LENTI A CONTATTO

Sono Piero.Zero sostituto del “collega umano”

Attenzione non è una crociata anti-tecnologica. Affatto è un appello a sopravvivere come persone. Oltre gli algoritmi.
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Sono Piero.Zero sostituto del “collega umano”

“Pronto! Pronto?” Arriva presto una risposta che mi chiarisce che sto parlando con un computer, familiarmente lo chiamerò Piero.0. Assurdo per assurdo, perché non dargli un nome? Perplessa, resto in ascolto…

“Se non risolvo il suo problema la metto in contatto con un collega umano”. Dice da vero e proprio impiegato “digitale”

Un collega umano, mah (passi la declinazione solo al maschile).

Ingenuità o anzianità o poca frequentazione del mondo? Un po’ tutto questo.

E’ la prima volta che parlo con una macchina (anni luce fa perfino le segreterie telefoniche erano urticanti se sulla registrazione non trovavo la vera voce dell’abbonato) perché ogni volta che mi è capitato ho chiuso la telefonata. In fondo una macchina mica si offende se la lasci appesa al ricevitore…

Ma c’è sempre una prima volta. Così entro in contatto con “l’impiegato Piero.0” che mi preannuncia quanto detto in precedenza qualora (esso?, l’entità?) non fosse riuscito a risolvere il mio problema la telefonata sarebbe passata a un “collega umano”.

In quel momento ho accolto con un sorriso il gentile avvertimento e poi mi sono sentita stupida. L’anello di un ingranaggio in cui siamo finiti tutti quanti senza quasi accorgercene (app dopo app) tante volte perfino contenti della facilità con cui si riuscivano a fare le cose senza neppure spostarsi da casa. Per non parlare di 20, 30 anni fa. Certo non avevamo l’anello al naso quando ci accoglievano le sale d’attesa degli uffici, caldi s’estate e freddissimi d’inverno.

E poi mi sono domandata che cosa aveva guadagnato, la mia stessa persona, da questa grande conquista e dall’intessere di un dialogo con il non umano Piero.0. Direi nulla. Se non l’esperienza nuova e alcune considerazioni che faccio qui.

Il lavoro. Che strano percorso ha imboccato. Ci ritroviamo a parlare con “un collega non umano” che fa un lavoro al nostro servizio e lo reputiamo al top della scala dei valori del nostro vivere civile perché ci risolve un problema in corsa senza distoglierci da quello che facciamo. Ho molti dubbi che s’addensano.

A furia di digitalizzarci, di tecnologizzarci non si rischia di perdere di vista l’ambito umano del lavoro che ancora sopravvive (anche se non ne siamo molto interessati) nonostante la nostra memoria sia diventata molto corta?

Quella telefonata è stata davvero illuminante per farmi riflettere sui rischi che stiamo correndo e sulle ingiustizie che senza volerlo stiamo decretando. Forse perché il lavoro sia qualcosa adeguato alla modernità?

Perché se si sedimenta dentro di noi che un lavoro può farlo una macchina al nostro posto che valore assumerà in generale il concetto di lavoro? Non rischia il concetto stesso di lavoro di diventare qualcosa di basso, di infimo appannaggio di chi non può godere dei benefici della tecnologia, di chi non può essere un tutt’uno con una caterva di App?

Si susseguono in queste settimane notizie terrificanti di persone che muoiono sul posto di lavoro. Si susseguono notizie di persone che lavorano per pochi spiccioli molte ore al giorno senza le minime norme di sicurezza. Quasi invisibili perché non ci accorgiamo di loro, non sono tecnologicamente tracciabili. Nella scala dei valori del lavoro sono all’ultimo gradino perché lontani dal sapere tecnologico.

E mi chiedo se non ci sia una correlazione stretta tra la disattenzione crescente verso i lavori in cui le persone in carne e ossa sono i protagonisti e la trasformazione tecnologica che invade tutto. Anche le menti.

E’ venuto meno il controllo perché questi lavori siano rispettosi dei diritti, delle tutele, della dignità umana? Del resto la tecnologia, app dopo app, si appropria di esistenze, pensieri, gusti, scelte personali, anche politiche e ne fa tesoro. Una supplica. Non lasciamo che l’allievo (l’intelligenza tecnologica) superi il maestro (il genere umano).

Ps.

Attenzione non è una crociata anti-tecnologica. Affatto: è un appello a sopravvivere come persone. Oltre gli algoritmi.

Antonella Lenti (info@antonellalenti.it)

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