LENTI A CONTATTO

Ottobre 2020 – Ponte cade come mela marcia. Inconcepibile!

Vergogna e amarezza sono i due sentimenti dell'immediato. Non siamo un paese per giovani, non siamo un paese per viverci, e non siamo neppure un paese per ponti. Decisamente. La serie dei crolli per stare solo al Piacentino si allunga. In modo preoccupante.
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Ottobre 2020 – Ponte cade come mela marcia. Inconcepibile! Il ponte Lenzino è andato giù. Ma va, non diciamo fesserie, basta con le fake news sparse a mani basse per far abboccare gli allocchi sui social…

Il ponte sulla Stata 45 dell’Anas è andato giù e gli allocchi siamo noi che non proviamo vergogna a vivere in un paese in disfacimento, che giorno dopo giorno si racconta la favola del Belpaese, si illude di essere il paese più bello del mondo per consolarsi di una desolazione che sta aggredendo, punto dopo punto, gli anelli più delicati e fragili dell’intero sistema nazionale. La montagna è tra questi.

Ponte che crolla – Vergogna e amarezza

Non siamo un paese per giovani, non siamo un paese per viverci, e non siamo neppure un paese per ponti. Decisamente. La serie dei crolli, per stare solo al Piacentino, si allunga. In modo preoccupante. Dal clamoroso crollo del ponte sul Po che ha isolato Emilia e Lombardia (per tacere del ponte di Genova due anni fa) vuoi che un ponticello sperduto tra le montagne resti in piedi? Eppure lo avevano messo a posto, si dice. Lo avevano… Vergogna e amarezza sono i sentiment che colgono in un primo momento. E che rischiano di consolidarsi strada facendo.

Ponte che crolla – E’ solo colpa di cattiva sorte?

In questi casi è sempre colpa della sfortuna che si accanisce su chi fatica per presidiare il territorio che perseguita i marginali. E poi accidenti al fiume che si ingrossa in ogni momento, accidenti  destino che si abbatte su una comunità che sta tentando con tanti sforzi (quali sforzi?) di rialzarsi. Insomma la cattiva sorte è quasi sempre la spiegazione del primo momento attorno a cui si coalizza la solidarietà, la disponibilità di tutti, una giaculatoria già vista sentita…

Ponte che crolla – Questo sì è tema di sicurezza

Mi viene in mente una parola molto evocativa: sicurezza. Da un decennio circa (forse più) sul tema della sicurezza si sono create fortune politiche immediate, improvvise e durature. Una richiesta di sicurezza che parla un’altra lingua e che si rivolge ad altri esseri umani. Il fatto è che resta un terno al lotto, una scommessa alla roulette prendere l’auto e decidere di fare un viaggio in questo paese in disfacimento. Parti ma non sai se arrivi.

Quanti viadotti, quanti cavalcavia quante gallerie che sovrastano le nostre teste per un “destino cinico e baro” possono decidere di muoversi e perdere la loro staticità unica condizione della loro esistenza? Quanta sicurezza viene assicurata nella nostra mobilità? Occorrerebbe fissare l’attenzione su questo lato del tema sicurezza che tra ponti che crollano, gallerie che perdono calcinacci, viadotti che collassano, autostrade appena inaugurate che cedono dovrebbe essere al primo posto dell’agenda. Di tutti.

Ponte che crolla – Inaugurate e subito dimenticate

Ogni volta che succedono fatti di questo tipo (e si susseguono in modo preoccupante) si va alla ricerca delle spiegazioni (giusto) si va alla ricerca delle responsabilità (giusto) ma non si arriva mai a una conclusione logica: la realizzazione di opere di pubblico utilizzo comporta un impegno che non si esaurisce con la conclusione dei lavori, no. Una volta fatte non le si possono dimenticare. Sembra invece che ci sia un grande entusiasmo nel momento in cui dall’appalto in poi si annunciano grandi lavori tesi a imprimere una svolta progressiva all’intera società e poi una volta realizzati si passa oltre alla prossima gran cassa da suonare per annunciare un nuovo intervento.

Ponte che crolla – La responsabilità di curare le opere

La consegna di un’opera pubblica investe immediatamente di una responsabilità più difficile e se vogliamo opaca (non avrà mai i riflettori su di sé e non porterà quindi voti) che è la manutenzione costante dello stato di salute delle opere stesse. Questo non succede mai. Viene da chiedersi che cosa sia stato fatto negli ultimi 30 anni per lavorare alla conservazione delle opere di utilizzo pubblico. Viene da chiedersi cosa ci stiano a fare gli organismi preposti e spaventa l’apatia collettiva che fa si che noi allocchi non lo chiediamo con forza. Costruisci? Certo poi curi, mantieni, aggiusti, cerchi di prevenire per quanto sia possibile.

Poi arriva il crollo. Ed è la sfortuna che si accanisce su un corpo debole.

