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“Paesaggio cuore delle scelte urbanistiche: è la nuova prospettiva legata ai cambiamenti climatici”

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Paesaggio cuore delle scelte urbanistiche: è la nuova prospettiva legata ai cambiamenti climatici”

Lezione della prof. Isotta Cortesi docente all’università di Parma nell’ambito del percorso per il Piano urbanistico generale

Paesaggio, paesaggio e ancora paesaggio. Il cardine di una nuova urbanistica del Terzo Millennio che faccia fronte ai cambiamenti climatici non può che passare da lì, dal paesaggio, e la figura cruciale nella progettazione è l’urbanista paesaggista. Un elemento che, nella pianificazione, dovrà avere un ruolo di primo piano.

Ne è convinta la professoressa Isotta Cortesi che insegna architettura del paesaggio all’Università di Parma, ma che ha alle spalle un’esperienza decennale in Sicilia e sette anni trascorsi all’Università di Napoli. Cortesi ha tenuto nella cappella di palazzo Farnese una lezione molto formativa nel percorso che il Comune di Piacenza ha avviato verso il Piano Urbanistico Generale e ha risposto puntuale alle domande poste dall’assessora all’urbanistica e architetto Adriana Fantini.

Quali gli strumenti necessari per avviare un processo di questi tipo? Ha domandato l’assessora piacentina. “Coraggio, visione, disponibilità finanziaria, cultura”. Così, secca e impegnativa la risposta della docente. Unico punto debole della prospettiva tracciata: i temi elencati avrebbero bisogno di essere affrontati già qui e ora, c’è da chiedersi se potranno attendere i tempi necessariamente lunghi della stesura di un Piano urbanistico. E poi c’è il cambio culturale – sia per le istituzioni, sia per il sistema economico – indispensabile per questo nuovo approccio, ma non facile da impostare e sedimentare.

PAESAGGIO – “Ci ha dato l’impulso a progettare un sogno”

Quella della prof. Cortesi è stata una lezione in piena regola a cui hanno assistito un discreto numero di architetti piacentini. E c’è chi tra i professionisti presenti ha manifestato un grande apprezzamento: “Ci ha dato una visione umanistica, ha messo in evidenza che gli spazi vuoti sono occasioni per il verde, che il fiume può tornare a guardare la città e inquadra l’amministrazione non nelle norme, ma nelle idee…”

E poi, a voce alta, un sospiro di sollievo e liberatorio che ha fatto ritornare la fiducia nel progetto e uscire dalla griglia delle norme: “Finalmente la possibilità e la voglia di progettare un sogno individuando il verde come elemento centrale del territorio urbanizzato”. Una grande prospettiva.

Sul piano ideale la professoressa ha catturato l’attenzione dei presenti, ma il suo non è stato un bagaglio di desiderata, scarno di progetti. No, per tutta la durata della conversazione, ha mandato sul mega schermo alle sue spalle immagini di progetti realizzati. Non proiezioni di una o più città ideali, non realizzazioni concrete che hanno spaziato in vari Paesi del mondi, dalla Danimarca all’America, dalla Spagna alla Svizzera, alla Germania affiancate spesso anche da immagini di situazioni negative che non tengono conto del valore urbanistico che ha il paesaggio in sé come vivente.

Perché il segreto per impostare il cambiamento spesso viene dall’osservazione e dallo studio di chi ha già operato in quella direzione.

PAESAGGIO – Master sul Po: si studieranno siccità e alluvione

E ci sono anche progetti di studio futuri di cui Piacenza potrebbe fruire e beneficiare. È un Master in procinto di partire che nasce dalla collaborazione tra le università di Parma e il Politecnico di Milano su un tema cogente: il rischio siccità e alluvione e che avrà il Po come soggetto di analisi.

Il filo del discorso della prof. Cortesi si è calato a fondo in una realtà italiana che, pur avendo tante urgenze da affrontare, non ha il coraggio di volare sufficientemente alto. Alla base di questa nuova filosofia del territorio deve stare appunto il paesaggio che altro non è se non la considerazione degli altri esseri viventi a cui la visione antropocentrica della gestione delle risorse naturali ha bellamente girato le spalle.

