SERPE IN SENO/SALUTE

Cavanna, è tempo di investire sulle cure anti Covid non basta avere i vaccini

UNA LUNGA INTERVISTA A RAI CULTURA ALL'ONOCOLOGO PIACENTINO. A TUTTO CAMPO SUI TEMI SCOTTANTI CHE INVESTONO IL SENSO DELLA PROFESSIONE MEDICA IN TEMPI DI PANDEMIA E ALL'INTERNO DI UN SISTEMA SEMPRE PIU' TECNOLOGIZZATO. ATTENZIONE NON VENGA MENO IL VALORE UMANO.
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Cavanna, tempo di investire sulle cure anti Covid non basta avere i vaccini

“L’essere umano non è una macchina non è solo organi. Il rapporto con il curante da parte del paziente ha un peso importante. Infatti è vero che le parole curano ed è chiaro che abbiamo bisogno di medicine farmacologiche ma anche la medicina relazionale ha molta molta importanza e ci sono tante evidenze scientifiche che danno riscontro di questo”.

Considerazioni tratte dalla lunga intervista al professor Luigi Cavanna di recente eletto presidente degli oncologi italiani rilasciate nel maggio scorso al canale RaiCultura. Cavanna nelle sue parole pone l’accento sull’aspetto umano della professione medica richiamando i principi fondamentali della medicina che insieme a scienza è anche arte.

CAVANNA – L’attualità del giuramento di Ippocrate

Cavanna si sofferma sui principi fondanti della professione medica segnalando quanto l’aspetto umano non sia mai in secondo piano rispetto a quello della scienza.

“Il giuramento di Ippocrate ha una grande valenza e il medico ha un ruolo importante perché viene a conoscenza delle difficoltà dell’essere umano quando gli viene meno uno dei beni più preziosi come la salute. Non faccio retorica, di questo ci rendiamo conto quando ci viene a mancare.

Nel 2002 uscì la lettera sulla professione medica e si diceva “il medico quando vede che le cose non vanno non deve stare zitto per timore di crearsi qualche nemico tra chi ha un ruolo superiore al suo, deve come coscienza alzarsi in piedi e gridare che qualcosa non va.” A me piace molto leggere le poche righe della prefazione dell’Harrison un testo che possiedono certamente tutti i medici e dice così

Dal medico ci si aspetta attenzione e comprensione, in quanto il paziente non è una semplice collezione di sintomi e organi lesi, ma un essere umano con paure e speranze, che cerca sollievo, aiuto e rassicurazione”. 

Poi la cosa bella che ripeto ai giovani studenti è questa: per il medico come per l’antropologo nulla è strano e ripugnante. Il misantropo può divenire un abile diagnosta delle malattie organiche ma ha pochissime probabilità di  fare il medico. Il vero medico ha un interesse profondo per il saggio e per il pazzo per l’orgoglioso e per l’umile, per l’eroe stoico e per il lamentoso vagabondo è chi si prende cura della gente. Questo è fare il medico”.

CAVANNA – Ok ai vaccini, ma le cure non sono alle viste della ricerca

Insieme al racconto della sua esperienza sul campo il professor Cavanna si sofferma sull’oggi e soprattutto sul futuro, parlando di vaccini e soprattutto di cure per le quali la ricerca non è così attiva come lo è stata per i vaccini. Una malattia si previene con i vaccini ma si cura con le medicine. E dove sono le ricerche su questo fronte? Così esprime il suo pensiero il professor Cavanna:

“I vaccini sono stati una grande scoperta per l’umanità. Nella storia degli uomini hanno salvato milioni di vite. Detto questo però c’è una cosa che mi chiedo sempre. Ho visto in atto una ricerca spasmodica dei vaccini con una mole consistente di investimenti ma al contempo non c’è stata una ricerca, una giusta attenzione alle cure da dare ai pazienti fuori dall’ospedale. Tanto più che il Covid è una malattia virale e che una malattia virale si concentri sull’ospedale non ha tanto senso scientifico se vogliamo fare un’analisi puramente organicistica. Quindi benvengano vaccini e investimenti però una malattia si previene col vaccino ma la si cura con le medicine.

