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Arte vitale nel gesto della quotidianità

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Arte vitale nel gesto della quotidianità

La si racconta nel volume “Art-Non-Art. Gli anni interno al ’68. Il movimento aprì la strada all’arte contemporanea negli anni Sessanta tra impegno politico, contestazione e ricerca”

Una Piacenza così vitale come quella descritta e documentata in ogni pagina nel volumetto “Art-Non-Art. Gli anni intorno al ’68 a Piacenza” non si è mai più vista e si fa fatica ad immaginarla anche ora. Non che nell’isolamento della provincia non alberghino tensioni socio-creative ma quando ci sono, quasi sempre, per esprimersi migrano verso altri percorsi cercando riflettori più splendenti per emergere. Dalla provincia si anela alla grande città perché l’eco del proprio pensare possa avere risonanza. Quell’esperienza ebbe qualcosa si diverso.

Ne furono protagonisti, Maria Grazia Agosti, Germana Arcelli, William Xerra, Ugo Locatelli, Alberto Spagnoli (Alberto Esse), Roberto Comini e poi anche Lorenzo Spagnoli, Luigi Gorra e Silvano Vescovi. Ad “Art-Non-Art” hanno lavorato Cristina Casero, Alessandra Acocella e Jennifer Malvezzi, edito e distribuito a livello nazionale da Postmedia Books di Milano e realizzato con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Si racconta, attraverso i documenti attinti dagli archivi personali di alcuni artisti, quella Piacenza che non ti aspetti. Nel ricostruire quel momento – hanno segnalato Cristina Casero e Alessandra Acocella durante la presentazione a Palazzo XNL dove era allestita una piccola mostra documentale prodotti dagli artisti – si è avuta la sensazione di costruire una storia rimasta assente fino a questo momento dalla narrazione ufficiale.

Fecero gruppo quei giovani artisti piacentini (probabilmente senza voler fare gruppo) spinti un po’ dal contesto politico nazionale e internazionale e anche dalle istanze sociali più forti di quel periodo storico e dal desiderio di rompere con il passato. Negli anni Sessanta non lavorarono solo a un atto artistico fine a se stesso che fosse di rottura con le tradizioni e la convenzione nell’arte, ma furono protagonisti del disvelamento di un canale alternativo di espressione a tutto tondo.

La fonte del libro è rappresentato dal vasto archivio di alcuni dei protagonisti di quell’esperienza che ha lasciato il segno e che a Piacenza ha sancito l’inizio dell’arte connessa con la vita, con i suoi problemi, con la politica, con la comunicazione, l’educazione eccetera. Arte che si mostra in varie forme entrando anche nel cuore della comunicazione che va dalla pubblicità al cinema, dalla pittura alla scultura fino al teatro.

Piacenza non era, è ovvio, l’unica città in cui si respirava la voglia di nuovo e di rottura delle convenzioni artistiche maiuscole che affondavano le radici nella tradizione. Piacenza però, a detta delle autrici dello studio documentale, con questa esperienza si colloca in un’ottica che va oltre se stessa. Tante altre città hanno avuto esperienze di questo tipo, ma non tanto eccezionali come si sono espresse qui e soprattutto quello che avveniva all’ombra del Gotico ha avuto anche risonanza internazionale anche attraverso i contatti di alcuni degli artisti protagonisti. Il tema che accomuna è uno: costruire una cultura partecipata.

ùQuindi l’esposizione del Gruppo A, la creazione di un Centro di Documentazione Visiva, le attività di Foglio Volante e del Laboratorio Popolare di Cultura e Arte, la Prima Rassegna di Cinema Sperimentale e il Festival della Non Art, organizzato nel 1969. Tale iniziativa, nata dai contatti con Ben Vautier e con l’ambiente di Fluxus, il movimento artistico già attivo negli anni ‘50 che spingeva l’espressione artistica nella vita quotidiana valutando i gesti comuni come atti artistici.

Le autrici rilevano come i modi di espressione e di ricerca di alcuni artisti piacentini si allineano dunque con alcune delle più importanti esperienze dell’avanguardia internazionale del tempo.

Tra le iniziative ricordate il Festival della Non Art che ha preso vita in piazza Cavalli nel giugno del 1969 e che viene collocata nel libro tra quelle “in linea con analoghe iniziative internazionali targate Fluxus” come scrive Cristina Casero all’inizio del volume. Tra l’altro nel libro si afferma che: “La manifestazione organizzata a Piacenza si innesta in una ben più ampia rassegna che si svolge nel giugno 1969 in numerose località in tutto il mondo.  L’occasione di collaborare a un importante evento internazionale per Piacenza arriva grazie a Locatelli che a Fiumalbo aveva conosciuto Ben Vautier. Così la cittadina emiliana diventa uno dei luoghi in cui questo festival vive”…

Un gruppo attivo anche nell’animare spazi espositivi dal negozio di via Garibaldi,12  che ospita il 16 ottobre 1965 la mostra collettiva del Gruppo A, dove A sta per avanguardia, di cui fanno parte Piergiorgio Armani, Ugo Locatelli, Romano Tagliaferri, Silvano Vescovi (pittore e scultore accolto nel gruppo dopo il suo ritorno dal Brasile dove aveva vissuto per 8 anni).

ùUn altro spazio identificativo è quello di via Romagnosi 48 in cui fu ospitata la nuova Galleria che, come prima mostra, ospitò le opere di Lucio Fontana. Tappe e iniziative di cui dava conto anche il quotidiano Libertà (nel libro se ne riportano le immagini degli articoli). Nel libro esce un racconto per immagini e sensazioni, ma anche il filo conduttore di una storia poco nota e di cui abbonda la documentazione.

Da qui la proposta lanciata da Alberto Esse, uno dei protagonisti di allora, durante l’incontro che si è svolto a XNL nei giorni scorsi. “Varrebbe la pena – ha detto – che quel materiale venuto alla luce, con documenti di cui si era persa la memoria, contenente tanti progetti non realizzati, tanti documenti –diventasse un vero e proprio archivio pubblico. Garantito che potrebbe essere molto ricco! Mi domando chi oggi potrebbe impegnarsi a farlo. Non abbiamo prodotto solo opere, anche documentazione. L’idea è lanciata, quella massa di documenti riposta negli scaffali della memoria potrebbe essere la base di partenza anche per storicizzare quel momento. Chissà.

L’interrogativo di oggi quindi – e il volumetto prodotto lo testimonia – come possa quell’esperienza avere valore per i contemporanei? Un interrogativo profondo che affonda le radici ancora in quell’esperienza emblematica che ha unito insieme personalità diverse che poi hanno affermato, ciascuno, una loro strada ma che in quel momento sono stati gruppo. “Impressionante – hanno detto le autrici durante la presentazione – che nonostante siano stati lavori di gruppo ognuno ha lasciato e dato con contributo personale”.  

Antonella Lenti

info@antonellalenti.it

arte

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