LENTI A CONTATTO

La violenza sulle donne sconvolge e dovrebbe interrogare gli uomini

Google+ Pinterest LinkedIn Tumblr

Di che cosa parliamo quando parliamo di violenza sessuale? Di cosa parliamo quando parliamo di sopraffazione dell’uomo sulla donna. Non è retorica. Non è fantasia. E’ una realtà che sconvolge. Sempre.

Di cosa parliamo quando parliamo di rapporti interpersonali che si strappano fino ad arrivare alla morte o alla reiterata violenza sulle donne? Troppo poco spazio viene dato al problema che deve sempre più interessare gli uomini i quali dovrebbero prendere il coraggio a quattro mani. Questo sì sarebbe coraggio più di qualsiasi altra azione “guerriera”. Comunque non si fa.

Gli uomini non si interrogano, delle donne vittime di violenza si parla quando se ne trovano i resti insanguinati, in casa, per strada, in un bosco. Poco importa il luogo.

Della violenza sulle donne si parla per qualche giorno fino allo scemare dei clamori legati a fatti di cronaca. Tutto qui. L’educazione alle relazioni interpersonali dovrebbe essere uno degli impegni collettivi delle persone e delle stesse istituzioni. Senza timore di diventare “etici” o “invasivi” o peggio ancora oppressori delle libertà “individuali” tre delle tante motivazioni che entrano in scena quando non si vuole affrontare da vicino e dal di dentro un problema. Eppure i dati non lasciano dubbi. Novembre è il mese in cui ci si mobilita per sensibilizzare i cervelli e i cuori contro la violenza sulle donne. IL 25 novembre è la giornata contro la violenza sulle donne. Ci si tinge di rosso per denunciare quello che spesso avviene in silenzio in ragione di un amore che non può mai uccidere o fare male. In ragione di una insana concezione di possesso e di proprietà. Ma nulla è impalpabile quanto il pensiero, quanto le emozioni di una persona. E una donna è una persona e non si possiede. Per conoscere il quadro della situazione nella quale ci muoviamo ho pensato che avrebbe potuto essere utile frugare nella rete per focalizzare i dati delle ricerche che sono state compiute sul tema e parte del risultato della navigazione è quello che segue.

Verso il 25 novembre è bene fare due conti e riflettere

Di seguito alcuni elementi tratti dal sito che www.istat.it ha dedicato alla violenza sulle donne. Numeri, fatti, effetti giudiziari ma anche strade da percorrere -lo sapevamo? – per gli uomini che si rendono protagonisti di atti di violenza contro le donne. Percorsi di consapevolezza che sarebbe interessante sapere quanto siano diffusi e quanto partecipati. Intanto ecco il quadro in cui stiamo ragionando.

I dati assunti dall’osservatorio Istat

Le donne vittime di omicidio volontario nell’anno 2017 in Italia sono state 123, lo 0,40 per 100.000 donne. Malgrado le cautele che le comparazioni internazionali richiedono, si può affermare che tale incidenza sia contenuta in rapporto al contesto europeo: tra i 23 Paesi dell’Unione europea per i quali si hanno a disposizione dati recenti (Grafico 1), si osservano valori inferiori solo nel caso di Grecia, Polonia, Paesi Bassi e Slovenia (0,47, 0,36, 0,35, 0,19 omicidi per 100.000 donne, rispettivamente).

Istat.it- Violenza sulla donne

Se si considera la popolazione nel suo complesso si osserva una situazione sostanzialmente simile a quella che emerge riferendosi solo alle donne.

La serie storica degli omicidi per genere mostra come siano soprattutto gli omicidi di uomini a essere diminuiti in circa 25 anni (da 4,0 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,9 nel 2015), mentre le vittime donne di omicidio sono rimaste complessivamente stabili (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine).

Il diverso andamento degli omicidi di uomini e donne ha dunque radicalmente modificato il rapporto tra i sessi. Per i maschi, sebbene l’incidenza degli omicidi si mantenga tuttora sempre nettamente maggiore rispetto alle femmine, i progressi sono stati molto visibili. Per le donne, che partivano da una situazione molto più favorevole, la diminuzione nel tempo ha invece seguito ritmi molto più lenti, fino ad arrestarsi. Il calo differenziale nel periodo tra i due sessi è stato favorito anche dalla contrazione degli omicidi legati alla criminalità organizzata, che coinvolgono – esclusivamente o quasi – gli uomini.

Da chi sono uccise le donne

Una chiave di lettura in termini di violenza di genere è fornita dall’esame della relazione tra gli attori dell’omicidio.

