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LETTURE – Moltiplicazione umana e spazio limitato

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LETTURE – PENSIERI PER VIAGGIARE IN TEMPI DIFFICILI (34) A parte i rimedi politici ed economici concepibili, il problema posto dal confronto dell’Asia con l’America tropicale è quello della moltiplicazione umana in uno spazio limitato. Come dimenticare che, sotto questo riguardo, l’Europa occupa una posizione intermedia fra i due mondi?

Questo problema del numero l’India l’ha affrontato circa tremila anni fa, cercando con il sistema delle caste un modo di trasformare la quantità in qualità, ossia di differenziare i raggruppamenti umani, per permettere la loro coesistenza fianco a fianco. E aveva anche concepito il problema in termini più vasti, estendendolo al di là dell’uomo a tutte le forme di vita.

La regola vegetariana si ispira, come il regime delle caste, alla preoccupazione di impedire che i raggruppamenti sociali e le specie animali infieriscano le une contro le altre, riservando a ognuna la libertà sua propria, grazie alla rinunzia, da parte delle altre, dell’esercizio di una libertà antagonista.

E’ tragico per l’uomo che questa grande esperienza sia fallita: che cioè nel corso della sua storia, le caste non siano riuscite a raggiungere uno stato in cui rimanere uguali in quanto differenti – uguali nel senso che sarebbero state inconfrontabili – e che si sia introdotta fra di esse quella perfida dose di omogeneità che avrebbe permesso il confronto, e quindi il formarsi di una gerarchia. Gli uomini possono arrivare a coesistere a condizione di riconoscersi tutti uomini, ma in modo diverso, oppure negandosi reciprocamente un grado uguale di umanità, e dunque subordinandosi.

Questo grande fallimento dell’India comporta un insegnamento: diventando troppo numerosa, e malgrado il genio dei suoi pensatori, una società non si perpetua che generando la servitù. Allorché gli uomini cominciano a sentirsi stretti nel loro spazio geografico e mentale, una facile soluzione rischia di sedurli: negare la qualità umana a una parte della specie.

Per qualche decennio essi avranno mano libera, in seguito bisognerà procedere a una nuova espulsione. In questa luce, gli avvenimenti di cui l’Europa è stata teatro per vent’anni, e che riassumono un secolo nel corso del quale la sua popolazione si è raddoppiata, non mi appaiono più come il risultato dell’aberrazione di un popolo, di una dottrina o di un gruppo di uomini.

Ci vedo piuttosto l’indizio di una evoluzione verso la fine di cui l’Asia del Sud ha fatto l’esperienza mille o duemila anni prima di noi, e a cui, a meno di grandi decisioni, non riusciremo forse a sfuggire. Questa grande valorizzazione sistematica dell’uomo da parte dell’uomo si va estendendo, e sarebbe ipocrita e incosciente voler evitare il problema con la scusa che si tratta di un fenomeno passeggero.

Ciò che mi atterrisce in Asia è l’immagine del nostro futuro, che essa ci anticipa. Nell’America indiana invece vagheggio il riflesso, fugace anche laggiù, di un’età in cui la specie era proporzionata al suo universo, e in cui persisteva un rapporto valido tra l’esercizio della libertà e le sue leggi.

Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici – Il Saggiatore

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