Le ragioni sono semplici: si cura con le medicine primo perché tutti non potranno essere vaccinati e poi perché con i vaccini non copriamo al cento per cento i rischi. Il cento per cento nella scienza è difficile ottenerlo. Da qui diventa razionale sviluppare studi randomizzati sostenuti non tanto dall’industria, ma dai governi dagli Stati, dalle agenzie regolatorie.

L’industria che produce farmaci per forza investe dove ha un ricavo, un ritorno più grande. Se abbiamo alcuni farmaci che costano poco, Ipermectina o gli altri antiinfiammatori, non sarà un investimento per l’industria ma lo può fare lo Stato. Esistono cure che sono state sponsorizzate dai governi. Sul Covid però si è investito sul vaccino e molto poco sulle cure e su quelle extra-ospedaliere in particolare. Porto ad esempio la terapia col plasma che non ha un gran costo ma se ne parla poco. Anche degli studi che sono usciti si parla poco”.

Cavanna trattando questo tema si sofferma poi sugli studi randomizzati. “Non tutti gli studi randomizzati sono oro colato, ho studiato su questo e imparato, ho fatto un master su ricerca e innovazione. Alcuni studi sono pieni di difetti. Importante è cercare di capire quali sono i difetti. Quando parliamo di scienza bisogna entrare nel merito degli studi che impongono una medicina disponibile perché poi i governi l’acquistino”.

Altro tema scottante: i vaccini nei giovani? “Sarei più prudente. – ha segnalato Cavanna. “Più prudente per due motivi. Il primo è che contraggono sì il virus ma difficilmente si ammalano. Il follow up è per forza di cose limitato quando si parla di un vaccino e quindi prima di farlo in un giovane si dovrebbe avere avere un po’ di prudenza.”

CAVANNA – Da marzo 2020 la cura entra nelle case dei pazienti

L’oncologo piacentino si sofferma inoltre sui temi di maggiore attualità legati alla pandemia che, insieme a Gabriele Cremona caposala de reparto oncologico, lo ha visto protagonista fin dalla prima fase del 2020 con il progetto delle cure a domicilio di cui hanno parlato le testate giornalistiche di tutto il mondo.

L’immagine del medico e dell’infermiere racchiusi nello scafandro bianco con bande blu ha fatto il giro del mondo. “Il primo approccio che avevamo quando entravamo nelle case delle persone – dice Cavanna nell’intervista registrata con Rai Cultura – era di tranquillizzare le persone prima di tutto scusandoci della bardatura protettiva che avevamo e mettevamo l’accento sul fatto che ci saremmo presi cura di loro. Tranquillizzare le persone era fondamentale perché tutti erano terrorizzati da una malattia sconosciuta che si andava mostrando con tanta aggressività.

Se pensiamo a questi ultimi 14 – 15 mesi dal Covid sicuramente la parte umanistica della medicina a mio avviso è stata deficitaria

 Noi avevamo l’obbligo di avere i dispositivi di sicurezza ma anche con le tute vi possono essere diverse modalità nel rapporto con il paziente. Leggevamo negli occhi dei pazienti la paura. Terrore legato non solo al virus ma anche alla paura dell’isolamento, dall’essere ricoverati in ospedale perché si aveva la percezione che l’ospedale fosse rischioso e poi, aspetto non secondario vi era la perdita dei contatti con i parenti. All’ospedale oltre alla malattia si entrava nell’isolamento totale.

CAVANNA – Il racconto: l’approccio col paziente a casa

“Nei primi giorni entrando in diverse case vedendo persone di diversa estrazione sociale il povero, il ricco, chi aveva studi universitari alle spalle o chi non aveva studiato, sentivamo ripetere spesso la stessa frase: “andrà come andrà dottore ma almeno qualcuno è venuto a vederci”.

Lì si creava sulle nostre spalle una grande responsabilità perché vedevamo le persone in condizioni veramente precarie”. Segnala il professor Cavanna.

Quindi prosegue: viste le condizioni ci si potrebbe domandare perché non li facevamo ricoverare… Su questo aspetto bisogna tornare a quei tempi, a quando le ambulanze erano in fila per scaricare i malati per i quali si faticava a trovare un posto letto: questo era un fatto oggettivo e poi c’era anche una valutazione soggettiva di cui tenere conto. Infatti a marzo, aprile dello scorso anno si era diffusa l’opinione che potevano succedere due cose.

