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Clima e scelte politiche. Alluvioni, siccità: il civismo ambientale si può fare la differenza

La visione, le analisi e gli approfondimenti nel confronto tra il professor Giulio Boccaletti e l’ingegner Fabrizio Curcio
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ECHI DAL FESTIVAL DEL PENSARE CONTEMPORANEO

Clima e scelte politiche. Alluvioni, siccità: il civismo ambientale si può fare la differenza

La visione, le analisi e gli approfondimenti nel confronto tra il professor Giulio Boccaletti e l’ingegner Fabrizio Curcio

Echi dal Festival del pensare contemporaneo, centrando l’attenzione su ambiente e cambiamento climatico. Uno dei filoni seguiti durante i quattro giorni di confronti ha riguardato infatti i temi ambientali. Nonostante sia ormai trascorsa qualche settimana da quell’appuntamento promosso a Piacenza, le riflessioni e i confronti raccolti durante alcuni incontri non sono “dimenticabili” perché hanno messo il dito in una grande piaga e hanno sollecitato tutti noi a ripensarli, metabolizzarli, farli nostri per costruire un cambio di atteggiamento. Ma non solo.

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La siccità, come effetto dei cambiamenti climatici, è stato il tema di uno di questi incontri. Ne hanno parlato Giulio Boccaletti (ricercatore onorario alla Smith School di Oxford e Senior Fellow del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici) e Fabrizio Curcio, capo del Dipartimento di protezione civile italiana sviluppando le loro considerazioni sul titolo  “Un paese alla frontiera del clima”.

CLIMA – La memoria corre all’apocalisse piacentina nel 2015

Fare i conti con il cambiamento climatico è una necessità e un dovere. Ammesso che questo si sia disposti a riconoscerlo e a tenerne conto. Del resto anche se la memoria è sempre più breve basta fare un salto a ritroso di otto anni per rivedere le devastazioni che nel 2015 produsse la grande alluvione che dalle valli piacentine travolse sul suo cammino vite umane, abitazioni costruite negli alvei, strade, ponti, centrali elettriche lasciando dietro di sé fango e incredulità. (https://www.antonellalenti.it/2020/05/18-milioni-valli-190-cantieri.html)

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Il 14 settembre 2015 per Piacenza è stato un assaggio di quello che comunemente si definisce cambiamento climatico. Quanto di quella esperienza è stato utile per cambiare registro? Se c’è stata presa di coscienza sul rapporto tra noi e il nostro territorio, nei fatti non si vede a occhio nudo.

Intanto al tavolo del Festival del pensare contemporaneo con il professor Boccaletti e il capo della protezione civile Curcio si è composta una discussione che ha messo sul tavolo diversi elementi che interrogano sul futuro della gestione delle risorse idriche, delle strutture che le governano, della gestione istituzionale “molto spezzettata” e di una politica che troppo spesso mostra interesse di facciata e abbandona la presa quando sono passate le cicliche emergenze.

La speranza è che l’interesse e l’attenzione si risveglino davvero. Infatti le loro parole, le loro riflessioni calate sulla realtà che viviamo, ci hanno sollecitati a rivedere anche i modelli su cui si basano comportamenti, scelte politiche, economiche e individuali sollevando un tema enorme. Quello delle infrastrutture e la loro (in)adeguatezza in rapporto alla forza che esprimono gli eventi atmosferici (catastrofiche alluvioni, bombe d’acqua, tornado) su territori che mai li hanno conosciuti prima con tanta violenza e frequenza.

Ecco quindi che si mette in evidenza – è stato più volte sottolineato – la necessità di ripensare alle costruzioni delle prossime infrastrutture capaci di resistere a tanta forza con una potenza mai vista “quasi assimilabile a quella prodotta dai terremoti” per dirla con Fabrizio Curcio. Ma la situazione pone anche altre sfide: in primis alle pubbliche amministrazioni e poi ai singoli cittadini. Le prime sono chiamate a riflettere sul tema della manutenzione delle opere esistenti. “Inutile guardare indietro, quello che è fatto è fatto, errori compresi. Ma è il qui e il dopo che ci pone di fronte a una svolta non rinviabile. Come? Su questo tema però non esiste una formula precostituita.

