LENTI A CONTATTO

A proposito di campagne elettorali ode alla libertà di tutti e ogni giorno

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Sono nata libera. Penso di essere cresciuta libera; ho fatto scelte da libera. Da libera ho studiato; da libera ho commesso degli errori; da libera ho votato; da libera ho amato; da libera mi sono divertita; da libera sono stata felice; da libera sono stata triste (anche tristissima, talvolta disperata); da libera ho vissuto nella malattia; da libera mi sono curata e mi hanno curato (bene); da libera spero di continuare a vivere.

Credo di aver fatto di tutto per restarlo.

nel paese in cui sono nata (dopo la dittatura) libertà è un valore che esiste in se’ al primo respiro nessuno ha il potere di regalarla o toglierla

Nel Paese in cui sono nata, ho vissuto e vivo la libertà è considerata un valore che esiste in sé con il primo respiro. E ci mancherebbe che non fosse così. E’ un valore in sé e non viene concesso o ritirato a seconda del vento che tira o delle promesse di parte che pure lusingano, s’insinuano negli interstizi del pensiero tanto che, quei mantra ripetuti fino alla noia, in un attimo senza che te ne accorga ti avvolgono la testa come un guanto e finisce che ci credi. Ma quando si parla di “rendere liberi” di “conquistare libertà” non si possono mettere in fila parole a vanvera.

Ecco cosa vorrei. Vorrei che si parlasse delle libertà di tutti. Vorrei che il concetto non fosse una clava gettata contro i o il presunto nemico da abbattere. Vorrei che la libertà non fosse usata per aizzare contro il presunto nemico una muta di cittadini arrabbiati oggi chiamati popolo (o genericamente italiani). Popolo, parola d’ordine per rafforzare il proprio pensiero pensando che popolo (o genericamente italiani) possa spiegare meglio, rendere più immediata la giustezza delle istanze di conquista. Quel popolo(o genericamente italiani) che appare sempre come un magma indistinto ha innumerevoli colori, bisogni, esigenze, subisce spesso tante “illibertà”. Illibertà e per citarne una porto ad esempio un fatto reale.

nato in italia ma senza la libertà di essere cittadino

Durante un banchetto per la colletta alimentare mi è capitato di incontrare un ragazzo volontario giovanissimo. Nulla tradiva la sua origine: un italiano perfetto (senza infarciture di raga, o fottuta interrogazione), attivo al banchetto della parrocchia, entusiasta e partecipe della comunità piacentina, verso l’ultimo anno delle superiori e con tante speranze… infrante però dal fatto che a 18 anni (li compirà in questo 2020). 18 anni quando per tutti noi è iniziato il periodo più bello della vita dove è avvenuto l’affrancamento dalla famiglia, dove si è potuto votare per la prima volta… ebbene per lui, nato in Italia da genitori stranieri, tutto questo non accadrà.

I suoi 18 anni porteranno nella sua vita la burocrazia incomprensibile che lo porterà a fare le file per ottenere il permesso di soggiorno: da maggiorenne sarà straniero in patria.

E’ di queste libertà di cui dovremmo discutere e che dovremmo prendere a cuore. Quel ragazzo finirà la scuola superiore fianco a fianco con i compagni nati in Italia come lui ma da genitori italiani che voteranno per la prima volta… e lui resterà a guardare. Cosa gli manca per essere considerato cittadino italiano? Cosa gli manca per entrare a far parte di quel popolo di cui tanto ci si riempie la bocca?

Intanto c’è chi dal palco racconta che ci vuole “restituire” … libertà.

In queste ultime settimane di campagna elettorale per le regionali dell’Emilia Romagna del 26 gennaio prossimo mi è parso di far parte di una sit-com surreale.

Uno dei concetti che più hanno tenuto banco nel “dibattito” di chi si appresta a dare la scalata al governo regionale (almeno da ciò che si è visto dai pulpiti sulle piazze) è proprio una promessa di una prossima “liberazione”. Da cosa? Resta sottinteso, ma tutti intendono il senso allusivo e ammiccante nella promessa. E mi riecheggia in testa l’invocazione verso l’altissimo con un libera nos a malo… che rende leggeri e dà un senso di protezione al sentire dei credenti di ogni età. Libera nos a malo

E’ urticante sentire ripetutamente arrivare da un pulpito di piazza parole che pongono come posta in gioco ridare al “popolo” una libertà che per distrazione non si sono accorti di aver perduto. Parole forti, dure che s’infilano a stiletto nel profondo dell’essere e che alla fine fanno porre una domanda “ma sarò mica diventata schiava senza accorgermene”? Schiavi senza saperlo. Un’offesa questa sì a chi, costretto in varie forme di schiavitù – interiore, morale, civile, lavorativa, politica, di sopravvivenza – si trova davvero.

Anche vicino a noi, anche se fingiamo di non vedere. Anche se a furia di sollecitazioni può alzarsi con imperio un desiderio di abdicare alla propria libertà di pensiero consegnandolo all’illusione di un momento, non si faccia.

Non si deve mai consegnare a chiunque quel valore innato conquistato col primo respiro sulla terra che spero diventi un diritto al più presto per quel 18enne conosciuto al banchetto solidale e per tutti i coetanei nelle sue condizioni. Di queste libertà – che hanno a che fare con dignità e valore umano… forse troppo per e le piazze arrabbiate -non sento arrivare alcuna eco.

Tutto questo non mi piace perché sento un vago, acre sentore di claustrofobia.

info@antonellalenti.it

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