LETTURE

LETTURE – La casa-culto dei borghesi

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PENSIERI PER VIAGGIARE IN ANNI DIFFICILI (21) – Sino alla prima guerra mondiale non si era ancora sviluppato nessun ideale di interno borghese. Le ville dello stile liberty cercavano di emulare le antiche ville patrizie in grandiosità, rifacendosi dappertutto al modello del grande albergo. Nelle case agiate della borghesia italiana il salotto per le visite veniva affidato a un tappezziere, il quale lo arredava secondo le convenzioni; lo si commissionava più o meno uguale agli altri, così come si commissionava al sarto un abito da cerimonia; mutava, secondo le fantasie, il colore e, secondo le possibilità, il grado di fasto, ma l’ambizione restava quella di un decoro del tutto impersonale.

Un gradino più in su, nelle case di lusso fiorivano le camere con vaporosi tendaggi delle jeunes filles, le nurseries laccate di bianco, le guardarobe e gli spogliatoi sempre su modelli standard, forniti dal liberty inglese, in cui tutto era prefisso. Ma il centro, tutt’altro che intimo, della vita familiare restava sempre la sala da pranzo, con la sua convenzionalità sacramentale.

La costituzione del culto della casa come ideale borghese si profilò nettamente solo dopo la prima guerra mondiale. Nell’immagine tanto stereotipa di questo culto si può riconoscere una delle più indicative tendenze del processo di uniformazione snobistica iniziatosi dopo la guerra, dalla quale era emersa la prima borghesia che si andava adeguando al moderno concetto di società industriale, con connesse disponibilità, e bisogno di status di presentabilità.

Alla donna erano passati i poteri fino allora mantenuti dal pater familias. Lo studio era ormai trasferito nell’ufficio, e in casa regnava una “signora”, la cui amministrazione non era più confinata al mazzo di chiavi degli armadi, non si arrestava più timidamente di fronte al denaro considerato appannaggio patriarcale. Il denaro doveva ormai spenderlo lei, la vera interprete di una coscienza di classe non più legata a fatti di rango politico e professionale, e quindi mascolini, ma ai dati di un successo, di un’affermazione nelle quali avevano massimo gioco le apparenze.

Come tutti i giochi di apparenze e le rappresentazioni, anche quello della casa era eccitante e faticoso. Faticosa era l’accettazione estetica di un gusto sempre vibrante per colori, mazzi di fiori, tendaggi, mobili…Faticosa era l’esibizione di una intimità ufficiale: il living room aveva bandito come centro della casa salotto buono e tinello e trionfava immobile con la convenzionalità del suo accogliente disordine, del caminetto acceso, delle riviste sparse e dei cestini da lavoro. Faticoso era l’impegno con cui la “signora” moderna si dedicava al perfezionamento all’infinito della sua casa; l’aria militante con cui perlustrava i rigattieri o dirigeva artigiani, con la convinzione di avere nella vita, oltre al marito e i figli, una grande finalità estetica.

Elena Croce, Lo snobismo liberale – Adelphi

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