Bisogna inventarla. Non è facile.

CLIMA – Ripensare le scelte alla luce della forza degli eventi

Gli esempi portati in quel dibattito sono stati riferiti a due grandi alluvioni una di casa nostra, in Romagna, e l’altra successiva in Libia. Diverse tra loro sia per gli avvenimenti in sé sia per le infrastrutture presenti sui territori.

Entrambe dicono la stessa cosa: accendono una lampadina sulla statistica del clima; è la prova che sta cambiando e mette in crisi per due fenomeni opposti: siccità e alluvioni che vanno lette come effetto dello stesso problema. Ha rilevato il professor Giulio Boccaletti mettendo in rilievo come, nel momento in cui la forza dell’acqua eccede, mette a dura prova la resistenza delle infrastrutture esistenti.

Noi siamo stati abituati nell’arco di tutto il ‘900 – ha sottolineato – a non avere problemi con la disponibilità dell’acqua. In quel periodo sono state costruite dighe dimensionate sulle statistiche storiche a disposizione. Ma se quelle statistiche vengono sovvertite dal cambiamento climatico?

Quanto potranno resistere le infrastrutture targate ‘900 a questo rivolgimento climatico? È un cambio climatico che porta con sé anche a un necessario cambio di paradigma nel rapporto con la natura e le risorse di cui abbiamo bisogno come l’acqua.

Quanto prima ci saremo attrezzati per capire e adattarci a questo problema tanto meglio riusciremo a governare le emergenze, capire i rischi a cui siamo sottoposti e riuscire a soffrirne meno conseguenze.

Le segnalazioni arrivate dal dialogo sono importanti e inquietanti allo stesso tempo se, come è stato messo in evidenza, dal professor Boccaletti: “Le strutture realizzate decenni fa, nel ‘900 non sono più dimensionate alla sicurezza che ci si aspetta”.

La questione si è spinta anche più in là quando l’ingegner Curcio ha messo in evidenza l’urgenza di una manutenzione delle infrastrutture stesse alla luce di un clima impazzito. Anche lui cita le dighe che hanno più di 60 anni. Quello che sta succedendo – ha detto Curcio – è come se avesse fatto saltare tutto quello che ci hanno insegnato fino ad ora nei corsi universitari d’ingegneria”.

È come se la forza degli eventi naturali incaricasse i tecnici, gli esperti, le università a nuove formule, a vedere un futuro diverso da quello immaginato fino ad ora. E poi c’è il ruolo dei cittadini che i due relatori hanno evidenziato necessario oltre che urgente, attraverso “la consapevolezza dei cambiamenti in atto” che porti anche ad esercitare pressione e vigilanza perché il sistema istituzionale si indirizzi verso nuove strade.

CLIMA – Le difficoltà del sistema pubblico dalle risposte spezzettate

Tra gli ostacoli messi in evidenza ci sono le difficoltà del sistema pubblico alle prese con tante soluzioni diverse proposte da altrettanti sistemi istituzionali che procedono per conto loro, senza una sintesi complessiva. La protezione civile – ha segnalato l’ing. Curcio – è lo strumento tecnico del settore pubblico, ma è la soluzione politica il motore della svolta.

E da questa annotazione discende una considerazione oggettiva sul sistema che mette “tante competenze in conflitto tra loro e che porta a far sì che, per esempio del dissesto idrogeologico, se ne occupino tutti e quindi anche in questo campo – è la considerazione – bisogna domandarsi di fronte a questa situazione in che direzione vuole andare l’organizzazione dello Stato. Argomento scottante. Il punto di critica si concentra sulla riforma federalista che, su certi argomenti, ha creato tanti sistemi, tante leggi – vale per la sanità, per l’ambiente e anche per la protezione civile – che spesso sono in contrapposizione con lo Stato.

È  chiaro il professor Boccaletti: “Il titolo V è un problema, se si ragiona mettendo insieme i territori si arriva a una sintesi, ma ora la struttura che ci siamo dati rende questa questione molto difficile da affrontare”.

