LENTI A CONTATTO

IL TARLO CHE RODE PIACENZA E CHE NON MUORE MAI (1)

Google+ Pinterest LinkedIn Tumblr

IL TARLO CHE RODE PIACENZA E CHE NON MUORE MAI (1)

Da anni ci sono cose che non capisco e continuo a non capire. Sono le cose piacentine. Negli ultimi quattro decenni di cui ho memoria la città e i suoi interpreti pro tempore hanno ciascuno coltivato sogni di riscatto. Quei sogni, che altrove sono diventati realtà lasciando il posto ad altri sogni, qui, tra le mura farnesiane, restano irraggiungibili. E’ il destino ingrato che ci tiranneggia?

Al di là dei limiti personali – certamente giocano un ruolo serio e ne prendo atto – non so quale sia quel tarlo tenace che rode le radici e non muore mai. Sarà il tarlo che impedisce di concretizzare i sogni?

Anche le giustificazioni si ripetono: fondi esigui, destino geo-politico che penalizza Piacenza a favore di altri territori ecc. Dagli anni Ottanta in poi la litania è sempre questa. Di rado è cambiata.

Sarà il tarlo sconosciuto che lavora in sordina a creare la staticità? O cos’altro?

Speranzosa, con sempre tanta voglia di cambiamento, mi chiedo quali siano i progetti che guardano ai prossimi 20 anni. Spererei di trovarli. Progetti concreti che abbiano come timone una virata ambientale.

Alle viste il nulla. Che raccordo con altre città? Ci si confronta? Si trae spunto dagli esempi positivi? Il percorso verso la salute ambientale non riconosce confini. Basta farlo.

Si sentono di tanto in tanto piccoli belati a denunciare la deriva, ma le idee dove sono? Mi convinco che il tarlo che lavora alacremente e fa di Piacenza una città ferma, immobile (forse anche contenta di esserlo) va giù oltre la superficie, è profondo, scava nelle radici e nasce da lontano. Quel tarlo si veste di volta in volta di tante fisionomie ma sempre tarlo resta.

C’è la demografia ostile, più stoccaggio che produzione, il lavoro che in 20 anni si è fatto dequalificato (in discussione diritti basilari altro che smart), investimenti che non salgono…

Elementi che si concretizzano con l’invecchiamento costante e senza scampo, una distanza materiale concreta tra il corpo cittadino e le università che restano un suffisso esterno alla vita locale, la tendenza autocelebrativa della capacità di risparmio di una popolazione che mette da parte pensando esclusivamente al proprio “giorno dopo” senza progettare un futuro per le nuove generazioni perché quello che sembra contare è il qui ed ora e tutto quello che può far crescere la rendita (anche di posizione per ciascuno) che è stata accumulata.

Attenzione il tarlo mi sembra cominci a prendere una certa forma. O no?

Nodo cruciale ora è quello ambientale: è lì che si svolta verso il nuovo se lo si vuole affrontare, è lì che resti alla deriva se non lo si vuole. “Nulla sarà più come prima” ci si pavoneggiava durante la fase dura della pandemia era solo retorica?

Parlare di ambiente come nuova dimensione delle società significa incidere su tutti i tasselli che compongono la società stessa e cambiarne direzione.

Produzione agricola e industriale, qualità urbana liberata dalle polveri sottili, colpo di reni per un sistema di mobilità sostenibile micro e macro, capacità progettuale per convertire i sistemi di collegamento, ma all’ambiente si collega anche il modo di produrre quello che mangiamo e la sua distribuzione, c’è il sistema territoriale coperto di un coltre di bitume e di cemento che non respira, la necessità di comprendere che il verde è essenziale per l’esistenza umana e nessuna altra opzione può sostituirlo.

Sarebbe necessaria una consapevolezza al di là dei propositi parolai che talvolta con tono contrito, talvolta con tono sferzante si raccolgono a ogni stagione quando si avvicina il turno elettorale. E’ su queste cose che nulla dovrà essere come prima se no stiamo giocando ancora sull’ipocrita palleggiamento tra il  dire e il fare.

Le ragioni per affrancarsi da un destino che vuole la pianura padana tra le aree più inquinate d’Europa ci sarebbero, eccome se ci sarebbero.

Non ultimo il ricordo di quanto avvenuto nel 2015 in provincia di Piacenza quando dalla Valnure la bomba d’acqua colpì anche la città e tolse vite umane. Tutto si tiene. Quello che a Piacenza è avvenuto nel 2015 lo abbiamo visto con sconcerto andare sugli schermi televisivi qualche settimana fa scorrendo il disastro che ha colpito la Germania.

Invece si tace o se ne parla tra pochi adepti. Anzi siamo ancora alla prese con una città (forse l’unica nel circondario) che non ha fatto nulla sul traffico, ha autobus che sparano cannoni di fumo verso il cielo e strade che a fatica contengono parcheggio laterale traffico a due corsie e piste ciclabili (si fa per dire) tutte insieme col risultato caotico che ne consegue.

E così nella giaculatoria infinita delle occasioni che ho sentito ripetere in questi anni (tornano sempre nello stesso formato) abbondano le elencazioni di potenzialità che il buon dio ha affidato a questa città con tante vocazioni tra cui la vicinanza di Milano e via di seguito…

Occasioni appunto e tali sono rimaste se ancora oggi nel 2021 si è alle prese con gli stessi temi di sempre.

C’è però uno spazio in cui Piacenza osa e alza la testa. E’ quando la vicina Parma avanza rivendicazioni per opere importanti che si “teme” potrà realizzare. L’ultima è una fermata della linea di alta velocità sul suo territorio. Perché non anche noi? E’ il grido partito da qui per segnalare l’ingiustizia per il supposto favoritismo che si compirebbe se la proposta fosse accolta.

In queste situazioni il tarlo va in letargo. Sulla ribalta il desiderio di un protagonismo dal sapore stantio. Troppo poco.

Antonella Lenti (info@antonellalenti.it)

Lascia un commento