LENTI A CONTATTO

C’è una contaminazione da virus che non riconosciamo. Ma è devastante

Sapere, conoscere sempre di più quanto ci rende migliori e quanto invece ci rende sottili, sensibili e vulnerabili? Penso dunque soffro; Fatico dunque sono. E' questa l'alternativa che abbiamo di fronte per sopravvivere a noi stessi?
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C’è una contaminazione da virus che non riconosciamo ma è devastante. Una contaminazione di cui non si tiene conto e che forse non si conosce nemmeno. E’ per questo che è utile riflettere sul significato della vita in un momento in cui attorno a noi la vita di tanti è in pericolo. Le conclusioni a cui si approda possono non piacere affatto.

Quella contaminazione da virus di cui non si tiene conti e che forse non conosciamo la teniamo custodita dentro e ci vergogniamo a raccontarla perché se c’è una cosa che questa situazione mette a nudo è la nostra debolezza, la fragilità di noi esseri umani capaci di essere forti quando va tutto bene prendendo forza e vigore attraverso le cose, le ricchezze personali, le relazioni che intrecciamo con gli altri, i fatti altrui.

La contaminazione si attenua se c’è linfa a cui attingere…

Capaci di attingere linfa nutriente dal mondo che ci circonda quando quel mondo di cui facciamo parte (un piccolo spicchio dell’intero) funziona perfettamente e sta in equilibrio con se stessi e con noi. Con la contaminazione è tutto diverso. Tutto si deforma a cominciare dal cerchio delle relazioni da cui abbiamo preso forza e dinamismo in tutti gli anni della nostra vita.

La contaminazione si azzera col riconoscimento degli altri

C’è un elemento nella vita delle persone (tutte le persone) che fa si che il riconoscimento da parte degli altri dimostra la nostra esistenza e, tra salite e precipizi in cui possiamo incappare ne fornisce anche una motivazione. Una forte motivazione. Ci riconoscono dunque siamo reali, concreti, efficaci, bravi, compresi… Con la contaminazione è tutto diverso.

La contaminazione impedisce di tenere a bada il malessere

E’ qualcosa che rende incapaci di tenere bada il malessere nostro quando questo si mostra stanco di stare rinchiuso e soffocato e quindi si affaccia alla finestra e… son dolori. Non c’è calcolatore per conteggiare il livello che può raggiungere questo genere di malessere che porta ad intessere una conversazione con se stessi.

La contaminazione cresce se cerchi di sapere, conoscere…

Ti chiedi cosa può servire sapere, conoscere. E’ sempre utile coltivare se stessi se il risultato di questa espansione di sé rende sensibile e tanto sottile da star male? A me non serve se il risultato è questo. Fatta questa considerazione ci si incammina quindi sulla strada del “meglio non sapere” “meglio affogare nella fatica” per distrarre la mente da una sofferenza subdola che non giova.

La contaminazione porta a dire “penso dunque soffro”

Penso dunque soffro. Fatico dunque sono. Se le equazioni stanno in questi termini scelgo la seconda.

Chissà attraverso quali percorsi sotterranei in questi mesi finti, sospesi, preoccupati, urlati sono arrivata a questa conclusione. Non è stata una scelta di campo cosciente ci sono arrivata così per caso, pezzetto dopo pezzetto. Soffio dopo soffio, assistendo da spettatrice a schermaglie dopo schermaglie, arrivando un momento dopo l’altro alla saturazione e mi sono convinta che non serve a niente e a nessuno il nostro fare, il nostro dire, il nostro scrivere.

La contaminazione può inacidire il senso della vita

Se il senso della vita è riempire le giornate di qualcosa questa vita irreale che siamo costretti a inventare ogni giorno interroga sulle cose per le quali ci siamo impegnati in tutte le ore in cui si è snocciolata la nostra vita fino a questo momento. Come abbiamo impiegato le ore della nostra vita? E quanto tempo abbiamo sprecato e perduto spinti dalla presunzione di cesellare la mente conoscendo sempre più cose alimentando l rincorsa a una perfezione della mente stessa che non esiste, non può esistere.

Il risultato? Penso dunque soffro. No grazie.

paese
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