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Buono e cattivo nella trama del coronavirus

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C’è del buono e del cattivo nella trama che si sta dipanando giorno dopo giorno e che punta a svelare tutti i segreti del coronavirus il mostricciattolo che tiene in scacco l’Italia e prima ancora la Cina e forse anche il resto del mondo. Ma è il contagio della paura che rischia di colpirci irrimediabilmente.

quel che c’è di buono nell’emergenza

Di buono c’è che in tutto il mondo si studia il coronavirus, il mostricciattolo con tanti peduncoli. Si studia per arrivare il prima possibile a capire tutte le potenzialità distruttive soprattutto per le persone deboli a causa del loro quadro clinico compromesso da altre patologie.

Di buono c’è che improvvisamente sono cadute le nuvole di polveri sottili disperse anche per la drastica riduzione del traffico di veicoli in città e fuori città.

Di buono c’è che dopo tanto parlarne a vanvera si sta attuando (udite udite la legge c’è ma non si usa) lo smart working. Il lavoro da casa. A questo proposito ricordo che 5 anni fa scrissi di un bellissimo progetto di smart work redatto con il Politecnico di Milano in cui si prevedeva la rinascita di piccoli gruppi di case (frazioni) nel territorio di Farini proprio facendo perno sullo smart working.

Si puntava in quel progetto a favorire la riscoperta di zone incontaminate per colletti bianchi attualmente sepolti nella metropoli che avrebbero potuto riannodare i fili di una dimensione umana di vita contribuendo al ripopolamento di zone la cui desertificazione non è solo un danno in sé ma un macigno sospeso su tutte le zone a valle. Quel progetto tanto decantato e magnificato è là in un cassetto che attende le gambe per camminare.

Il fatto è che quando emergono queste idee bellissime vengono sì accolte con uno dispiego di parole altisonanti che magnificano il prodotto. Parole che sotto sotto nascondono la convinzione che si tratti di un sogno ad occhi aperti irrealizzabile. Come dire che bello, ma come si fa? La risposta della nonna al nipote che la vuole portare a spasso oltre le proprie forze fisiche. Il segno del nostro cedimento e dell’incapacità di osare pensando al dopo che sentiamo anagraficamente non appartenerci più.

Treno regionale fermo alla stazione di Piacenza alle 6,15: non c’è anima viva

Di buono ci sarebbe (se avvenisse) che invece di trascorrere le giornate di sole alla luce artificiale dei centri commerciali si potrebbe introdurre una buona, sana vecchia abitudine passeggiare all’aria aperta per le vie della città riscoprendone gli angoli che abbiamo ricacciato nell’ultimo angolo della memoria consumata dalla corsa contro il tempo ad essere veloci e tempestivi nel dispensare i mi piace.cosa di che c’è di cattivo nell’emergenza

Quel che c’è di cattivo nell’emergenza

Di cattivo c’è, che per saperne di più ci vorrà del tempo e nel frattempo si rischia il precipizio non sanitario ma economico. Sul piano sanitario non si perde occasione di ricordare che il coronavirus equivale più o meno a un’influenza che però può essere pesante per le persone che hanno già fragilità. Per il resto, sui risvolti economici, già si sono visti gli effetti. Infatti mentre il virus se la sta prendendo comoda – semina il suo passaggio alla spicciolata, un po’ qua, un po’ là lasciando pensare di aver preso casa nel Lodigiano e di concedersi qualche escursione altrove – di tanto in tanto si alzano venti preoccupati all’indirizzo dell’Italia.

Di molto negativo è la tendenza alle psicosi che non è solo degli italiani ma come si vede è di tutti. E il tam tam “Occhio, Italia pericolosa” è risuonato e si è allargato a macchia d’olio. Il primo segnale, guarda un po’, è arrivato dalla Francia dalle parole della leader dei sovranisti d’Oltralpe che ha suggerito la quarantena agli italiani (tutti) che attraversano la frontiera. Quando si dice a salire sul podio si fa fatica a precipitare è un attimo.

Si fa presto a passare dalle stelle alle stalle, da Paese più bello del mondo, giacimento di una fetta enorme della storia umana a Paese paria da evitare anche oltre ogni sana ragionevolezza.

Ragionare è più difficile e comporta più tempo e ora si deve essere veloci, incisivi, capaci di andare a segno se no non vai da nessuna parte.

Stazione di Firenze Santa Maria Novella deserta alle 9,15 del mattino

Di molto negativo ci sono poi – ed è un dato di fatto e non una sensazione – i numeri degli scambi commerciali misurati in borsa. Meno 5,4 lunedì a Milano e di seguito anche Wall Street. Alla mente vengono le immagini del 2008 quando crollò il sistema dei mutui americani e che aprì la più grande crisi mondiale mai vista nel mondo globale e capitalizzato.

Fino a venti giorni fa lo scenario apocalittico lo prefiguravamo per la Cina potenza mondiale che detiene proprietà e ricchezza di tanti paesi nel mondo. E già questo contribuiva a far crescere la preoccupazione perché con la Cina volere o volare gli scambi commerciali e/o finanziari non sono una favola. Ora, archiviata l’ansia per la Cina, emerge in tutta la sua enormità la fragilità del Belpaese.

Fragilità interna, città come svuotate d’incanto stazioni deserte all’ora di punta che solitamente pullulano di pendolari ma prive di quel fermento cui siamo abituati da sempre. Treni vuoti, scambi di mobilità quasi azzerati e nelle città d’arte nelle grandi attrazioni turistiche come Roma o anche nelle piccole città come Parma. In una decina di giorni, una manciata di episodi è come se avesse fatto scoppiare una bolla e il sogno sembra svanito.

il contagio della paura nell’emergenza

Di ancora più pesante e negativo c’è che se l’Italia non sembra più in testa ai desideri dei cittadini del mondo anche gli italiani sono diventati invisi agli occhi degli altri. Ed è meglio tenerli a debita distanza. Distanza di sicurezza da coronaviurs.

Di ancora più negativo c’è che seminati per un paio d’anni o più venti di bufera ora ci arrivano copiose le tempeste. Furiose tempeste.

info@antonellalenti.it

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