LENTI A CONTATTO

Testimonianza di un’amica: “A Codogno vedo i treni sfrecciare ma non fermano più. Ecco la mia prima settimana da reclusa per il virus”

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LA TESTIMONIANZA DI UN’AMICA. Quello che segue è il racconto da Codogno che Carla Parmigiani giornalista di Mondo Padano, settimanale di Cremona ha scritto per il suo giornale. Un racconto dal vero, dalla zona rossa. Carla ha illustrato il lento trascorrere delle ore spese a lavorare al computer e a osservare dalla finestra il tempo lento e monotono perché imbrigliato nelle maglie del Coronavirus.

Dalla finestra vedo passare i treni. Quando sono a casa il loro sferragliare scandisce le mie giornate. Da venerdì continuano a passare, ma non si fermano più qui.

http://www.mondopadano.it/ Il settimanale Mondo Padano di Cremona

“La stazione, normalmente molto affollata, ha azzerato il suo frenetico viavai.

Da venerdì è deserta. Non è stato un venerdì qualunque, venerdì 21 febbraio. E il paese in cui risiedo non è un posto qualunque, è Codogno.

Una bomba nel cuore della Bassa padana

Quel giorno proprio a Codogno si registra il primo caso di contagio in Italia  da “Coronavirus”: una bomba esplosa nel cuore sonnacchioso della bassa padana, una bomba che suscita da subito incredulità, disorientamento e, poi via via, sconforto,  malessere, inquietudine, paura.

Oggi, a distanza di una settimana, ancora tanti dubbi, domande, disagi. Una vita sospesa tra il tran tran della vita di prima (che ormai sembra così lontana) e l’incertezza del domani. Tempi e modi per uscirne sono, al momento, imperscrutabili.

Nel giro di pochi giorni si è passati dalla pandemia, derubricata in epidemia, addirittura a “poco più di un’influenza” – l’aveva detto la virologa Gismondi del “Sacco”, l’ha ripetuto il presidente Fontana, ora in “auto-isolamento volontario” -; i  titoli dei media che prima comunicavano solo  il numero sempre crescente di contagi e di morti, ora segnalano anche guarigioni, Milano vuole tornare a “vivere”.

Perché sia  stato corretto – seppur leggermente – il tiro della strategia comunicativa,  non si sa, si può intuire. Risulta, invece, difficile prevedere gli effetti di questo terremoto: quando c’è di mezzo il contagio si insinua il sospetto (chi incontro starà bene? Si atterrà alle indicazioni?), la paura dilaga e si alimenta  anche con il “vento” delle parole: quelle urlate e quelle sussurrate.

Sui social vero e falso si confondono e intorno a me crescono le persone positive

Tanti “uno” che diventano, nel bene e nel male “comunità”. Tema da psicologia delle masse: da sempre epidemie e carestie evocano sensazioni incontrollate, hanno radici profonde nel nostro inconscio. Quel che è peggio che ai tempi dei social vero e falso si confondono: mi sforzo di mantenere, per quanto possibile, un atteggiamento razionale: niente allarmismo ma nemmeno si può e si deve sottovalutare la situazione. Le persone positive al tampone intorno crescono; come interpretare le parole del viceministro Sileri:“Essere positivi non significa essere malati”?

Difficile orientarsi, tanto quanto pare sia difficile distinguere i sintomi delle normali influenze da quelli del nuovo virus.

zona rossa unica certezza: liberi di contagiarsi

Al momento, l’unica certezza è la “zona rossa”. Prigionieri, liberi di contagiarsi.

Sono stata “risucchiata” qui, all’interno della zona rossa. La mia vita -, come quella dei residenti di tutti e dieci i comuni coinvolti  – attraversa un limbo: stop ai trasferimenti per  lavoro, a vita sociale, stop alle visite ai familiari che, nel mio caso, vivono nel cremonese, stop anche alla  “noiosa” e rassicurante vita di sempre. Non puoi oltrepassare la zona rossa: se sei dentro non puoi uscire, se sei  fuori non puoi entrare, se non grazie a speciali permessi rilasciati dalla Prefettura.