Delle 123 donne uccise nel 2017, l’80,5% è stata uccisa da una persona conosciuta. In particolare, nel 43,9% dei casi dal partner attuale o dal precedente (dal partner attuale 35,8%, corrispondente a 44 donne, dal partner precedente 8,1%, pari a 10 donne), nel 28,5% dei casi (35 donne) da un familiare (inclusi i figli e i genitori) e nell’8,1% dei casi da un’altra persona che conosceva (amici, colleghi, etc.) (10 donne).

Gli stereotipi

La violenza contro le donne è un fenomeno complesso e per comprenderlo e contrastarlo in modo efficace va considerato il contesto delle norme sociali e culturali in cui si sviluppa.

Alcuni modelli culturali influenzano le opinioni che le persone hanno nei confronti della violenza contro le donne e in particolare quelle relative ai ruoli di genere e ad alcuni stereotipi rispetto alle relazioni familiari.

Dall’indagine Istat Stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere (2011) appaiono superati in Italia alcuni stereotipi sui tradizionali ruoli di genere. Il 77,5% della popolazione non è d’accordo nel ritenere che l’uomo debba prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia. Ma allo stesso tempo ne permangono fortemente altri,  come quello inerente la distribuzione dei compiti domestici: la metà della popolazione (49,7%) è d’accordo nel ritenere che “gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche”.

Gli stereotipi sui ruoli di genere sono meno diffusi tra i giovani, tra le persone con titolo di studio più elevato e tra i residenti nelle regioni del Centro-Nord. Ad esempio, l’affermazione “è soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia” trova d’accordo il 43,3% degli under 34 contro il 66,9% dei più anziani.

Nel 2013-2014, l’indagine Uso del tempo dedica una sezione alle opinioni circa il ruolo della donna.

La maggior parte degli intervistati è dell’idea che se entrambi i coniugi/partner lavorano a tempo pieno, l’uomo deve svolgere la stessa quantità di lavori domestici della donna (lavare, stirare, riordinare, cucinare, ecc.). Il 68,2% dichiara, infatti, di essere molto o abbastanza d’accordo con una suddivisione paritaria. Tra le donne, tale quota raggiunge il 74,5%. Il 40% degli uomini residenti nel Mezzogiorno e il 36,6% di uomini con titolo di studio conseguito fino alla licenza media sono poco o per niente d’accordo con l’idea di una divisione equa dei lavori domestici. Tra le donne, sono in disaccordo quasi un terzo delle residenti nel Mezzogiorno (32,3%) e coloro che hanno conseguito al massimo la licenza media in misura leggermente inferiore (30,4%).

Analizzando i dati relativi alle coppie con entrambi i partner occupati tra 25 e 44 anni si sono dichiarati molto o abbastanza d’accordo il 74,8% degli uomini e l’80,6% delle donne, con differenze territoriali anche qui molto accentuate. Sull’affermazione “È meglio per la famiglia che l’uomo si dedichi prevalentemente alle necessità economiche e la donna alla cura della casa” sono soprattutto gli uomini ad essere molto o abbastanza d’accordo (il 41,7% contro il 29,9% delle donne nelle coppie considerate).

Lo stereotipo dell’uomo che deve sostenere economicamente la famiglia, resiste soprattutto tra chi ha un basso titolo di studio.

Infatti lo scarto tra i laureati sia maschi sia femmine è di oltre 10 punti percentuali (sono molto abbastanza d’accordo il 37,4% degli uomini laureati contro il 53% di quelli con Licenza media o titolo inferiore e a loro volta sono molto abbastanza d’accordo il 21,6% delle laureate contro il 39% di quelle in possesso della licenza media o inferiore). Anche a livello territoriale questo stereotipo resiste di più nel Centro e nel Mezzogiorno che non nel Nord del Paese.

L’Istat sta conducendo la rilevazione sugli stereotipi di genere e sull’immagine sociale della violenza contro le donne sulla popolazione tra i 18 e i 74 anni. I dati raccolti saranno diffusi nel primo semestre 2019.
Sullo stesso tema è in corso la progettazione dell’indagine da sottoporre agli studenti delle scuole superiori di primo e secondo grado che verrà effettuata tra i mesi di marzo e giugno.

L’uso di armi durante l’episodio di violenza ha riguardato il 4,5% delle violenze da partner (il 7% circa in caso di violenza sessuale) e il 3,5% di quelle commesse da parte di altri uomini. Per queste ultime al contrario è più elevata la presenza di armi nelle circostanze della violenza fisica (7,4%).

