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Aria pessima: primo arginare i danni, secondo volare alto progettando un 2050 su rotaie

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Aria pessima: primo arginare i danni, secondo volare alto progettando un 2050 su rotaie

Abbiamo evitato con ogni pretesto di adottare per tempo scelte che riducessero le fonti d’inquinamento e ora non ci resta che mettere le mani nei capelli perché la strada è tutta in salita. Ci sono così tante azioni da mettere in atto connettendole tra loro da rendere la piattaforma di risanamento dell’aria piacentina tra le imprese più complesse che questo territorio dovrebbe avere.. Ci sono così tante azioni da mettere in atto connettendole tra loro da rendere la piattaforma di risanamento dell’aria piacentina tra le imprese più complesse che questo territorio abbia dovuto affrontare.

Aria pessima: servono scelte chirurgiche

Non scelte generiche ma precise, “chirurgiche” per frenare l’irruenza delle polveri sottili. Difficile perché da decenni crescono esponenzialmente l’indifferenza sul tema e in parallelo dilaga l’intossicazione dell’aria. Allegramente ci siamo ritrovati ora al 307esimo posto in Europa su 323 città sotto esame negli ultimi due anni. Realtà dirompente: aria irrespirabile a Piacenza.

Complimenti a tutti noi! Non si sarebbe potuto fare peggio. Ma già lo sapevamo ma siamo stati insensibili ai dati allarmanti sull’aumento delle malattie respiratorie, dei tumori al polmone, sulla crescita delle malattie cardiovascolari connesse alle polveri sottili: 20,8 i microgrammi misurati in città. Più del doppio del minimo stabilito dai parametri europei che fissano il limite a 10 microgrammi.

Aria pessima: la pianura non può essere l’alibi

La collocazione geografica nella piatta e asfittica Pianura padana, capace di trattenere le polveri sottili al suolo è un’attenuante insufficiente e scontata. La pianura non inizia né finisce a Piacenza. Da capire come mai questo gran primato sia solo nostro (pardon, Cremona – è doveroso dirlo – è messa anche peggio). Ma c’è da rallegrarsi?

Una cosa è lampante: non si può affrontare l’aria malata senza occuparsi della mobilità dentro e fuori città. Tema sempre messo in secondo piano perché si è sempre detto “c’è ben altro” di cui occuparsi quando si parla di inquinamento. C’è anche altro ma la mobilità è uno dei cardini del sistema inquinante che ci circonda (assieme alle ciminiere di inceneritori, alle autostrade vicinissime, alle industrie, ai poli logistici, ai riscaldamenti domestici – sappiamo quanto gasolio viene mangiato nei condomini della città?)

Aria pessima: lo spaccato sul traffico

Sul traffico alcuni dati aiutano (risalgono al 2014) e sono contenuti nel Piano urbano per la mobilità sostenibile o PUMS (approvato dal consiglio comunale cittadino) sono inequivocabili nel mettere in primo piano l’urgenza che qui e ora si deve affrontare per la salute dei nostri polmoni.

Eccoli i numeri che descrivono come e dove ci muoviamo… e quasi esclusivamente sulle quattro ruote.

Spostamenti al giorno 77.690 (40mila in città). Ogni 100 abitanti ci sono 62 auto (superiore alla media nazionale). Ma c’è di più: il 53% degli spostamenti dentro la città ed il 77%  degli spostamenti tra la città ed il territorio avvengono in automobile, gli spostamenti a piedi sono il 19,9% e il bici il 17,8%. I mezzi pubblici si attestano su un misero 8,7%.

Ma che succede per il traffico verso la città? Il 75,6% degli spostamenti avviene con auto privata o moto e il 22,5% in autobus e treno. Le vie più trafficate ogni giorno? Via Colombo: 26mila veicoli, Stradone Farnese: 24mila, via Primogenita: 29mila, viale Sant’Ambrogio: 27mila, via XXI Aprile: 28mila, via Genova: 15mila.

Aria pessima: lavorare sul quotidiano e al futuro

Una situazione per cui è evidente un’accelerazione forte con azioni immediate e altre rivolte al futuro. Si dovrebbe iniziare a pensare oltre il quotidiano e il medio periodo. E’ il momento propizio, vista la lezione della pandemia che ha colpito duro le aree urbane della pianura più inquinata d’Europa. Un triste primato ora certificato e uscito dal limbo di un vago comune sentire da “anime belle”.

Pensare in grande il futuro di Piacenza come centro, modello di una mobilità alternativa all’auto e prepararsi ai prossimi decenni. Fantasie avvenieristiche, visioni immaginifiche? Questo ragionamento affonda radici nell’idea che la società sarà profondamente diversa da quella che oggi viviamo. Tracce di cambiamento sono già visibili.

Aria pessima: l’economia della condivisione in aiuto

Da tempo, infatti, si studia il fenomeno dell’economia della condivisione. La sharing economy è un modello in cui la condivisione di beni fisici (case, automobili, biciclette ecc), avviene fra più persone. Condivisione, insieme a riuso e riutilizzo, sono i cardini entrati già a far parte di tante imprese e lo saranno sempre più. Le giovani generazioni sono già molto orientate a questo sistema “leggero” di possesso. Una cultura in questo senso sta crescendo più velocemente di quanto di pensi.

Ma a sostenere l’idea c’è di più: di recente il ministro dei trasporti Giovannini ha annunciato che sarà il 2040 la data limite per la scomparsa delle auto a benzina e diesel. Ci saranno le auto elettriche, certo ma si può immaginare anche qualcosa di più “collettivo” per i piccoli territori così piccoli e così urbanizzati. Qualcosa come un vero e proprio sistema su rotaie che coinvolga i paesi della cintura cittadina e che diventi, entro 20-30 anni, l’ossatura del trasporto pubblico di collegamento tra l’area urbana di Piacenza e quei comuni che in questi anni sono cresciuti a dismisura e i cui cittadini gravitano sulla città per studio o lavoro, fruizione culturale, commercio, eventi sportivi ecc.

Aria pessima: partire dai trasporti su rotaie

Un progetto ambizioso su cui impegnare risorse ingenti che su progetti di mobilità sostenibile potrebbero diventare accessibili visto che l’argomento rappresenta il core business della stessa Europa. Sempre il ministro Giovannini recentemente al festival dell’Economia di Trento ha spinto molto sull’opzione “ferro” per i trasporti sottolineando che per il settore sono a disposizione risorse, aggiuntive oltre a quelle contenute nel PNRR.

Mettersi nelle condizioni di provarci non sarebbe una follia. Oltre a cimentarsi in un progetto finalmente “sostenibile” da lasciare a chi verrà dopo di noi sarebbe una svolta che lascia alle spalle un modello che non solo non può reggere (la pandemia ce lo ha ricordato) ma che è dannoso e s’inserisce a gamba tesa nella stessa aspettativa di vita delle persone. Che benessere si andrebbe cercando senza la difesa del diritto all’esistenza?

Antonella Lenti (info@antonellalenti.it)

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