I cambiamenti climatici e i costi che questi comportano impongono un urgente cambio di rotta. Da realizzare facendo leva su coraggio, progetti e finanziamenti. Una terna di azioni che deve procedere di pari passo. “Non si deve aver paura – ha detto la prof. – se ci sono i progetti arrivano anche i finanziamenti. L’importante è osare”.

PAESAGGIO – Ridurre la povertà energetica

Piacenza come può declinare nel breve periodo questa svolta necessaria? Si consideri che i tempi per la realizzazione di un Piano Urbanistico Generale non sono certamente corti e gli indirizzi che potrebbe contenere non è detto che raccolgano il favore dei cittadini. Ma l’urgenza c’è. Alcuni suggerimenti sono arrivati dalla professoressa Cortesi. Dapprima – ha suggerito – intervenire sulla “città pubblica” e trasformare tutti gli edifici pubblici per migliorare la povertà energetica di cui soffriamo.

È un tema difficile – ha sottolineato – perché sappiamo della difficoltà di riciclare i pannelli fotovoltaici, ma è estremamente importante che si risponda a un imperativo non rinviabile: liberarsi dall’uso delle risorse finite. Da qui la necessità che tutti i tetti pubblici si trasformino per produrre energia, per finalizzarla al beneficio per la città prima ancora che per i singoli edifici.

PAESAGGIO – Anche l’agricoltura anello del sistema

Il secondo suggerimento riguarda l’agricoltura. Settore che interagisce moltissimo con il tema del paesaggio – ha segnalato la docente – e non sempre in modo corretto come quello dell’utilizzo per la produzione di energia. “Non credo che le aree periurbane siano vocate per questo utilizzo”, ha segnalato la prof. Cortesi. Ha esortato a pensare alla natura come un elemento vivente che agisce con cicli vitali intelligenti.

Un’affermazione che ha supportato con tanti esempi concreti realizzati a macchia di leopardo in tutto il mondo che insieme puntano su binari paralleli: da un lato la rigenerazione naturale degli ecosistemi dei fiumi e delle loro rive; dall’altro riuscire a ritagliare e offrire spazi all’uomo e agli altri esseri viventi. Questo – ha specificato la prof. – è il progetto di paesaggio. Gli esempi ci sono. Ed ha portato quella della Ruhr il distretto industriale tedesco che ha investito sul recupero del fiume. “In 15-20 anni sul fiume è tornata la vita”.

Un altro quesito sul tavolo resta la valorizzazione della campagna che il sistema economico ha cambiato nel corso degli anni.  È un fatto – ha spiegato la docente – che oggi tutti gli spazi inclusi nelle aree delle tangenziali sono considerate aree destinate alla costruzione futura, ma l’alternativa non è ritagliare qui  “frattaglie” di paesaggio che non può essere considerato come un elemento di risulta che avanza dalle opere realizzate.

Oggi la prospettiva non è più la città che cresce, ma la città che si rigenera e questo investe anche la campagna urbana. Da non trascurare – ha segnalato – l’impatto che l’agricoltura industrializzata produce in termini di emissioni e di effetti sulle falde. Anche in questo ambito quindi è il suggerimento della prof. occorre cambiare indirizzo e operare un grosso lavoro sulle aree periurbane. Come?

Lavorando sulla qualità e l’integrazione dell’agricoltura a ridosso delle città puntando su una produzione di prodotti ad uso della città. Questo avrebbe un grosso valore perché stabilirebbe una relazione tra quello che mangiamo e dove si produce. Ecco quindi che le campagne urbane possono diventare più virtuose per la città e non solo per l’industria. Con due vantaggi: il paesaggio è più bello e aumenta la biodiversità… sostanza preziosa per la rigenerazione naturale.

Ma tutto questo passa da un mutamento culturale. Ma non sono anche dalle politiche agricole comunitarie che spingono a produzioni industriali…? È l’obiezione. Segnali di un cambiamento su questo tema anche in Europa, secondo la professoressa Cortesi, si sono colti. E cita un esempio che riguarda le zone produttive lungo i fiumi. Prendiamo il Po, ecco il grande fiume ha smesso di essere vitale. Ha sottolineato.

