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Lettera aperta: i subbugli da Covid sono solo miei?

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FACCE DA COVID – 1 – Lettera aperta ai lettori: i subbugli da Covid sono solo miei?

Fa bene sempre. O meglio quasi sempre fa bene rileggere le cose che si sono scritte in passato. Qualunque spinta avessero avuto nascondono spesso una sensazione che sta in fondo nell’eco delle parole anche se non viene detta esplicitamente. “(…) il positivismo cercava ad ogni costo di opporsi al pessimismo ineluttabile attraverso il  fare, l’essere, il dire; il confrontarsi, quello che mi ha sempre contraddistinto in passato, sembra essersi perduto, vaporizzato. Non esiste più. E la spinta al nulla, all’isolamento, al distacco è sempre più forte.  Non starò mica diventando un’isola!”.

Parole uscite dal malessere del momento che lette a distanza hanno un tono che veste perfettamente quello che sono oggi. Premonizione di quello che poi è arrivato. L’immobilismo a cui ci ha costretto il lockdown ha lasciato il suo sedimento dentro di me tanto da rendermi difficile quasi impossibile cambiare quello scenario.

Anzi è stato perfezionato al punto che spesso mi ritrovo a camminare per vie nascoste per evitare contatti. Distanziamento sociale per scelta. O per paura non del virus ma delle contraddizioni, delle contrapposizioni. Paura di finire di nuovo in un angolo e quindi tanto meglio se me ne sto quieta sulla mia isola. Se quella dell’isolamento per me è una tendenza di fondo, contro cui ho fortemente combattuto con me stessa (fino a decidere di voler essere giornalista), se l’isolamento in me è un modo d’essere latente, l’esercizio tanto praticato per oltre due mesi forse lo ha sedimentato rendendolo uno zoccolo duro che scalfire non si può? Isolamento e giornalismo non stanno insieme. Un bel pasticcio.

Lettera aperta ai lettori: LA DIFFIDENZA E TANTI MUMBLE MUMBLE…

L’aria che si respira, i comportamenti, obbligano a diffidare per definizione dell’altro: “Portatore sano. Un falso negativo”? “Guarito, ma siamo sicuri?”. Più impegnati a identificare i falsi da virus che i falsi di banconote… tanto che se fossimo protagonisti di un fumetto si vedrebbero tanti “mumble mumble” racchiusi nelle nuvolette spuntare come aureole sopra i passanti…

Eppoi i foschi addensamenti che si preannunciano lungo un orizzonte non tanto lontano e che fanno temere di arretrare, di perdere le conquiste (o più egoisticamente le soglie di benessere) che sentivamo certe e immutabili anzi destinate a un percorso sempre e comunque progressivo (“Non sia mai che una società così evoluta si lasci infinocchiare da un pipistrello!!!”) completano il quadro di uno scenario che ancora appare del tutto trascendente irreale e gotico-medievale.

Il vacillare nella nostra mente di alcune certezze che erano indiscutibili compagne di vita ogni giorno pesa sullo stato d’animo e sul modo di porsi verso l’esterno. Ma pesa anche per il sentire interiore.

Lettera aperta ai lettori: CELAFAREMO, ANDRATUTTOBENE la retorica da fiction

La retorica del celafaremo e dellandratuttobene ce la ricordiamo tutti molto bene e non solo chi ne ha preso parte anche solo come comparsa sperduta nel piccolo paese di provincia. Bè ha perso tono. Anche se quelle parole talvolta s’incontrano ancora su qualche striscione appeso con quell’impegno categorico scalfito solo dal logorio prodotto dal vento, dalle piogge e dal sole, ben altro si fa strada.

Ora quella retorica spicciola è ritornata nel copione della fiction da dove era uscita. Per un po’ ha occupato spazi vuoti ha contribuito come un mantra a scacciare le paure che ci toglievano quasi il respiro e che non sentivamo di sopportare soli, isolati. Belli i cori sui balconi, ma erano solo cori sui balconi. Non hanno rappresentato nulla. Erano espressioni estemporanee di un racconto sospeso, virtuale, quasi morbido che ha contribuito a farci sentire tutti nella stessa condizione e per questo ci avvolgeva come una lunga sciarpa di lana che infonde tepore ai corpi.