Da codogno qualcuno e’ scappato

Giovedì hanno “beccato” il primo codognese  fuori senza permesso: multa.  Una misura drastica ma necessaria, secondo le procedure attivate dal Governo e dalla Regione Lombardia – che a distanza di soli cinque giorni di emergenza avevano già iniziato a litigare: non certo un bel segnale – per contenere l’epidemia di contagi.

Nel Pronto Soccorso dell’Ospedale  di Codogno – dove era stato ricoverato il Paziente1 (ancora non si è arrivati al paziente 0) – si è sviluppato il primo focolaio.

Quel venerdì 21 febbraio i giornali online di primo mattino titolavano: Ospedale “blindato” a Codoqno dopo la scoperta di un caso sospetto di Coronavirus. In breve tempo il sospetto diventa realtà, si apre un precipizio. La vita del paziente 1 viene passata al setaccio: le amicizie a Castiglione d’Adda, il lavoro a Casale, la squadra di calcetto a Somaglia, il gruppo podistico…

La cerchia si allarga nei paesi qui intorno…

Mai visto il Paziente 1 (la cui foto ha iniziato da subito a circolare), ma questo non conta: la sua vita era qui,  in questa zona… Chiudono le scuole, gli uffici: cittadini – ci viene detto all’inizio – in forma precauzionale, sabato e domenica restate a casa. 

I contagi crescono codogno chiude per virus

Il Coronavirus si propaga come un’influenza evitate assembramenti, niente bar, discoteche, niente luoghi affollati. Ma i contagi si moltiplicano e i titoli dei giornali sono angoscianti: Codogno diventa per una di quelle maldestre semplificazioni giornalistiche la “Wuhan” italiana, per fortuna lo vedremo scritto una sola volta. A proposito di giornali… chiudono anche le edicole.

Da sabato, aumentano i contagi, si allarga il precipizio, la situazione precipita. Negozi (tranne alcuni per i beni di prima necessità) e uffici chiusi, qualche indicazione la si trova online. Tutti vogliono fare il tampone. Hai sintomi? No, ma sono amico, parente…di una persona positiva, oppure in quarantena…

I treni continuano a passare senza fermarsi (alcune corse vengono soppresse),  aumentano invece le sirene e lampeggianti delle ambulanze – una la vedo fermarsi in fondo alla via: il personale indossa quelle tute bianche finora viste solo in tv.

Le macchine in giro si contano sulle dita di una mano, i pochi a passeggio portano in giro il cane. Resto in casa, ma le tv nazionali – quando ancora potevano entrare  – rimandano piazze e vie del centro desolate, svuotate di vita.

Nel week end i supermercati sono quasi tutti chiusi, all’uscita dal paese ancora nessun controllo, si dice in giro che in diversi siano andati a far la spesa nei centri limitrofi. La cosa non passa inosservata, lo farà presente qualche sindaco, e si arriva alla misura successiva adottata da Governo e Regione: mettiamo dei presidi militari all’uscita della zona rossa in modo da bloccare i passaggi.

In realtà bisognerà aspettare martedì affinché la misura venga presa per  tutti i varchi. Rimane l’incognita approvvigionamento: se ci chiudono “dentro” come faremo con il cibo? 

L’ossessione per il cibo,  in verità, non risparmia nemmeno la cosiddetta cintura gialla: da Milano a Cremona i carrelli della spesa sono ricolmi, gli scaffali vuoti. E per noi allora? Le comunicazioni scarseggiano: fuori dai supermercati si formano code di decine e decine di persone: possono entrare a gruppi ristretti. Anche lì arrivano le televisioni:

Cosa comprate? Avete paura che finiscano i generi alimentari? Siete preoccupati? Tra i clienti in fila, spuntano le mascherine. Sono utili, non sono utili, servono oppure no: le indicazioni sono e resteranno diverse. Di fatto, in tanti oggi a Codogno la indossano.

Non solo. All’inizio girava voce che i supermercati facessero entrare solo chi ne era provvisto. Peccato che non si trovassero.

Se telefonavi alle farmacie della zona rossa, ti  rispondevano che le avevano ordinate. Posso prenotarle? Inutile, “non sappiamo quando arriveranno”.