In circa la metà dei casi delle violenze da non partner era presente qualcun altro, quota che è più elevata nel caso delle molestie. Tuttavia nel 37,2% dei casi  nessuno è intervenuto (41,2% in caso di stupro o tentato stupro), nel 33,2% nessuno se ne è accorto e nel 25,5% i presenti sono intervenuti inducendo un miglioramento della situazione.

L’uscita dalla violenza è un percorso difficile e lungo, che la donna intraprende tra mille difficoltà. Per questo è importante che la presa in carico sia basata su un approccio integrato e focalizzato sulla persona, in un contesto di sistemi di governance territoriale che coinvolga e attivi le reti locali.

Se il numero verde 1522 rappresenta la prima possibilità di aiuto per la donna, dove trovare una prima concreta risposta, strumenti e luoghi essenziali per l’uscita dalla violenza sono rappresentati dai centri antiviolenza e dalle case rifugio che aiutano la donna nelle situazioni di emergenza.

L’accoglienza della donna è mirata  e la vittima viene presa in carico secondo una metodologia di accoglienza consolidata che risponde ai bisogni della singola donna.

Al fianco dei servizi specializzati esistono però i servizi generali per le vittime di violenza, come i consultori, i pronto soccorso e i servizi sociali e sanitari, ma anche i luoghi preposti ad accogliere le denunce delle donne come ad esempio le stazioni dei carabinieri e i commissariati di polizia.

Oltre alla presa in carico delle donne è però importante lavorare anche sugli uomini maltrattanti, come citato dalla Convenzione di Istanbul, dunque elaborare programmi di prevenzione, recupero e trattamento. Anche in questo caso si tratta di programmi specifici sulla persona.

I centri antiviolenza

I Centri antiviolenza e le Case rifugio costituiscono il fulcro della rete territoriale della presa in carico delle donne vittime di violenza. Si tratta di servizi specializzati che lavorano sulla base di una metodologia dell’accoglienza basata su un approccio di genere e sui principi della Convenzione di Istanbul.

Al fine di garantirne il costante e regolare funzionamento, questi servizi sono destinatari di specifici finanziamenti in forma continuata ai sensi dell’art. 5 bis del d.l. 93/2013 (Artt. 22 e 23 CdI). Alla definizione dei requisiti per tali finanziamenti ha concorso quanto stabilito dall’Intesa del 27 novembre 2014. In futuro è prevista una ridefinizione dei requisiti, che verrà effettuata in seguito all’esito della nuova mappatura che concerne sia i paramenti quantitativi che qualitativi dei servizi stessi.

Ecco i riferimenti di Istat per conoscere i centri

L’Istat insieme alle regioni e all’associazionismo ha intrapreso le seguenti attività: 1) ha condotto un’indagine sui centri antiviolenza; 2) sta conducendo un’indagine sulle case rifugio; 3) sta progettando un’indagine sulle caratteristiche dell’utenza accolte da questi servizi.

Ha inoltre svolto per la prima volta l’indagine sui servizi offerti dai centri antiviolenza alle donne vittime, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) presso la Presidenza del Consiglio, le Regioni e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR – IRRPS). L’indagine è stata effettuata nei mesi di giugno – luglio 2018 e sono stati contattati 281 centri antiviolenza rispondenti ai requisiti dell’Intesa del 2014 ed attivi al 31/12/2017. Tra questi 253 hanno completato il questionario, di cui si rilasciano i primi risultati provvisori.

Le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Sono 115,5 le donne prese in carico in media dai centri a livello nazionale, il valore massimo si riscontra nel Nord-est con 170,9 donne in media ed è minimo al Sud con 47,5 donne. Il 26,9% delle donne è straniero e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi.

Sono circa 4.400 le operatrici che nel 2017 hanno lavorato presso i centri antiviolenza, di queste il 56,1% è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. Le figure professionali che sono maggiormente presenti nei centri, coerentemente con i servizi prestati, sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza.

All’offerta dei centri antiviolenza rilevati dall’indagine Istat va aggiunta l’offerta di 89 servizi/centri antiviolenza che non rispettano i criteri dell’Intesa ma presenti nell’archivio del servizio di pubblica utilità 1522 e che sono stati invece contattati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR – IRRPS).

Le donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza presso questi servizi/centri sono 3.755 nel complesso; di queste, le straniere sono 958 (pari al 25,5% del totale) e le madri con figli minori 2.224 (pari al 59%).

Le operatrici e gli operatori impegnati in questi servizi/centri antiviolenza ammontano a 1.024 unità; la maggior parte è costituita da volontarie/i (68%).