La prima, particolarmente pesante per una persona anziana. quella di non vedere più un parente per chissà quanto tempo”. Sottolineatura significativa perché in una condizione di estrema sofferenza è quanto mai necessario il conforto delle persone care è importantissimo. La seconda ragione – segnala Cavanna – era che l’ospedale allora significava il punto di non ritorno.

In sostanza il timore diffuso era: se entro là non torno più indietro. Tanto è vero che quando arrivava un’ambulanza vicino a casa di qualcuno o nel condominio l’accaduto veniva raccontato con un’espressione triste, lugubre “L’hanno portato via”. Le persone ci imploravano “curateci a casa”. L’altra faccia della medaglia poco conosciuta è che quando si entrava in una casa c’era la persona che stava male con tosse, febbre e fatica a respirare, un congiunto che stava meno male ma con qualche sintomo e nella loro famiglia qualcuno già non ce l’aveva fatta a superare la malattia o era ricoverato in gravi condizioni di covid. Questa era la situazione in molte famiglie che incontravamo.

Quindi da un lato li andavamo a visitare a casa, lasciavamo i saturimetri, le medicine e rassicuravamo che anche per telefono sarebbero stati seguiti, durante lo stesso pomeriggio oltre a una nuova visita il giorno dopo per i pazienti con una forma severa di polmonite.

Il quadro era questo. Anche se si entrava nelle case con la protezione era un approccio che voleva essere estremamente umano e di scusa per come eravamo bardati. Ci presentiamo così perché è obbligatorio ma siamo noi venuti per curarvi”.

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CAVANNA – Prima ondata: l’acceso dibattito sull’efficacia dei farmaci…

Il Covid lo si è cominciato a conoscere bene, segnala l’oncologo piacentino. Oggi ha un andamento bifasico: in una primo periodo corrisponde all’incubazione ai primi sintomi e poi c’è la fase in cui prolifera. E’ il virus che si sviluppa e cresce nell’organismo. E in questa prima fase poter utilizzare farmaci che antagonizzano il virus e lo combattono è rilevante. Vi è un farmaco che si dà solo in ospedale e che raccoglie la maggior parte dei consensi del mondo scientifico e che si fa per endovena però deve essere fatto in ospedale e più precocemente viene fatto più si ottengono risultati. Il punto è che si fa solo in ospedale.

Ma torniamo allo scorso anno, a febbraio, quando i farmaci che si utilizzavano per i malati ricoverati – si badi bene erano farmaci avallati dalle linee guida prese  sulla base dei primi studi realizzati dai cinesi che avevano avuto per primi il covid – erano idrossiclorochina e un antivirale un anti-aids.

Quanto all’Idrossiclorochina sottolinea “a nominarlo oggi si rischia la scomunica, ma lo nomino e sottolineo che a volte il mondo scientifico dovrebbe essere più scientifico”. Che caratteristiche avevano questi farmaci? La prima è che erano di facile somministrazione. E va detto che questi farmaci, dati precocemente, hanno dato risposte favorevoli. Sono stati utilizzati per tanti pazienti.

Da noi in Emilia Romagna infatti le Usca hanno seguito migliaia di pazienti e i risultati hanno permesso di ridurre l’ospedalizzazione. Poi si è visto che altri farmaci anti infiammatori hanno un effetto importante se somministrati precocemente quando si ha sospetto forte di Covid. Al di là delle polemiche, non si vuole utilizzare l’idrossiclorochina?

Bene, gli anti infiammatori sono una soluzione positiva se l’evoluzione del paziente sta bene se l’evoluzione non è favorevole e dopo 7 giorni la respirazione è problematica è indicato dare cortisone ed eparina. Quest’ultimo farmaco è necessario perché stando a letto, aumenta il rischio trombo embolico. Queste sono cure efficaci e sono le stesse cure che il paziente farebbe in ospedale se venisse ricoverato. Quindi questo è stato il lavoro fatto al domicilio dei pazienti ricorda il primario piacentino e in più – segnala – abbiamo portato a casa dei pazienti anche l’ossigeno. Un’organizzazione che permette di seguire anche in remoto. In questo modo i pazienti si curano a casa ottenendo risultati importantissimi.

CAVANNA – Mantenere alta l’attenzione alle altre malattie

Nell’intervista rilasciata a Rai Cultura il professor Cavanna solleva un punto cruciale evidenziato in particolare lo scorso anno quando gli ospedali erano interamente dedicati al Covid ed erano “interdetti” ai pazienti con malattie tradizionali anche se gravi.  

