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LA LETTERA – Donne sempre messe da parte: da Covid 19 non siamo usciti migliori

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LA LETTERA – Donne sempre accantonate, da Covid 19 non siamo usciti migliori

Ho ricevuto da Tina Calabrese una lettera molto interessante. Riguarda le donne, i bambini, la scuola. Argomenti tosti di cui si parla molto ma senza molta convinzione e soprattutto senza impegno a risolvere i problemi là dove si presentano grandi come macigni. Se ne parla senza convinzione… tanto c’è sempre chi ci pensa. Educate a farlo, istruite per farlo, impostate a farlo per genere già alla nascita. Si compie così una consuetudine e con essa si perpetua un’ingiustizia profonda che fa si che le donne comunque vivano sempre con uno svantaggio di partenza. Con la pandemia le differenze di genere si sono manifestate alla grande.

E le chiusure delle scuole non hanno fatto che accentuare il problema. E’ di questi giorni la notizia che in Lombardia a un paziente che aveva avuto il Covid è stato presentato un questionario che conteneva domande per valutare le capacità del paziente ad autogestirsi, peccato che il questionario distingueva le domande in base al sesso.

Ovvero: tutte quelle che riguardano la cura della casa, dalla preparazione del pranzo al lavaggio della biancheria, avevano accanto la precisazione “solo per le donne”. Alla faccia della parità di genere. A volte viene da pensare che la parità tra i generi a cui si pensa non sia altro che un percorso di omologazione al genere “dominante” e per le donne non vi sia spazio per parlare di un pieno diritto in sé, in quanto essere umano di ambire a vivere secondo le proprie aspirazioni senza essere incanalate in uno cliché stantio che sa di arretratezza culturale a dir poco.

E pensare, segnala la signora Calabrese, che ci si ripeteva con forza “andrà tutto bene”… “ne usciremo migliori” e amenità di questo genere. Alla fine tolta la coperta siamo usciti al naturale così come ci siamo costruiti in questi decenni: ingiusti.

info@antonellalenti.it

donne

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ECCO QUI DI SEGUITO LA LETTERA:

“All’inizio di quest’incubo ci ripetevamo, per farci forza, “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori”. Ci sbagliavamo. Dopo un anno, per noi donne è andata sempre peggio. Draghi nel suo insediamento ha inserito, tra gli applausi delle aule, la priorità alla “parità di genere”. Un mese dopo tutti i provvedimenti nazionali e regionali vanno nel senso opposto, chiudendo le scuole di ogni ordine e grado, materne e asili nido. In questi giorni torna la litania “la scuola non è un parcheggio”. È vero. La scuola è un luogo fondamentale del nostro vivere comunitario, imprescindibile in misura inversamente proporzionale all’età.

I piccoli della scuola materna sono letteralmente martoriati dagli effetti della chiusura della scuola. I bambini delle elementari – molto più ligi alle regole di distanziamento e alla mascherina rispetto alla maggior parte degli adulti – vedono mutilata la loro crescita intellettuale e spirituale da un mezzo di alienazione di massa come la DAD, per quanto lodevolmente e faticosamente organizzata e gestita da insegnanti e genitori. Psicologi, pedagogisti, scienziati (Lazzari, Novara, Miozzo) denunciano da mesi gli effetti devastanti sui minori di un lockdown scolastico tanto più insensato quanto più radicale; nel silenzio assordante delle istituzioni. Davvero non capisco come tutti noi, come popolo, possiamo accettare tale violenza sui nostri figli o nipoti o comunque sulle generazioni future.

Chiudere la scuola è diventato la soluzione ad ogni problema, perché è più semplice e politicamente a costo zero: i bambini non votano, i genitori non sono una lobby o un sindacato. Si assembrano gli adulti, si rinchiudono i bambini. La risposta alle loro esigenze, e alle nostre proteste, è sempre e soltanto punitiva.

Non viene garantita la presenza neanche per i bambini più piccoli, non ancora autosufficienti, e praticamente immuni dal COVID secondo tutti i dati scientifici disponibili. È più semplice scaricare tutto sulle madri. Ci si straccia le vesti con le statistiche sugli effetti della pandemia sull’occupazione femminile – il 90% dei posti di lavoro perduti erano di donne – e tutto ciò che lo Stato sa fare è togliere l’ultimo residuo di tutela per le donne madri e lavoratrici.

Come se dovessimo pagare la colpa di aver voluto due cose che questo paese considera sempre più inconciliabili: la famiglia e il lavoro. I commenti, sui giornali, sui social, per strada, sono sempre più feroci, di pari passo con il disprezzo di cui siamo fatte oggetto. Colpevoli di esserci ribellate alla tradizione di un paese maschilista e patriarcale, in cui la donna deve limitarsi a fare l’angelo del focolare e a dar figli all’Impero. La donna non “deve” lavorare: la donna “vuole” lavorare, ed è giusto che paghi questo suo atto di arroganza. Sottomessa, obbediente, silenziosa, medievale.

Ci siamo massacrate a mandare avanti il lavoro nei ritagli di tempo concessi dalla cura dei figli, rispondendo alle email mentre cucinavamo, facevamo le pulizie, cambiavamo pannolini, per 20 ore al giorno, arrabbiate per un congedo canzonatorio di 15 giorni, e poi altri 15, pagato di tasca nostra con la decurtazione dello stipendio, e da “spalmare” su nove mesi di chiusura a oltranza delle scuole. Ora, per premiarci della pazienza, per generosa concessione ci tolgono anche quello. Ci hanno detto che chiudere le scuole era necessario perché i bambini sono i veri responsabili dei contagi; ora ci dicono che non era vero ma devono restare a casa comunque.

Ci hanno detto che non era possibile igienizzare, sanificare, rendere sicure le scuole; ora ci dicono che non era proprio così, ma bisogna chiudere lo stesso. Ci hanno detto che non era possibile intervenire sugli assembramenti quotidiani, cui i nostri bambini assistono impotenti da dietro le finestre, e sui trasporti pubblici; e in effetti non si è intervenuti, perché la soluzione era – ancora una volta – chiudere le scuole. “Tanto avete i nonni”. Cioè i nostri anziani a cui i bambini portano il virus in casa, visto che sono untori per decreto. E chi i nonni non li ha? Suvvia, non c’è forse la naturale vocazione al martirio delle mamme? Una risorsa a costo zero.

Non è vero, il costo c’è. State uccidendo generazioni di bambini. Bambini che iniziano a rifiutare il cibo, a chiedere piangendo perché non possono andare a scuola (anche se non bevono latte al plutonio), a non dormire, iniziano a comprendere chiaramente che i loro diritti sono stati messi in fondo alla lista dei bisogni della società civile.

Che rispettare le regole non serve a niente, perché vengono puniti loro per lasciare liberi gli adulti di continuare a trasgredire affollandosi su Corso Vittorio Emanuele, sul Facsal, in via XX settembre, nei supermercati, nei parchi e nei giardinetti in cui decine di adolescenti bivaccano rigorosamente senza

mascherina. Gli stiamo insegnando che le leggi valgono per gli stupidi, i furbi le aggirano. E alle mamme questo inizia a non piacere.

Credete davvero che non stiamo andando incontro alla disgregazione del tessuto familiare, e dunque sociale? Credete davvero che il conto – che sarà salatissimo – non lo pagherete anche voi?

Tindara Calabrese

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