E poi lancia uno sguardo al futuro. “In questo momento – ha ricordato – stiamo affrontando un futuro che sarà dinamico e quindi cambierà. Un esempio? “L’Appennino così come lo conosciamo cambierà volto e forma. La chiave è capire cosa vogliamo in questa situazione, ma è chiaro che senza una sintesi politica sarà molto difficile risolvere i problemi e la loro evoluzione. Si tratta di volerlo e, prima o poi, lo dobbiamo fare con una visione di lungo termine”.

Tuttavia, gli ha fatto eco l’ingegner Curcio, al di là degli errori commessi in passato oggi le conoscenze ci sono e quindi ci si deve domandare che cosa si deve fare nel dopo.

Che forse è già oggi. Possiamo tornare a prima? Dobbiamo spostare le persone? Le scelte compiute in passato – giuste o sbagliate che fossero – sono state fatte e quindi non si torna indietro. Sappiamo già che tutto sta cambiando e quindi la domanda è come mi colloco rispetto a tutto questo? (Semplice ma difficile poter dare una risposta per le complessità che il problema pone). Non si può fingere di non vedere perché  sarebbe come chi oggi va al cinema e vuole ancora fumare in sala come faceva 40 anni  fa…

CLIMA – Il ruolo dei cittadini per spingere la politica

Una presa d’atto, una presa di coscienza che deve sfociare in decisioni, è il messaggio uscito da quell’incontro. Era partito dalla siccità ma ha toccato tanti altri aspetti compresa l’annosa questione del dissesto idrogeologico e dell’uso del suolo. E Piacenza in questo ambito ha molte traiettorie da cambiare e modificare rispetto sia al suo recente passato, sia alla realtà di oggi che continua ad essere vorace di suoli.

Alla fine si può dire che da questa conversazione è arrivata un’iniezione di fiducia perché, in sintesi, ha esortato a intervenire in maniera drastica su alcune cose di fondo. Dapprima la necessità di una legge sull’uso del suolo che ancora manca.

Un problema che emerge di tanto in tanto e poi si torna al punto di prima una volta passata l’emergenza. Si tratta di un passaggio culturale. Come far sì che si alzi una spinta dal basso e si alzi la consapevolezza? Le scelte sono politiche – ha sottolineato il prof. Boccaletti –  e per raggiungerle bisogna puntare anche sull’impegno civico ed è per questo – ha esortato – che una buona spinta a un civismo ambientale potrebbe essere una molla per spingere la politica a inserire nei programmi “veramente” il tema ambientale perché ora non si tratta di difendere quello che c’è, ma di costruire il nostro futuro.

Lo scenario che si affaccia del resto non lascia dubbi. Si prevede infatti che i cambiamenti climatici sui paesi del Mediterraneo saranno il doppio rispetto a quelli del Nord Europa e l’Italia sarà l’unico paese del G7 ad avere questo problema: saremo una frontiera europea. Da una frontiera possono  aprirsi anche opportunità se, come ha sottolineato Boccaletti, “le frontiere sono il posto dove le società si confrontano per rigenerarsi”.

D’accordo anche l’ingegner Curcio che sottolinea come di questi problemi si parla solo quando scattano le emergenze e quando quindi intervengono le strutture della Protezione civile. Esempio? Il fascicolo dei fabbricati, chi lo ha visto più? Eppure – ha segnalato – in un paese che passa da una ricostruzione all’altra dovrebbe essere fondamentale.

Perché finisce tutto nel vuoto? Non sarà anche per la mancanza di una spinta dal basso? Ecco perché occorre recuperare conoscenza e coscienza civica. Lamenta la mancanza di una programmazione che si aggrava in un contesto istituzionale che non arriva a conclusione… “Facciamo riforme che non trovano la fine”. Un lungo percorso che intercetta ancora i cittadini.

Mali non solo italiani. Ma per questo non siamo autorizzati ad alleggerirci la coscienza dai sensi di colpa.

Antonella Lenti

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