Indagine tra il 2018-2019

L’Istat ha svolto per la prima volta l’indagine sui servizi offerti dalle case rifugio alle donne vittime di violenza, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità (Dpo) presso la Presidenza del Consiglio, le regioni e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr – Irrps). L’indagine è stata effettuata nei mesi di novembre 2018 – marzo 2019 e sono state contattate 232 case rifugio che rispondono ai requisiti dell’Intesa del 2014. Tra queste, 211 sono quelle che hanno completato il questionario e delle quali si rilasciano i primi dati.

Sono 1.786 le donne che hanno trovato ospitalità in casa rifugio nel corso del 2017, l’86,7% delle donne ospitate proviene dalla regione dove è situata la casa rifugio. Per oltre un terzo (34,0%) delle donne i servizi sociali territoriali costituiscono il canale di segnalazione verso la casa rifugio, il 24,2% accede attraverso i centri antiviolenza.

Tra i servizi offerti ve ne sono alcuni che vengono erogati prevalentemente in forma diretta dalle case rifugio, oltre alla protezione ed ospitalità in urgenza: servizi educativi e di sostegno scolastico ai minori, orientamento all’autonomia abitativa e sostegno alla genitorialità. Altri servizi vengono invece erogati in collaborazione con i centri antiviolenza e con altri servizi del territorio.

Il lavoro delle case rifugio si basa, principalmente, sull’apporto di personale retribuito (65% del totale del personale). Le figure professionali maggiormente presenti, oltre alle coordinatrici/responsabili e al personale amministrativo, sono le operatrici di accoglienza, le educatrici e le psicologhe.

Iniziative per gli uomini violenti

Nel Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 è prevista l’attivazione di percorsi di rieducazione degli uomini autori di violenza contro le donne. Infatti, il Dipartimento per le Pari Opportunità, come raccomandato nell’art. 16 della Convenzione di Istanbul, riserverà specifiche risorse per il sostegno di programmi di prevenzione, recupero e trattamento per uomini maltrattanti per prevenire la recidiva e per favorire l’adozione di comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali. Sarà resa disponibile anche la mappatura dei centri per uomini maltrattanti.

In questo ambito di impegno, altresì, il Ministero della Giustizia porrà attenzione alla formazione sui diversi modelli di trattamento intramurale, sui protocolli e le buone pratiche per ridurre la recidiva anche attraverso il coinvolgimento dei soggetti esterni all’Amministrazione e il consolidamento e lo sviluppo di collegamenti e sinergie col territorio.

L’IRPPS- CNR ha svolto per la prima volta in accordo con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) una rilevazione sui centri e servizi contro la violenza che è stata estesa ai programmi per uomini maltrattanti operanti sul territorio italiano.

L’indagine è stata effettuata nei mesi di settembre – novembre 2018. In totale, sono stati contattati 59 programmi, di cui 52 hanno completato la compilazione del questionario e 7 si sono limitati ad una compilazione parziale. I programmi contattati includono quelli attivi all’interno degli istituti penitenziari. Secondo quanto affermato dai responsabili dei 52 programmi che hanno fornito il dato richiesto, gli uomini che hanno iniziato il loro percorso nel corso del 2017 sono in totale 726.

I servizi previsti dai programmi sono l’orientamento ai servizi presenti sul territorio (41), la consulenza di tipo psicologico (39) e l’ascolto telefonico (38). Emergono inoltre la psicoterapia individuale e di gruppo e il sostegno alla responsabilità genitoriale (rispettivamente 30 e 29 programmi di trattamento affermano di erogare questi servizi gratuitamente). La consulenza legale sia in ambito civile sia penale viene erogata in 6 centri, mentre altri 3 centri prevedono gratuitamente un accompagnamento all’inserimento lavorativo, la mediazione linguistico-culturale e i percorsi di recupero da dipendenze patologiche.

Per saperne di più
CNR – IRRPS | Indagine sui centri, servizi antiviolenza e programmi per uomini maltrattanti, 2017 

Andando a ritroso: la ricerca condotta nel 2014

La violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso. 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri.

Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze.

I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi. Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Gli autori di molestie sessuali sono invece degli sconosciuti nella maggior parte dei casi (76,8%).

Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Considerando il totale delle violenze subìte da donne con figli, aumenta la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del dato del 2006 al 65,2% rilevato nel 2014)

Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%). Critica anche la situazione delle donne con problemi di salute o disabilità: ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10% contro il 4,7% delle donne senza problemi).

