LENTI A CONTATTO

I ruderi delle case crollate sono ancora lo skyline di Amatrice

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QUADRANTE SULLA REALTA’: IL TERREMOTO IN CENTRO ITALIA-

*Tre anni fa nella notte del 24 agosto una scossa di terremoto terribile ha raso al suolo alcuni paesi del Centro Italia tra cui Amatrice in Alto Lazio. Fu l’inizio di un incubo sia perché la terra ha continuato a tremare per i mesi successivi. Le scosse hanno allargato il loro raggio creando un cratere enorme. Situazione terribile quelle delle popolazioni terremotate che oltre alla ferita delle macerie hanno ormai metabolizzato l’angoscia di essere rimasti soli, senza sostegno, abbandonati in un bellissimo scorcio d’Italia di cui nessuno pare curarsi. Abitazioni, attività commerciali e produttive a terra. In quei luoghi comincia a sciogliersi come neve al sole anche la forza di volontà che nei primi tempi ha caratterizzato le popolazioni. Ma ora?

_______________________________________________________________*Gli articoli dedicati ad Amatrice sono stati pubblicati da Libertà, il quotidiano di Piacenza. Nello scorso marzo sono stata inviata in questa zona in occasione di un’iniziativa benefica organizzata da una famiglia di allevatori piacentini che ha promosso la donazione di bovini giovani a favore dei loro colleghi di Amatrice le cui stalle erano state decimate dal terremoto e dal freddo del gennaio 2017. A marzo è avvenuta la consegna dei bovini a cui hanno aderito tanti allevatori piacentini ed è avvenuto l’incontro con quei lavoratori alle prese con mille difficoltà dovute al terremoto di tre anni fa. Ecco il mini reportage dal cuore dell’Appennino del Centro Italia. E‘ stata un’esperienza profonda.

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I primi segni di distruzione li incontriamo nel territorio di Arquata del Tronto. Case lesionate, visibilmente abbandonate da anni. Lo svelano senza equivoci le sterpaglie secche accumulate intorno. Sopra di noi, a destra della Salaria percorsa a singhiozzo per i tanti sensi unici forzati a causa di lavori, ci sono altri segni di distruzione. Li si vedono ad occhio nudo alzando lo sguardo su piccoli gruppi di case che incombono a strapiombo sul versante del monte; alcune abitazioni sono “tenute su” da gabbioni formati da travi legate da enormi lacci di ferro. Case steccate che si incontrano un po’ ovunque dove la furia della terra non le ha spazzate via. Le lesioni sono il problema minore. Ci si addentra in Alto Lazio e man mano che si macinano chilometri si rendono sempre più visibili i segni della distruzione.

Ma è il nucleo storico di Amatrice che lascia senza fiato.

Dall’Abruzzo questa zona è separata dalle catene montuose però c’è un filo sotterraneo che unisce i territori devastati dalla furia del terremoto. Solo pochi giorni fa si è ricordato il decennale del sisma che ha abbattuto L’Aquila e per Amatrice si è entrati nel terzo anno dalle scosse che uccisero 330 persone. Là anche Piacenza ha lasciato una vittima: Maria Elisa Conti, 86 anni morta sotto le macerie della sua casa di vacanza nella notte del 24 agosto 2016.

Su questa parte dell’Appennino centrale ora le persone vivono come se fossero gli ultimi dei Mohicani. Resistono in mezzo alle montagne, lavorano la terra, allevano gli animali sfidando il freddo dell’inverno, invasi da una grande preoccupazione: dover prendere atto che non ce la si fa più ed essere costretti a gettare la spugna. Sono arrabbiati. Sono preoccupati. Ma poi c’è anche voglia di andare avanti, di farcela, di resistere.

Il sindaco facente funzioni, dopo che Sergio Pirozzi è passato in consiglio regionale, è Filippo Palombini. Sindaco che succede?

A giudicare dalle macerie il terremoto sembra avvenuto l’altro ieri e invece sono passati tre anni. Di cose ne sono state fatte tante – spiega il sindaco – ma non quelle necessarie. Il cratere del terremoto è molto vasto e si è deciso che la gestione andasse gestita da Roma. E’ questo il primo terremoto che non ha messo la responsabilità in capo ai sindaci.

