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Giorni interi con noi stessi e le paure covano sotto al tappeto

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Siamo soli con noi stessi e l’impegno principale è riempire il tempo. Ci ricordiamo quando il tempo ci scappava dalle mani. Non ho pi tempo per fare nulla. Pubblicato da Libertà il 13 marzo 2020 una riflessione sulla cattività forzata a cui il coronavirus ci ha spinti.

“Isolati per affermare di essere una comunità. Quasi un ossimoro. E’ la ricetta dell’oggi.

Isolarsi è un mantra. Ogni giorno si apre un quotidiano di piccoli gesti, di minuscoli obiettivi. Per dare vita ai minuti, alle ore, ci prende un’inedita frenesia buona per tenere a bada l’ansia della cattività forzata.

Giorni interi con noi stessi in casa e il tempo da riempire. Fuori il virus, gli altri alle prese, come noi, con l’angosciante quesito  “Oddio che faccio ora?” 120 milioni di mani stanno scrivendo una nuova sceneggiatura che mi fa venire alcune domande. La paura del contagio, di contrarre il virus, la necessità di stare distanti dalle persone che sperimentiamo oggi quanto peserà domani sulle nostre vite?

Se oggi il gesto di allontanarsi è necessario per evitare il contagio quanto domani ci farà restare soli, isolati per paura che l’altro possa rappresentare il veicolo di un pericolo invisibile? E via di questo passo: quanto ci chiuderemo al nuovo, alla scoperta dell’ignoto che è sempre stato il motore delle civiltà?

Cosa ci resterà di questo 2020 col virus?

Abbiamo gli anticorpi per sopravvivere una volta passata questa emergenza alle paure e ai rischi che si innesteranno nella nostra vita?

Ci si sente chiedere ripetutamente “Non hai paura del virus?”. “Sto attenta, ma paura no. Siamo parte della specie umana e da che mondo è mondo i virus fanno parte del mondo”.

La risposta non soddisfa, anzi indispone l’interlocutore. Si era forse fatto la convinzione di poter essere inattaccabile? Su un individuo tecnologico all’ennesima potenza che può fare un microscopico virus?

Umani, realtà oggettiva dimenticata come se fossimo creature da laboratorio programmate per resistere a tutto e vocati alla conquista… Non siamo creature da laboratorio siamo umani. Anche questo ci ricorda la pandemia di coronavirus. E può mandare in crisi.

Sono lontani i tempi in cui altri umani hanno vissuto sulla loro pelle violenze improvvise dettate dalla natura oppure determinate dagli uomini. In questi giorni mi sono trovata a pensare ai deportati, mi sono trovata a pensare ai popoli feriti dalle guerre costretti a nascondersi, a stare lontani dalle loro case, dai loro cari per salvarsi. Situazioni della storia che studiamo, situazioni che conosciamo che accadono oggi, ma da cui non ci facciamo coinvolgere… non incidono concretamente sulle nostre vite.

Mi sono trovata a pensare ai colpi psicologici che hanno subito tante persone che hanno vissuto il terremoto e che in un attimo si sono viste spazzare via il risultato di tutta la loro vita. Un momento prima c’era, un momento dopo briciole, solo il ricordo poteva dare loro la forza di continuare. Paura dell’ignoto, le insidie di ciò che non si conosce restano incise in noi.

Lo choc collettivo nel quale siamo immersi credo ci possa far scoprire un paio di cose che ci siamo taciute e che non volevamo vedere.

La prima è la fragilità che portiamo dentro di noi, di cui non ci vogliamo curare (talvolta ce ne vergogniamo) perché quella che viviamo non è stagione in cui esibire le fragilità. La seconda è la forza di rialzarsi dopo brutte esperienze, dopo aver incontrato il rischio che fa della vita una scommessa con l’ignoto.

L’una chiama l’altra inconsapevolmente e sono entrambe componenti che alleviamo, cresciamo dentro di noi anche senza esserne consapevoli. Quali incisioni lascerà nel nostro essere la necessità – diventata obbligo – di nascondersi da un nemico invisibile che ci ha fatto saltare tutti i ritmi della vita normale? Quanto ci piaceva la vita normale! Un antro così sicuro…sempre uguale a se stesso. A pensarci bene ci piaceva moltissimo per quanto talvolta ci sembrasse insopportabilmente noiosa! “Benvenga la noia…” Diremmo oggi a squarciagola.

E poi c’è un’altra paura. Un film già visto pochi anni fa quando la crisi americana innescò un bagno di sangue che ha lasciato anni dopo tante macerie anche tra noi. Quello spettro della crisi-coronavirus torna a pesare ancora e si fa macigno che schiaccia la fragilità dell’oggi.

Non si tratta solo di chi teme di perdere quello che ha. Il macigno dell’incertezza della crisi appare ben più pesante su chi deve ancora costruirsi una vita. Lo spettro dell’incertezza grava su tanti giovani “al palo” per il lavoro. Costretti fino a ieri a cercare la via della propria espressione in altri paesi oggi anch’essi travolti, tutti globalmente, dalla pandemia del coronavirus.

