LETTURE

Wagner il fiume, Verdi il torrente

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PENSIERI PER VIAGGIARE IN ANNI DIFFICILI 13 – (Alberto Savinio, Scatola sonora – Il Saggiatore) Verdi è difficilissimo da interpretare. Molto più di Wagner. Anche in questo Wagner ha dato prova di maggiore spirito pratico, di una scaltrezza più sveglia. Ha messo in pratica il precetto del suo amico Nietzsche, che per la buona digestione consigliava di riempire interamente la capienza dello stomaco, ed anche lui ha riempito interamente la capienza delle sue partiture, così da non lasciare nello stomaco-partitura il minimo vuoto nel quale potesse allargarsi un dubbio, l’idea di un mutamento, una volontà estranea.

I direttori che dirigono Wagner sono vittime di un’illusione: credono di dirigere Wagner, e invece è Wagner che dirige loro. La vera magia di questo mago consiste nell’aver dato alla sua musica la qualità di un fiume ampio e di corrente irresistibile, che costringe chi si mette a navigarlo ad arrivare senza interrompimenti alla foce, senza consentirgli un attimo di sosta, di riposo, di possibilità di distrazione e di navigazione.

Ci si è mai accorti che Wagner è più stratega, più tattico, più logistico, più organizzatore, più industriale, più trust di industriali di Verdi, ma d’altra parte è meno artista di lui – se l’arte è quel capriccio, quell’arbitrio, quella discontinuità che esclude la sicurezza borghese, quella sicurezza borghese che dà invece l’arte di Wagner?

Se vogliamo tornare all’immagine del fiume, diremo che Verdi non è come Wagner un Reno, ma uno di quei magri fiumi dell’Italia che talvolta si gonfiano fino a toccare i due argini, ma più spesso sono più letto che acqua, più immobile sassaia che ha il biancore dell’ossame, che vivo e verde e corrente liquido, e girano, si incurvano, serpeggiano, s’inserpentiscono, si restringono, si riducono a un rigagnolo, faticando a non perdere il loro debole ritmo tra i macigni, i banchi di sabbia e le isole basse coperte di erba ingiallita al sole. In sostanza la musica di Verdi non ha manici, non ha  maniglie, non sai di dove prenderla.

Non invita come la musica di Wagner, non costringe l’ascoltatore a mettere le mani in pasta e a lasciarsi travolgere, a lasciarsi rotolare dalle sue onde come un asino morto da un fiume in piena. Perché insistere a voler dare un’unità, una continuità, un corpus, una faccia unica alla musica di Verdi, la quale ha tante facce invece e una così diversa dall’altra?

Alberto Savinio, Scatola sonora – Il Saggiatore

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