Incertezza nei suoi cittadini, Amatrice rinascerà, si chiedono? Quello spazio coperto ancora di macerie non lascia ben sperare…

Amatrice si rifarà tutta. La partenza è stata lenta – risponde – si deve accelerare gli interventi dove ci sono infrastrutture danneggiate se un comune ha strade danneggiate deve poter procedere.

Il sindaco di Amatrice, lo sostiene da tempo e ancora torna a incitare i suoi colleghi a scendere a Roma numerosi per chiedere interventi concreti e risolutivi. La decisione avverrà a breve, si dice convinto. Si sta parlando di organizzare per l’8 maggio una protesta a Roma. Una manifestazione con tutti i sindaci del cratere – dice – circa una settantina (rappresentiamo 130mila persone). La protesta – tiene a sottolineare – è contro un decreto insufficiente: contiene quattro punti e noi ne avremmo bisogno di 800 almeno per coprire tutte le esigenze. Intanto tra i cittadini cresce il disagio e qualcuno critica l’assenza di iniziative di protesta dal basso.

“Dovremo mostrare la protesta con più decisione” dice un anziano e la discussione subito si anima. “Un po’ di colpa se le cose non vanno è anche nostra, dovremmo protestare un po’ di più, farci sentire”. Dice un altro. E poi il tema dei finanziamenti di cui non si vedono gli effetti: “Mi piacerebbe sapere – segnala un signore agguerrito – dove sono finiti i soldi che sono arrivati”.

Ma c’è un progetto di rinascita del cuore storico di Amatrice? Chiediamo “Chissà – replicano sconsolati – intanto le macerie, fatte di materiali  presi dai fiumi del nostro territorio sa dove sono finite? A Roma, per realizzare lo stadio Olimpico. Perché non sono state riutilizzate per riparare le nostre strade? Il trasporto a Roma ha comportato un costo elevato, senza dubbio. Il sistema non funziona. Sa che le dico? Ci hanno sfruttato persino con i sassi, ecco la realtà delle cose”.

La discussione si allarga e al dialogo, che si fa acceso, si aggiungono altre persone “Siamo stati eroi a restare qui, mi creda. Soprattutto nei primi 5-6 mesi con le scosse e la neve. “Non ci sono più neppure gli stranieri, infatti i romeni che lavoravano qui se ne sono andati subito. Manca la speranza che questa zona possa ripartire. Noi non si produce PIL. In tutto il cratere c’è una situazione che non va e poi nessuno sta facendo niente per Amatrice”. Le casette o SAE sono l’altro nodo.

“Impossibili, è il commento di tutti”. L’elenco degli inconvenienti si allunga ogni giorno di più a cominciare dal deterioramento delle strutture oppure ai nidi dei topi che sono stati trovati in alcune di esse”. Chi non è andato via dal paese abita nelle casette, le case agibili sono pochissime. “Abitiamo nelle casette, ma per come sono state costruire non dureranno certo 15 anni – lamentano – si dice che siano costate 4-5 mila euro al metro quadrato e non appena è nevicato non potevamo usare le docce. Ci si lavava nella stalla”. Sono veri e propri piccoli container tinteggiati di giallo con un accenno di staccionata e una cisterna sul tetto. “Un’assurdità – dice una signora – quell’acqua quest’inverno non abbiamo mai potuto usarla. A -11, secondo lei, un recipiente così come può evitare che l’acqua geli?” E poi un anziano accusa: “Prima del terremoto vivevo in una grande casa, ora abito in una casetta di 45 metri quadrati, sono un agricoltore e le mie mucche hanno a disposizione 20 metri quadrati. Ecco che cosa è stato fatto per il mio benessere”.