Per loro cosa resterà di questo 2020 col virus?

Giorni interi con noi stessi…

e le paure covano sotto al tappeto

Isolati per affermare di essere una comunità. Quasi un ossimoro. E’ la ricetta dell’oggi.

Isolarsi è un mantra. Ogni giorno si apre un quotidiano di piccoli gesti, di minuscoli obiettivi. Per dare vita ai minuti, alle ore, ci prende un’inedita frenesia buona per tenere a bada l’ansia della cattività forzata.

Giorni interi con noi stessi in casa e il tempo da riempire. Fuori il virus, gli altri alle prese, come noi, con l’angosciante quesito  “Oddio che faccio ora?” 120 milioni di mani stanno scrivendo una nuova sceneggiatura che mi fa venire alcune domande. La paura del contagio, di contrarre il virus, la necessità di stare distanti dalle persone che sperimentiamo oggi quanto peserà domani sulle nostre vite?

Se oggi il gesto di allontanarsi è necessario per evitare il contagio quanto domani ci farà restare soli, isolati per paura che l’altro possa rappresentare il veicolo di un pericolo invisibile? E via di questo passo: quanto ci chiuderemo al nuovo, alla scoperta dell’ignoto che è sempre stato il motore delle civiltà?

Cosa ci resterà di questo 2020 col virus?

Abbiamo gli anticorpi per sopravvivere una volta passata questa emergenza alle paure e ai rischi che si innesteranno nella nostra vita?

Ci si sente chiedere ripetutamente “Non hai paura del virus?”. “Sto attenta, ma paura no. Siamo parte della specie umana e da che mondo è mondo i virus fanno parte del mondo”.

La risposta non soddisfa, anzi indispone l’interlocutore. Si era forse fatto la convinzione di poter essere inattaccabile? Su un individuo tecnologico all’ennesima potenza che può fare un microscopico virus?

Umani, realtà oggettiva dimenticata come se fossimo creature da laboratorio programmate per resistere a tutto e vocati alla conquista… Non siamo creature da laboratorio siamo umani. Anche questo ci ricorda la pandemia di coronavirus. E può mandare in crisi.

Sono lontani i tempi in cui altri umani hanno vissuto sulla loro pelle violenze improvvise dettate dalla natura oppure determinate dagli uomini. In questi giorni mi sono trovata a pensare ai deportati, mi sono trovata a pensare ai popoli feriti dalle guerre costretti a nascondersi, a stare lontani dalle loro case, dai loro cari per salvarsi. Situazioni della storia che studiamo, situazioni che conosciamo che accadono oggi, ma da cui non ci facciamo coinvolgere… non incidono concretamente sulle nostre vite.

Mi sono trovata a pensare ai colpi psicologici che hanno subito tante persone che hanno vissuto il terremoto e che in un attimo si sono viste spazzare via il risultato di tutta la loro vita. Un momento prima c’era, un momento dopo briciole, solo il ricordo poteva dare loro la forza di continuare. Paura dell’ignoto, le insidie di ciò che non si conosce restano incise in noi.

Lo choc collettivo nel quale siamo immersi credo ci possa far scoprire un paio di cose che ci siamo taciute e che non volevamo vedere.

La prima è la fragilità che portiamo dentro di noi, di cui non ci vogliamo curare (talvolta ce ne vergogniamo) perché quella che viviamo non è stagione in cui esibire le fragilità. La seconda è la forza di rialzarsi dopo brutte esperienze, dopo aver incontrato il rischio che fa della vita una scommessa con l’ignoto. L’una chiama l’altra inconsapevolmente e sono entrambe componenti che alleviamo, cresciamo dentro di noi anche senza esserne consapevoli. Quali incisioni lascerà nel nostro essere la necessità – diventata obbligo – di nascondersi da un nemico invisibile che ci ha fatto saltare tutti i ritmi della vita normale?

Quanto ci piaceva la vita normale! Un antro così sicuro…sempre uguale a se stesso. A pensarci bene ci piaceva moltissimo per quanto talvolta ci sembrasse insopportabilmente noiosa! “Benvenga la noia…” Diremmo oggi a squarciagola.

E poi c’è un’altra paura. Un film già visto pochi anni fa quando la crisi americana innescò un bagno di sangue che ha lasciato anni dopo tante macerie anche tra noi. Quello spettro della crisi-coronavirus torna a pesare ancora e si fa macigno che schiaccia la fragilità dell’oggi.

Non si tratta solo di chi teme di perdere quello che ha. Il macigno dell’incertezza della crisi appare ben più pesante su chi deve ancora costruirsi una vita. Lo spettro dell’incertezza grava su tanti giovani “al palo” per il lavoro. Costretti fino a ieri a cercare la via della propria espressione in altri paesi oggi anch’essi travolti, tutti globalmente, dalla pandemia del coronavirus.

Per loro cosa resterà di questo 2020 col virus?”

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