“Su queste questioni dobbiamo riflettere da cittadini che vivono nel mondo e non sulla luna. Se gli ospedali come è successo nella prima ondata sono occupati da malati Covid gli altri malati che prima andavano in ospedale che fine hanno fatto? Parlo di persone con ictus, tumori maligni che se si aspetta sei mesi possono diventare metastatici… quindi se curato a casa precocemente il malato non andrà in ospedale che resterà libero per i malati non covid”. Non è cosa da poco.

Nella prima ondata abbiamo seguito 330 pazienti – segnala Cavanna – con percentuale di ricovera inferiore al 5%, abbiamo curato anche pazienti con polmoniti severe e per fortuna non abbiamo avuto casi di mortalità.

Nella seconda ondata personalmente ho curato 240 pazienti. Diversi malati sono deceduti e abbiamo avuto molti più ricoveri. Nella seconda ondata sicuramente la modalità terapeutica era cambiata rispetto alla prima. A fine maggio 2020 alcuni farmaci venivano tolti o si sconsigliava il loro utilizzo. Va detto però che nella prima ondata il tasso di ricovero è stato molto basso con una mortalità assente, nella seconda si è verificato il contrario.

Ciò che mi ha colpito di più di questa pandemia – aggiunge Cavanna – è che spesso i pazienti dicono “non mi visitano…” Forse ci stiamo abituando al fatto che il malato con sintomi non venga visitato.

E qui c’è un punto fondamentale che riguarda la formulazione della diagnosi. “La riflessione è che fare una diagnosi non è sempre facile e se si salta un pezzo così importante come quello della visita medica quale ispezione, palpazione, percussione e auscultazione, se si dimenticano questi principi, credo ci sia davvero da fare tantissima riflessione. La diagnosi non si costruisce mettendo nel computer una serie di dati da cui esce la soluzione. La diagnosi si basa ancora sulla semiotica medica. Il cittadino deve avere il diritto di essere visitato. A volte un inseguimento spinto verso la tecnologia che costringe a compiere salti logici forse non porta a grandi risultati. Chi è malato deve essere visitato”.

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CAVANNA – Anche con una pandemia le persone hanno diritto di essere curate

Resta ancora questa una parte essenziale della professione medica secondo Cavanna che prosegue. “In questa pandemia c’è un’altra riflessione legata al medico che visita, che s’impegna per arrivare a una conclusione di diagnosi e di cura da solo o condividendola in parallelo. Riflessione che riguarda una componente direi deteriore rispetto a quella sanitaria e che si traduce in un’eccessiva esaltazione del valore degli studi clinici randomizzati. Spesso ci si sente dire: questa cura o questa strategia  non ha una sufficiente evidenza dimostrata, è inutile farla.

Ma a fronte di questa convinzione c’è un malato che pone una richiesta precisa al medico: “caro dottore se non c’è evidenza allora curatemi con quello che sapete per curarmi… ci sarà pure una cura anche se non c’è evidenza”.

Questo virus lo conosciamo da pochissimo tempo e non possiamo avere tanti studi randomizzati  e se non li abbiamo allora non curiamo la gente? E’ un problema che dobbiamo porci e lo pongo con estrema umiltà.

Consideriamo poi che viviamo in un’epoca che a fronte dell’ipertrofia dei mezzi tecnologici, si assiste a una drammatica ipotrofia dei fini. Non c’è evidenza che funzioni, quindi il mezzo è l’evidenza, ma attenzione, il fine è curare bene la gente. Quindi la confusione tra mezzi e fini è un elemento da soppesare.

La gente, anche con una pandemia, ha bisogno di essere curata con coscienza certo – primum non nocere – e lo dico a me stesso ma lo faccio ad alta voce. Se non abbiamo studi randomizzati che ci dicono che una medicina è meglio dell’altra ma abbiamo esperienze sui territori (non singoli pazienti ma centinaia di pazienti) andiamo a vedere che cure hanno fatto e che esiti hanno avuto e, in mancanza di studi randomizzati, prendiamo ciò che di buono arriva perché anche la medicina dell’evidenza ha la sua importanza.

QUI IL VIDEO CON L’INTERVISTA A CAVANNA

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