Il Centro Food un servizio per il turismo che non c’è più

Pesanti i segni psicologici: mio figlio è ancora terrorizzato e non riesce a giocare da solo. Negozi e ristoranti azzerati dalle scosse

“Avete visto? E’ indecente vedere ancora le macerie lungo la strada, a tre anni di distanza”. Sono tanti i problemi che si sommano dopo la catastrofe. L’eco del terremoto non passa e quelle distruzioni da cui fanno capolino ancora oggetti personali, un cuscino, una testa di bambola, lo ricordano. In ogni momento.

Angela Rapini, allevatrice che ha avuto tutte le strutture dell’azienda danneggiate, ci parla della sua nuova vita dopo il terremoto. Ha 150 capi di bestiame. “Resistiamo con l’aiuto di papà e di mio fratello senza lavoro, era operaio edile ma ora tutto è fermo – dice – non ho mai pensato di andarmene da qui anche se nel 2016 con le scosse che non finivano più e una montagna di neve confesso che sono stata lì lì per ‘sbroccà’. Ora è dura. Prima del terremoto avevamo una macelleria aziendale ma adesso i turisti non ci sono e non funziona più”.

Accanto alle macerie degli edifici ci sono i segni dentro che il terremoto incide indelebili. I bambini soprattutto lo vivono ancora come un incubo. “Mio figlio è ancora terrorizzato – prosegue Angela Rapini – e non gioca da solo, con lui ci deve sempre essere qualcuno. La scuola? Sì, va a scuola. Quella l’hanno costruita è antisismica ma tutto il resto va a rilento. Un esempio? Solo da pochi giorni hanno finito le demolizioni a Faizzoni, una frazione poco distante da qui”.

“Che si fa? O vai via e lasci perdere oppure… Chi va via lo fa per scordarsi i parenti e gli amici che sono morti e qui non tornerà. Metà dei miei amici non ci sono più. Io sono qui – dice Giuliano allevatore di 30 anni – ma che posso fare, l’azienda ce l’ho qui…”

Quella notte alle 3,34 (le lancette della torre civica sono ancora ferme su quell’ora) i morti avrebbero potuto essere molti di più segnala il dottor Fernando Salvi che da tre decenni lavora in queste zone e conosce  uno ad uno i problemi degli allevatori. Questo paese si riempiva d’estate, avevano le seconde case, era luogo di vacanza. Per lo più arrivavano da Roma (metà dei ristoratori di Trastevere hanno origini qui) e hanno conservato la casa di famiglia quindi la popolazione d’estate aumentava moltissimo. E in quei giorni c’era il pienone, erano giorni di festa perché si stava preparando la sagra dell’amatriciana.

Le vittime avrebbero potuto essere molte di più. Tanti giovani si sono salvati perché a quell’ora, quando sono iniziate le scosse, erano ancora per strada che indugiavano in chiacchiere con gli amici. E questo li ha salvati. Hanno raccontato quel momento terribile: improvvisamente tutto è diventato buio, il rumore dei crolli la ricerca tra le macerie aiutandosi con la luce dei telefonini.

Amatrice vecchia è un largo spiazzo che per selciato ha i resti delle macerie rimosse su cui spiccano tre monconi di costruzioni senza fisionomia. Tutto è cintato e a sorvegliare che si stia lontano dalla torre civica – risale al Mille ed è l’unica rimasta in piedi – ci sono i soldati che fanno la spola tra un capo e l’altro di corso Umberto. Lo si attraversa ma il contorno di palazzi, negozi non c’è più, è solo un ricordo. Nulla. Se l’agricoltura è in affanno anche il commercio, collegato alla presenza di turisti, venuto meno il turismo, non esiste quasi più.

Sono stati realizzati due piccoli centri provvisori, un insieme di negozi di vicinato che funge da centro commerciale nelle aree intorno ad Amatrice e l’Area food in cui ci sono i ristoranti (gli edifici in cui si trovavano i locali sono stati tutti danneggiati) e che comprende anche un centro conferenze finanziato con gli aiuti che sono stati raccolti dalla gruppo LA7. “Questo spazio food avrebbe dovuto rappresentare un punto d’approdo di un nuovo turismo, ma è quasi sempre deserto anche in stagione, non richiama nessuno”, commentano sconsolati gli abitanti. L’economia è a terra come si può immaginare. Cartina di tornasole è il consumo di carne, “Pensi che prima ad Amatrice c’erano sei macellerie ora ne è rimasta una, riaperta da poco”.