Ponte che crolla – Non si può spiegare col caso

Però non può essere spiegata solo così. La sfortuna, il caso c’entrano poco o nulla. Il caso ha voluto che su quella campata non transitasse un’auto o una moto nel momento del crollo. Forse il caso ha voluto che non accadesse in estate quando quel ponte, quella strada, è sollecitata dal passaggio di un numero enorme di mezzi di vacanzieri che soprattutto nelle fine settimane (come sempre del resto) trovano nella Val Trebbia il loro luogo di vacanza. Il caso. Ma non si può spiegare il dramma di un paese che crolla con il caso. E neppure soddisfa più il gioco dell’indignazione sull’onda della rabbia del momento.

Ponte che crolla – Caccia al nemico invisibile

Nessun nemico invisibile esterno sta attentando alla sopravvivenza dei ponti e all’isolamento delle comunità che resistono in quei territori anche perché c’è (c’era) un ponte (ci sono altri ponti sullo stesso fiume) che permette la mobilità e l’incontro. Un nemico invisibile però c’è. In prima fila metterei l’incuria del patrimonio pubblico che investe strade, ponti, viadotti, gallerie…

Uno degli impegni maggiori per una società complessa che realizza opere di utilizzo collettivo dovrebbe essere il controllo e la manutenzione costante delle opere stesse. Ponti, cavalcavia, viadotti, gallerie sono infrastrutture amorfe in sé e non hanno colpe se cedono o crollano se fanno vittime o feriti. Sono prodotto dell’ingegno (??) umano e in quanto tali soggette a danni.

Ponte che crolla – La retorica sul Belpaese non tiene più

Ci si riempie la bocca della bellezza dell’Appennino delle definizioni colte come “Terre alte”, si pontifica di progetti per far tornare ad abitare la gente in questi luoghi abbandonati che per l’abbandono non riescono più a tenere i loro versanti che franano scendendo a valle insieme agli abitanti. (Sulla difesa del suolo da registrare un recente consistente finanziamento regionale)

Si sogna ad occhi aperti pensando che il futuro sarà un’idilliaca scena in cui famiglie di giovani sceglieranno di vivere in questi luoghi, lavorare col digitale (anche questa una favola raccontata agli allocchi) in un mondo sostenibile… Le balle dei giorni nostri. Intanto ti crolla un ponte e ti isola l’appennino dalla sua valle. Complimenti.

Ponte che crolla – I fatti lasciano interdetti

Il crollo di un ponte lascia interdetti. E’ come se venisse precluso in un secondo il contatto col mondo. Evoca pensieri angusti di chiusura, di confinamento in uno spazio che non ha sbocchi. Ma l’umanità da sempre nel suo cammino inarrestabile e perpetuo ha sempre cercato nuovi sbocchi, ha sempre cercato di allargare gli orizzonti, è una delle condizioni di crescita e di conoscenza alzare dei ponti. Ponti duraturi che resistono ai secoli adattandosi alle tecniche moderne. Sembra quasi una metafora il continuo crollo di ponti in questo paese. Richiama una tendenza all’incomunicabilità tra diversi che su un altro terreno ha caratterizzato questi ultimi vent’anni.

Luoghi strategici i ponti diventano il bersaglio nei conflitti per infliggere il confinamento delle popolazioni nemiche.

Ponte che crolla – Vittime del patto di stabilità?

Dove sono stati spesi i soldi in questi ultimi vent’anni pure assediati dalle mannaie del patto di stabilità che ha ridotto drasticamente la capacità di spesa degli enti pubblici? Eppure di soldi ne sono girati parecchi. Di progetti e di visioni del futuro meno.

E’ stato soprattutto dopo il 2008, con la crisi americana, che la spesa per opere pubbliche si è drasticamente ridotta. A tutti i livelli. Questo è certamente vero. Non passava giorno che si segnalassero amministrazioni con soldi in cassa e impossibilitati a spenderli perché avrebbero sforato il patto di stabilità. Ma il disinteresse pubblico è stato un processo che si è manifestato molto prima.

Decenni di sforbiciate, di tagli sulle cose essenziali convinti che in tante cose lo stato avrebbe dovuto alleggerire la sua presenza: era il periodo del tema della sussidiarietà (anni 90 o giù di lì). E lo ha fatto su tanti segmenti strategici sanità e opere in primis.

Con la pandemia si è messo in evidenza che la sciagurata scelta di operare tagli forti sulla spesa sanitaria per spingere a ridurre gli sprechi ha creato un sistema con tanti buchi. Ora il conto arriva a tutti i livelli nella scuola (insegnanti, edifici obsoleti), nella sanità (pochi medici e strutture non sono spesso adeguate alle necessità imposte dalla pandemia in corso), nelle opere pubbliche (mostrano le magagne ignorate negli ultimi anni). Un conto salato che chissà chi pagherà.

Costi a parte resta una residua speranza: che gli errori possano insegnare qualcosa. Mah!

info@antonellalenti.it

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