Poi  all’improvviso arrivano ed è subito coda:  del resto la gente si ammala anche di altro, anche prima del Coronavirus (si sa, tra l’altro, di medici in quarantena: continuano a rispondere al telefono ma non possono incontrare i pazienti).

I check point possono diventare punti di scambio

Può così capitare che i check point diventino punti di scambio tra il dentro e fuori la zona rossa, anche per le mascherine (come nel mio caso, oggi ne ho un pacco da 50), qualcuno ha recuperato materiale d’ufficio. Martedì pomeriggio, mia prima uscita, sono andata a fare la spesa.

Entro: guanti e mascherine e pochi carrelli; frutta e verdura carne e pesce esauriti, ma del resto c’è tutto, surgelati compresi. Non c’è dialogo all’interno, mi metto nei panni delle commesse alle casse… Per inciso sul sito del Comune si legge che: come da interpretazione prefettizia non è necessario l’uso delle mascherine per l’accesso ai supermercati.

Chissà, ma difficile passare se non ce l’hai… Altre indicazioni: la raccolta rifiuti prosegue, gli orari dei supermercati aperti, farmacie aperte (si entra uno alla volta) e così pure dal panettiere, da giovedì hanno riaperto un’edicola. Il Comune ha attivato una app di informazioni.

Dopo il comprensibile spaesamento iniziale si cerca di dare informazioni semplici ma mirate.  Persiste una forte sensazione di abbandono, gli interventi della politica così indirizzati a limitare i “danni” esterni si era come dimenticata di tranquillizzare chi vive qui.

Non c’erano solo i numeri da chiamare in caso di febbre (occupati per ore, ma questo è anche comprensibile), occorreva dare anche indicazioni minime affinché la gente non si lasciasse prendere dallo sconforto. Penso, per esempio, agli anziani, a chi non ha internet o non lo sa usare.

Ospite a Chetempochefa, il sindaco di Bertonico ha tosse e raffreddore: “Ma lei ha fatto il tampone?”, gli chiede Fazio. Ho chiamato, ma mi hanno detto che sono esauriti. In studio il virologo Borioni, spalanca gli occhi: queste cose non devono accadere, dice. Invece accadono. E se risulti positivo?

Per il viceministro Sileri “Essere positivi non significa essere malati”.

Un terremoto, anche emotivo. La paura del contagio non contempla socialità. Lo sguardo è guardingo, attento all’altro che incontri, anche un semplice starnuto, provoca un’alterazione dell’umore. Eppure uscendo a fare la spesa in un giorno di sole vedi i bambini che giocano, adulti che corrono, altri che passeggiano.

Tracce di normalità. Sui social hanno già cominciato a scherzarci su, alcuni fanno ridere…, non sempre.

Stai serena, ripete mia madre fuori dalla zona rossa, vedrai: tutto passa. Lei intanto prega. Ogni tanto si affaccia l’idea che potrei ammalarmi, cerco di scacciarla. Mi aggrappo a frammenti di normalità: nel parchetto di fronte a casa mia saltellano due cani, comunicano serenità. I padroni chiacchierano.

Milano vuole tornare a vivere, speriamo non si dimentichino di noi

Qui si parla prevalentemente di quello. Chi per ha paura, chi per minimizzare. Ma dai, ma figurati…  Milano ha detto che vuole tornare a vivere, è giusto: speriamo solo che questo ritrovato ottimismo, non faccia sì che si  dimentichino di noi. ……………………………………………………………………..

Che, intanto, siamo ritornati in piazza. Giovedì pomeriggio in centro c’era un un notevole via vai… Capannelli di anziani, giovani con il pallone, bambini che corrono. In qualche modo si cerca di organizzare il tempo libero. Esorcizzando la paura. Forse nemmeno pensandoci.

Intanto è passata già una settimana. Solo, una settimana. Io attendo di poter tornare a prendere il treno. Non solo di vederlo passare. Ma il periglioso viaggio – temo – sarà ancora lungo. E fino a quando – mi chiedo – uno starnuto ci metterà in ansia?“

Carla Parmigiani

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