“Il coraggio di restare per dare una chance alle nostre Terre Alte”

Ad Amatrice la difficile ricostruzione dell’attività agricola in ginocchio

Sarebbe il deserto se non fossero rimasti i contadini nelle Terre Alte del Lazio, molti sono giovani e tenaci. E’ Sonia Santarelli che si fa capofila per tentare di spingere i suoi concittadini a svoltare e vincere la partita. Sonia, avvocato, un’esperienza in politica alle spalle, con la sorella Stefania gestisce un’azienda agricola che è stata trasformata in agriturismo.

“La stalla è crollata – dice – e gli animali stanno sotto al tendone”. Ma la sua idea va oltre “Andiamo al Nord a vedere come gli allevatori di là hanno realizzato le loro stalle, come gestiscono le loro aziende, non stiamo soli in questo angolo a guardare al piccolo allevamento personale”. E’ la sua esortazione. Sonia parla di valorizzazione del territorio e i piccoli passi che si stanno compiendo come il ‘Consorzio degli agriturismi Salariaè’. Riunisce 21 imprenditori impegnati nella valorizzazione e nel recupero di una delle più belle zone d’Italia con lo slogan “La natura su misura”. E’ stato costituito nell’aprile del 2016 qualche mese prima del disastro “se avessimo atteso non lo avremmo”, commenta Sonia.

Gli aiuti finanziari? “ Dalla Regione sono stati finanziati i ricoveri provvisori per gli animali, tensiostrutture che avrebbero dovuto fungere da stalle, ma con il gelo, la neve e il freddo in gran parte sono state danneggiate. Hanno speso tantissimi soldi con un risultato nullo, si parla infatti di 40mila euro per ciascuna struttura. Ora tutto da rifare. Molti agricoltori hanno preferito rinunciare, lo hanno ritenuto uno spreco e una scelta inappropriata per il ricovero degli animai”. Le stalle danneggiate non sono poche e il crollo di alcune di esse è stato fatale per alcuni contadini.

Ad Amatrice si tocca con mano la fragilità che il terremoto ha messo a nudo, ha scoperchiato e portato in superficie. Ora saranno rimaste 800 persone sparse su 69 frazioni; sembrano vicine perché le si vede da un’altura all’altra ma sono lontanissime perché per arrivarci si deve scollinare anche tre, quattro volte e il tempo passa. L’economia di questa zona è in pericolo. In agricoltura, per esempio, ci sono 150 aziende di allevamento ed è l’unica possibilità di reddito che abbiamo”.

Sono i vincoli dei parchi a limitare le possibilità? Qui è un crocevia tra il parco dei Sibillini, quello del Gran Sasso e i Monti della Laga. “No, il danno arriva dai cinghiali, se si coltivano i cereali stiamo certi che non resiste nulla. L’economia si reggeva sull’allevamento, sul bosco e sul turismo, un turismo di seconde case, gran parte delle quali appartenute a persone partite da qui per Roma e che d’estate tornavano”. Eppure l’agricoltura, la produzione di latte fino agli anni ’90 procedeva. “Avevamo una cooperativa – spiega Sonia Santarelli – che ha funzionato per una ventina d’anni dal ‘70 al ‘90 e poi è finita. La ragione? E’ venuto meno il mercato, la grande distribuzione ha allargato la sua presenza e quindi alla fine non si era più competitivi e la cooperativa è diventata esperienza chiusa. Ora il latte viene conferito in gran parte a Perugia ed è il prezzo a penalizzare molto. Pagano 0,38 al litro, poco, molto poco ma si resiste.

Si mette l’accento sulle assurdità burocratiche come il fatto che accanto ai finanziamenti per le tensiostrutture non sono state finanziate le concimaie e il risultato? Sono state comminate le multe per lo smaltimento del letame. Insomma piove sul bagnato e la storia si ripete. Sempre.

Photo Antonella Lenti

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