Emergono importanti segnali di miglioramento rispetto all’indagine precedente: negli ultimi 5 anni le violenze fisiche o sessuali sono passate dal 13,3% all’11,3%, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo, ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza.

È in calo sia la violenza fisica sia la sessuale, dai partner e ex partner (dal 5,1% al 4% la fisica, dal 2,8% al 2% la sessuale) come dai non partner (dal 9% al 7,7%). Il calo è particolarmente accentuato per le studentesse, che passano dal 17,1% all’11,9% nel caso di ex partner, dal 5,3% al 2,4% da partner attuale e dal 26,5% al 22% da non partner.

In forte calo anche la violenza psicologica dal partner attuale (dal 42,3% al 26,4%), soprattutto se non affiancata da violenza fisica e sessuale.

Alla maggiore capacità delle donne di uscire dalle relazioni violente o di prevenirle si affianca anche una maggiore consapevolezza. Più spesso considerano la violenza subìta un reato (dal 14,3% al 29,6% per la violenza da partner) e la denunciano di più alle forze dell’ordine (dal 6,7% all’11,8%). Più spesso ne parlano con qualcuno (dal 67,8% al 75,9%) e cercano aiuto presso i servizi specializzati, centri antiviolenza, sportelli (dal 2,4% al 4,9%). La stessa situazione si riscontra per le violenze da parte dei non partner.

Rispetto al 2006, le vittime sono più soddisfatte del lavoro delle forze dell’ordine. Per le violenze da partner o ex, le donne molto soddisfatte passano dal 9,9% al 28,5%.

Si segnalano però anche elementi negativi. Non si intacca lo zoccolo duro della violenza, gli stupri e i tentati stupri (1,2% sia per il 2006 sia per il 2014). Le violenze sono più gravi: aumentano quelle che hanno causato ferite (dal 26,3% al 40,2% da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8% del 2006 al 34,5% del 2014). Anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi.

3 milioni 466 mila donne hanno subìto stalking nel corso della vita, il 16,1% delle donne. Di queste, 1 milione 524 mila l’ha subìto dall’ex partner, 2 milioni 229 mila da persone diverse dall’ex partner.

Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito nel corso della vita violenza fisica o sessuale da un uomo per tipo di autore, tipo di violenza subita e cittadinanza. Anno 2014
(per 100 donne con le stesse caratteristiche)

Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in maggiore misura rispetto alle altre (51,4% contro il 31,5% della media italiana). Incidenze maggiori si riscontrano anche per le donne che hanno tra i 25 e i 44 anni, tra le più istruite (con laurea o diploma), tra quelle che lavorano in posizioni professionali più elevate o che sono in cerca di occupazione.

Più frequenti gli stupri e i tentati stupri da non partner anche tra le donne in cerca di nuova occupazione, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste. Il titolo di studio discrimina soprattutto le vittime di uomini diversi dal partner (caratterizzate da titoli di studio più alti), mentre la violenza nelle coppie appare decisamente più trasversale. Va comunque considerato che alcune di queste differenze possono essere dovute a una maggiore disponibilità a parlarne.

Analizzando i tassi della violenza fisica o sessuale subita negli ultimi 5 anni, sono le donne più giovani (fino a 34 anni), con tassi doppi rispetto alla media nazionale, le nubili, le separate o divorziate e le studentesse le donne più a rischio.

La dinamica della violenza

Violenze da partner e violenze da non partner presentano dinamiche diverse. Per le violenze da non partner è interessante osservare i luoghi dove sono avvenute, il periodo, la reazione della donna, l’intervento di altre persone, mentre per le violenze da partner è importante porre l’attenzione agli eventi scatenanti.

In realtà si osserva come nella maggior parte dei casi non esistano delle vere cause contingenti, proprio a ribadire l’importanza delle basi culturali della violenza di genere. Infatti, per un congruo 28,1% dei casi la donna ha dichiarato che la lite è stata originata da futili motivi o addirittura da nulla di particolare (9,3%). Un fattore emergente è invece la gelosia del partner (27,9%) e la separazione (10,5%).

Se la maggior parte delle violenze da partner si verificano in casa, quelle da non partner avvengono, oltre che in casa, anche in strada, nei luoghi pubblici e sul lavoro.

L’autore della violenza era sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti nel 23,1% dei casi delle violenze da partner e nel 17,1% dei casi in cui si tratti di violenza da non partner. La quota delle non risposte è però elevata in questo secondo caso (13,5%).