Ci sono esperimenti compiuti in alcune città come Bordeaux – ha riferito – in cui si è sperimentata, nelle zone artigiane dismesse lungo il fiume, il progetto di “natura intermedia” che non è un parco pubblico; è una soluzione in cui la messa a dimora di piante è l’avvio di un processo di negoziazione con “il tempo” della natura.

Sarà il tempo della natura che in queste zone disegnerà una città futura, che ridarà un senso al luogo e ricollegherà quella che era un angolo dimenticato alla vita della città. E non ultimo tra quelli citati l’esperimento promosso nel 2002 dal municipio di Parigi sulla Senna con la Paris-Plage che, partito come esperimento, si è andato via via consolidando.

PAESAGGIO – Imparare e mutuare le esperienze altrui

Tanti gli esempi di buone pratiche raggiunte in grandi città. Tra queste ha citato il recupero a verde del vecchio porto di Brooklyn che si trova sotto l’omonimo ponte a New York. È stato un intervento che ha ricostruito la relazione con il fiume “Non è ancora balneabile, ma la gente lo utilizza come spazio di vita ed entra nell’East River in canoa”.

“Negli anni Novanta – ha spiegato – tutti negli Usa guardavano alle buone pratiche europee. Dopo tante vicende disastrose come gli uragani sono stati capaci di studiare tutti i problemi legati all’uso dell’acqua e, dall’uragano Katrina in poi, sono usciti tantissimi progetti virtuos

Il nostro modo di lavorare – ha rimarcato la prof. Cortesi – è sempre stato antropocentrico, si partiva dalle nostre esigenze senza pensare che avremmo potuto ricevere indietro la pallina di rimbalzo, che poi il conto sarebbe arrivato.  Ed  eccolo. È arrivato e ci trova con spazi pubblici “sigillati” dal cemento. Per questo è necessario avere una chiave di lettura della trasformazione del clima e avere una visione di città capace di trovare soluzioni a questo problema.

Ma come rivedere spazi sigillati e compromessi dando loro respiro e permeabilità? In questo caso la risposta portata dalla professoressa è quella dell’urbanistica applicata al paesaggio. Lo ha fatto raccontando un’esperienza svizzera messa in pratica dopo un’alluvione. L’ingrediente principale era un canale cementificato che ha accelerato la velocità dell’acqua arrivata velocemente ad allagare la città. Uno scenario frequente e molto attuale dopo l’alluvione in Romagna.

Che hanno fatto gli svizzeri? Hanno fatto intervenire architetti paesaggisti che hanno ricreato un letto “naturale” parallelo al canale cementificato, hanno deviato l’acqua in questo spazio che negli anni si è trasformato in un letto naturale e permeabile.

Con la terra scavata hanno colmato il canale cementificato e lo hanno trasformato in parco fruibile da tutti. Il risultato è che si è creato un spazio permeabile e si è migliorata la qualità degli spazi per i cittadini. È vero – ha aggiunto la prof. – che in Svizzera hanno una legge in base alla quale viene finanziata la rinaturazione dei fiumi.

È necessario ripartire da questo concetto perché non bisogna scordare che i fiumi esondano, è nella loro natura e un fiume reso impermeabile è una follia.

Gli esempi si sprecano come quelli realizzati in Danimarca anche in questo caso l’intelligenza paesaggistica è scattata dopo un’alluvione.

Che cosa è stato fatto? Semplice. In presenza di tanta acqua che va a devastare sono stati creati spazi pubblici finalizzati a contenere le piene e al contempo attrezzate come area pubblica e fruibile nei momenti in cui la piena non c’è. Idee che si muovono e camminano e trovano anche i necessari finanziamenti. È questa l’esortazione lanciata dalla prof. di cui anche Piacenza dovrebbe far tesoro ora che sta studiando il nuovo PUG.

Antonella Lenti

info@antonellalenti.it

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