Lettera aperta ai lettori: POI SIAMO TORNATI LIBERI

Poi è arrivato il momento del via libera alla vita di sempre. Si è tornati a uscire e come quando si sta per tanto tempo immobili sono iniziati i dolori alle articolazioni. E non solo. L’affanno a fare le scale a cui non eravamo più abituati e quelle persone che amavamo tanto dai balconi d’improvviso si sono mostrate in tutta la loro carica animale e averli così vicini, sentirne le solite discussioni, vederli nei soliti comportamenti ci hanno provocato quasi un desiderio di scostamento.

Lettera aperta ai lettori: DAL DISTANZIAMENTO ALLO SCOSTAMENTO

Spinti da un istinto di egoismo estremo finalizzato alla sopravvivenza ci siamo convinti che forse il “cuore di casa” non era così male, hanno un bel dire gli psicologi che il rapporto umano arricchisce, mette a confronto e fa progredire tutti… ma noi si stava così bene con i ritmi a misura di famiglia …. Non è quella della famiglia un’altra retorica che ci appartiene?

Là fuori sotto una cappa di smog, sotto piogge acide, sotto un sole che spruzza ozono a più non posso c’è l’umanità così preziosa per gli umani ma, ma, ma… l’umanità è poi così un bene?

A furia di farsi domande “isolanti” a lungo andare si può finire per credere invece che … dell’umanità si può fare a meno… che l’umanità puzza, l’umanità urla, l’umanità giudica, l’umanità tradisce, l’umanità è infingarda e naturalmente da tutta questa massa umana noi ci chiamiamo fuori perché in fondo in fondo nutriamo la segreta convinzione che se c’era qualcuno che sarebbe uscito migliore da quanto è successo (l’altra retorica che ci ha ammorbato per due mesi e mezzo) quelli saremmo stati noi. Per forza: noi ne abbiamo la stoffa.

Foto di Sasha Freemind su Unsplash

Sarà mica il collega, il vicino, il negoziante, il precario, il lavoratore che non sa se tornerà a lavorare, il giovane che di botta in botta ha qualche speranza che vacilla, la signora ignara e inconsapevole che trova nel gesto di fare la spesa il fine delle sue giornate a poter spendere nella nuova vita dopo il Covid quella grandezza d’animo e di spirito che solo noi abbiamo saputo elaborare in quei due mesi di isolamento. Loro no. Noi sì.

Lettera aperta ai lettori: NON VOGLIO FINIRE SULL’ISOLA DELL’IO

Ora quanto è alle nostre spalle ha il sapore del dramma incompiuto e proprio per questo proietta su di noi altre ombre lunghe che in quanto deformate dall’immaginario e dalle costruzioni del pensiero assumono pose e fisionomie beffarde. Drammaticamente beffarde. Sinistramente beffarde.

Parole scritte sulla sabbia che un’onda cancella lasciando l’orma altrettanto labile di un piede che vuole finalmente assaporare il piacere di affondare e riemergere e con questo movimento portarci avanti impostare il nostro cammino.

L’affondare di un piede nella sabbia è la metafora di me stessa che mi fa sentire in movimento ma senza avere ben preciso il punto d’arrivo e né il modo per arrivarci. Sarà questa la crisi post Covid? Mi devo sentire assimilata a qualcosa che stava in piedi prima e che ora ha sotto di sé un terremo di sabbia che affonda traccia una forma che subito svanisce?

Torno all’inizio. Il positivismo da sempre contraltare alle spinte distruttive dove l’ho cacciato? Dov’è finita tutta la voglia e il desiderio di fare, di dire, di scrivere, di pubblicare sul mio personale giornale di autocoscienza?

Tutto svanito contaminato dal virus?

Non voglio finire nel cantuccio dell’isola di un io inutile e putrescente.

A presto.

Una traccia del percorso

LETTERA

Foto di McKenna Phillips su Unsplash

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