Le violenze contro le donne sono gravi, con conseguenze che impattano sulla qualità della vita nel breve, medio e lungo periodo. Ferite, cure farmacologiche, problemi di salute psicologica, non riuscire a svolgere i compiti del quotidiano ne sono solo alcuni esempi.

I dati mostrano che più di una donna su tre vittima della violenza del partner ha riportato ferite, lividi, contusioni o altre lesioni (37,6%). Nella maggior parte dei casi si tratta di lividi, ma circa il 20% è stata ricoverata in ospedale a seguito delle ferite riportate, e più di un quinto di coloro che sono state ricoverate ha avuto danni permanenti.

Tra le donne straniere vittime di violenza da parte del partner, la quota di coloro che riportano ferite raggiunge il 44,5%.

La violenza nella coppia non si ferma neanche durante la gravidanza (11,8%). Per le donne che l’hanno subita in gravidanza in poco meno di 1 caso su 4 (23,9%) le violenze sono diminuite, mentre per l’11,3% delle donne sono addirittura aumentate e per il 5,7% iniziate.

A seguito delle ripetute violenze dai partner (attuali o precedenti), più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia ed autostima (52,7%). Tra le conseguenze sono molto frequenti anche ansia, fobia e attacchi di panico (46,8%), disperazione e sensazione di impotenza (46,4%), disturbi del sonno e dell’alimentazione (46,3%), depressione (40,3%), nonché difficoltà a concentrarsi e perdita della memoria (24,9%), dolori ricorrenti nel corpo (21,8%), difficoltà nel gestire i figli (14,8%) e infine autolesionismo o idee di suicidio (12,1%).

Per la violenza subita da parte di autori non partner, invece, sono state considerate altre categorie. Molte sono le donne che dichiarano di avere superato l’episodio, il 49,2%, percentuale in aumento tra le donne che hanno subito molestie 57,8%, mentre è pari al 34,1% nel caso la donna racconti una violenza sessuale più grave. Molte riscontrano una maggiore difficoltà relazionale, la paura dei luoghi isolati e del buio, la perdita di fiducia negli uomini, nonché depressione, ansia o shock. Da notare invece un residuale 4,2% dichiara di sentirsi più forte.

Circa il 5% delle donne si è dovuta assentare dal lavoro e una quota simile non è riuscita a svolgere i compiti quotidiani di cura. Molte donne inoltre hanno avuto paura per la propria vita (nel 36,1% dei casi, con una distanza tra italiane e straniere di circa 10 punti percentuali a sfavore delle seconde) e per quella dei figli. Per le violenze da non partner la percentuale è pari al 22,2%.

La violenza di genere è un fenomeno ancora sommerso, è elevata, infatti, la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita (il 28,1% nel caso di violenze da partner, il 25,5% per quelle da non partner), di chi non denuncia (i tassi di denuncia riguardano il 12,2% delle violenza da partner e il 6% di quelle da non partner), di chi non cerca aiuto; ancora poche sono, infatti, le donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza o in generale un servizio specializzato (rispettivamente il 3,7% nel caso di violenza nella coppia e l’1% per quelle al di fuori). Ma la cosa più preoccupante è che queste azioni sarebbero davvero essenziali per aiutare la donna ad uscire dalla violenza.

Per questo motivo le politiche di sensibilizzazione sono essenziali per trasmettere il messaggio che parlare della violenza subita ed entrare in contatto con le istituzioni e i servizi dedicati costituiscono una preziosa fonte di aiuto. Tant’è vero che le donne che provano ad uscire dalla violenza e lasciano il partner violento, spesso tornano con lui proprio perché non hanno cercato aiuto in risorse esterne all’ambiente familiare.

Inoltre dai dati emerge che le vittime spesso non sanno dove cercare aiuto, basti pensare che il 12,8% di queste non sapeva dell’esistenza dei centri antiviolenza o dei servizi o sportelli di supporto per le vittime, percentuale che è pari al 10,3% per le donne che hanno subito violenza fuori dalla coppia.

Molte donne non considerano la violenza subita un reato, solo il 35,4% delle donne che hanno subìto violenza fisica o sessuale dal partner ritiene di essere stata vittima di un reato, il 44% sostiene che si è trattato di qualcosa di sbagliato ma non di un reato, mentre il 19,4% considera la violenza solo qualcosa che è accaduto. Similmente sono giudicate un reato il 33,3% delle violenze commesse da altri uomini, qualcosa di sbagliato il 47,9% e solo qualcosa che è accaduto il 17,3%. È importante quindi in tal senso far crescere la consapevolezza femminile rispetto a quanto subito.

