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Remarque e la terra promessa che non esiste un affresco limpido di sofferenza che si fa disincanto

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PAGINE DOPO PAGINENeri Pozza ripubblica l’ultimo volume dello scrittore tedesco, un affresco limpido di sofferenza e disincanto. La terra promessa di Erich Maria Remarque è un romanzo non concluso. E’ il suo ultimo lavoro ma la morte nel 1970 gli impedì di finirlo. Ora Neri Pozza lo ha ristampato riproponendolo ai lettori come tutte le altre opere dello scrittore tedesco che riparò in Svizzera dopo il suo romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e che poi nel 1939 migrò negli Stati Uniti.

“La terra promessa” parla di ebrei, di patrie, di radici recise e peraltro sempre vive capaci di mantenere bruciante il tormento di chi cerca un luogo ospitale, lo trova ma in breve perde lo smalto e l’interesse che mostrano tutti i luoghi sconosciuti.

Ogni cosa sconosciuta è portatrice di grandi speranze, è capace di sconfiggere l’immaginario segreto popolato di angosce ansie e sofferenze ma è solo una condizione effimera. Infatti ogni cosa sconosciuta, non appena si svela, di nuovo torna ad appesantirsi e a riprodurre gli scheletri del passato. E lo sono anche i luoghi. Lo è anche la New York di Ludwig Sommer il protagonista del romanzo che porta un nome ebreo ma che ebreo non è.

Ludwig non ha scelta, sa di dover recitare quella parte che gli permette di poter restare in America ma sogna Berlino. Al di là dell’Atlantico vive in diretta le vicissitudine della Germania e del nazismo da cui è fuggito come tanti amici che via via poi ritrova nelle strade di NY. Se nutre la speranza di una nuova vita, in un nuovo mondo dove s’infrangano per sempre le ombre e le ossessioni europee ben presto si fa largo il disincanto e la consapevolezza che non ci sarà pace, non si sfugge a quello che sembra essere un destino scritto nella storia vissuta, nel passato che ritorna e bussa anche con gli incubi notturni.

Disincanto che si rinnova di volta in volta ed è  certificato da quel nome sul passaporto che se gli consente di costruirsi un lavoro (l’identità che esibisce in America è quella di un antiquario ebreo che ha voluto donargli il suo nome per salvarlo dalla Germania e dai nazisti) non gli permetterà mai di sentirsi a casa in nessun luogo. A nulla servono per il conforto le notizie che arrivano da oltre Atlantico che parlano delle sconfitte del dittatore e dell’avanzata degli americani, in Italia che liberano Roma e Firenze e poi in Francia che scacciano i nazisti da Parigi. Anche la certezza che Parigi non è stata distrutta dalle bombe naziste come è accaduto a Londra non porta in alto i cuori. “Perchè distruggerla a Parigi c’erano loro…”

L’amaro commento.

E se a New York la vita materiale può prendere una forma (Ludwig ha appreso bene le competenze di antiquario) quella interiore resta frantumata e i frammenti faticano a ricomporsi in quel quadro di persone unite da storie spezzate, da echi di distruzione seppure con diverse sfumature. E quindi New York , capace di dare l’impressione di accogliere, in realtà unisce tante isole che insieme fanno baluardo alle paure, al crollo di una vita vissuta a ritroso senza avere il guizzo del domani. New York, capace di accogliere ma anche di tenere in serbo quello sguardo, quella pressione che in un attimo può far sentire estranei, o meglio stranieri. Con tutti i rischi che ne conseguono.

Tutto è provvisorio, tutto è impalpabile. Tutto si prende e si perde allo stesso tempo. La vita si trascina e si rinnova, ma torna al punto di partenza. Anche l’amore che non trova espressione compiuta come se a persone sospese non possa essere concesso. L’amore resta anch’esso un desiderio condividendo quasi uno stesso piano di precarietà con il visto turistico che ogni due mesi arriva a scadenza per essere rinnovato. Se tutto va bene. Alla fine quello che conta per tutto lo spaccato di umanità che attraversa le 450 pagine del romanzo è semplicemente una sola: essere vivi. Si confortano così gli uni con gli altri i protagonisti.

Che dire alla fine? Pagine che si leggono con il desiderio vorace di macinarle una dopo l’altra… che lascia però spazio al timore di esaurirle troppo in fretta e vedere quindi allontanarsi i cari amici incontrati nella storia raccontata di La terra promessa.

“La terra promessa” di Erich Maria Remarque (ed. Neri Pozza) postsfazione di Maurizio Serra. Pagg 463

info@antonellalenti.it

1 Comment

  1. Luisa Ferri Reply

    Mi incuriosisce molto questa storia soprattutto per l’argomento di cui tratta sempre esperienze dj vita dj soffeenza e di sradicamento della propria identità.

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