile da affrontare nel concreto dato che si deve considerare che la città di oggi è il frutto di 70 anni di urbanistica sbagliata e oggi nessuno può avere la bacchetta magica.

Se l’intervento del professor Pileri chiedeva, non tanto sotto traccia, risolutezza nelle decisioni agli amministratori e quindi alla sfera politica, la titolare dell’urbanistica ha risposto restando sul piano reale di chi deve affrontare la complessità delle norme, i diritti acquisiti, le scelte per un domani che deve essere diverso da ieri. Anche in questa occasione, non senza scambi di accuse, si è consumato l’eterno scontro tra teoria e prassi di cui la storia ci ha già fornito innumerevoli esempi.

Resta sul tavolo la sfida principale riguardo all’attuale modello di sviluppo. Comporta porsi su un livello superiore perché implica capire quando ci si troverà di fronte al punto di non ritorno perché quello sarà il momento delle scelte obbligate.

Antonella Lenti

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