Un caso particolare è rappresentato dalle donne straniere che sono caratterizzate da un comportamento di richiesta di aiuto maggiore (hanno denunciato le violenze dai partner nel 17,1% dei casi e si rivolgono con più frequenza a centri specializzati, 6,4%), sebbene la consapevolezza della violenza in quanto reato sia la stessa delle italiane (35%). Una chiave interpretativa riguarda la differenza delle reti informali a disposizione delle straniere, che essendo più sole, si trovano a cercare maggiormente supporto presso le istituzioni e i servizi.

Tutti questi comportamenti sono inoltre diversificati a seconda del tipo di violenza subita, più la violenza è grave più essa è considerata un reato e più viene denunciata, fatta eccezione per le violenze sessuali commesse da autori non partner che sono denunciate in misura minore, e dal tipo di autore che l’ha agita. Ad esempio il comportamento di denuncia delle italiane cambia notevolmente se l’autore della violenza è straniero (il 15% degli stupri subiti dalle donne italiane al di fuori della coppia sono commessi da stranieri), basti pensare che la quota di vittime di stupro da un autore straniero che dichiara di aver denunciato è oltre 6 volte più alta rispetto al caso in cui l’autore è italiano. Per il tentato stupro la differenza è ancora più marcata: la quota di donne che denunciano nel caso di un autore straniero è 10 volte più alta rispetto al caso in cui l’autore sia un italiano.

Le donne non denunciano perché hanno imparato a gestire la situazione da sole (39,6% per le violenze da partner e 39,5% da non partner) o perché il fatto non era grave (rispettivamente 31,6% e 42,4%), ma anche per paura (10,1% e 5,0%), per il timore di non essere credute, la vergogna e l’imbarazzo (7,1% e 7,0%), per sfiducia nelle forze dell’ordine (5,9 e 8,0%) e nel caso della violenza nella coppia perché amavano il partner e non volevano che venisse arrestato (13,8%).

Nel caso in cui invece la donna abbia denunciato, alla denuncia hanno fatto seguito imputazioni nel 29,7% dei casi delle violenze perpetrate da autori diversi dai partner e sono state adottate misure cautelari nel 19,8% dei casi, che sono state poi violate per il 31,5% delle volte.

Al contrario, per le violenze da partner, il dato delle imputazioni è notevolmente più basso (2,3%), mentre sono maggiori le percentuali inerenti alle misure cautelari adottate (34,5%), che sono state violate anche in misura minore (9,1%).

I fattori di rischio

L’indagine non rileva specificatamente i fattori di rischio della violenza, che sono un tema molto complesso, tuttavia attraverso alcuni quesiti permette di evidenziare uno dei più pericolosi meccanismi che la causano.  Si tratta della trasmissione intergenerazionale della violenza, che può essere attivata sia perché si è assistito alla violenza tra i genitori, sia perché la si è vissuta direttamente.

I figli che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre o che l’hanno subita hanno una probabilità maggiore, infatti, di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime. Dai dati emerge chiaramente che i maschi imparano ad agire la violenza, le femmine a tollerarla. Per questo sono essenziali politiche di prevenzione e di sensibilizzazione che facciano comprendere la negatività dei comportamenti di indifferenza e di accettazione rispetto alla violenza nelle famiglie.

I dati dell’indagine condotta nel 2014 rilevano che i partner delle donne che hanno assistito ai maltrattamenti del proprio padre sulla propria madre sono a loro volta autori di violenza nel 21,9% dei casi (il tasso medio è pari al 5,2%), così come più spesso sono violenti se hanno subìto violenza fisica dai genitori, in particolare dalla madre (la violenza da partner attuale aumenta dal 5,2 al 35,7% se picchiato dalla madre, al 30,5% se dal padre).

Dati simili si osservano quando il contesto violento caratterizza la storia delle donne. Tra le donne che hanno subito violenze sessuali prima dei 16 anni, l’incidenza di violenza fisica o sessuale da adulte raggiunge il 58,4% (contro il 31,5% valore medio), il 64,2% tra le donne che sono state picchiate da bambine dal padre e il 64,8% nel caso abbiano subito violenze fisiche dalla madre.

Le  violenze sessuali subite prima dei 16 anni sono pari al 10,6% del totale (considerate sia le forme più lievi sia le più gravi, sia quelle accadute in ambiente familiare che al di fuori della famiglia). Le donne che hanno subito violenza fisica da parte del padre sono il  4,7% di chi ha subito violenza prima dei 16 anni,  mentre  quelle che hanno subito violenza agita dalle madri costituiscono il 3,3%.

Il numero delle violenze domestiche cui i figli sono stati esposti è salito al 64,8% rispetto al 60,3% del 2006. In particolare, hanno assistito alla violenza raramente nel 16,3% dei casi, a volte nel 26%, spesso nel 22,5% (nel 2006 erano rispettivamente 16,3%, 20,5% e 21,4%). Nel 23,7% dei casi, inoltre, i figli sono stati anche coinvolti nella violenza, (15,9% nel 2006), in particolare l’11% ne è stato vittima raramente (6,7% nel 2006), l’8,1% qualche volta (4,6% nel 2006) e il 4,6% spesso (4,2% nel 2006).

Tra i fattori scatenanti la violenza nella coppia si trovano anche alcuni comportamenti del partner. L’indicatore della violenza dal partner attuale è pari al 5,2% e raggiunge il 41,1% se quest’ultimo ha un atteggiamento di svalorizzazione verso la propria compagna, il 18% se si ubriaca, e in particolare se beve al punto di ubriacarsi qualche volta a settimana (41,6%) o tutti i giorni (89%), o se è violento fisicamente (36,9%) o verbalmente (24%) anche fuori dalla famiglia e se a seguito di questi comportamenti ha avuto problemi con la polizia (50,8%).

Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza… al femminile

L’Indagine sulla sicurezza dei cittadini 2016 ha permesso di stimare il numero delle donne che, nel corso della loro vita e nei tre anni precedenti all’indagine, sono state vittime di un’altra forma specifica della violenza di genere: le molestie e i ricatti sessuali in ambito lavorativo. Vengono comprese le molestie sessuali con contatto fisico – colleghi, superiori o altre persone che sul posto di lavoro hanno tentato di toccarle, accarezzarle, baciarle contro la loro volontà – fino al tentativo di utilizzare il corpo della donna come merce di scambio, con la richiesta di prestazioni o rapporti sessuali o di una disponibilità sessuale in cambio della concessione di un  posto di lavoro o di un avanzamento.

Le donne che hanno subito molestie o ricatti sessuali sul lavoro

Sono 1 milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.  Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).

La percentuale di coloro che hanno subito molestie o ricatti sessuali sul lavoro negli ultimi tre anni è maggiore della media del 2,7% tra le donne da 25 a 34 anni (3,1%) e fra le 35-44enni (3,3%)

I ricatti sessuali sul lavoro

Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul lavoro, sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera. Negli ultimi tre anni, invece, il dato risulta in lieve diminuzione: sono infatti 167 mila, pari all’1,1%, le donne che li hanno subiti.

Il fenomeno dei ricatti sessuali appare più frequente al centro Italia, nei grandi comuni delle aree metropolitane e in quelli con più di 50 mila abitanti.

Il 32,4% dei ricatti sessuali  viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana, mentre il 17,4% si verifica all’incirca una volta a settimana, il 29,4%  qualche volta al mese e il 19,2% ancora più raramente. Negli ultimi tre anni, la quota di donne che ha subito ricatti tutti i giorni o una volta a settimana è ancora  maggiore (rispettivamente, il 24,8% e il 33,6%).

Ricatti vissuti in silenzio

Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nel 80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro, un dato in linea con quello rilevato nel 2008-2009 quando questa percentuale era dell’81,7%.

Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle Forze dell’Ordine: appena lo 0,7% delle vittime di ricatti nel corso della vita (l’1,2% negli ultimi tre anni). Un dato che si riduce ulteriormente se si considera chi ha poi effettivamente firmato un verbale di denuncia, il 77,1% di chi ha dichiarato di essersi rivolto alle Forze di polizia.

Le motivazioni più frequenti per non denunciare il ricatto subito nel corso della vita sono la scarsa gravità dell’episodio (27,4%) e la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine o la loro impossibilità di agire (23,4%.

La gravità e le conseguenze

Il ricatto è stato grave per la maggior parte delle vittime: lo ritiene molto o abbastanza grave il 69,6% delle vittime e il 72,8% delle donne che li hanno subiti negli ultimi tre anni.

Il 24,2% delle donne che hanno subito ricatti nel corso della vita (il 36,9% negli ultimi tre anni) ha preferito non rispondere alla domanda su quale sia stato l’esito del fatto. Tra coloro che hanno subito i ricatti nel corso della vita e hanno risposto al quesito, il 33,8% delle donne ha cambiato volontariamente lavoro o ha rinunciato alla carriera (Grafico 2), il 10,9% è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta.

fonte www.istat.it-violenza sulle donne

Photo by Sydney Sims on Unsplash

Lascia un commento